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Lotta all’antisemitismo, l’indagine europea
L’Italia sarebbe il Paese europeo più virtuoso nel promuovere un sentimento di “rispetto” e “tolleranza” nei confronti del mondo ebraico. È quanto si apprende dall’indagine “Europe and Jews – a country index of respect and tolerance towards Jews” presentata nell’ambito dei lavori della conferenza annuale della European Jewish Association (EJA) che si è conclusa oggi a Budapest. Diversi i parametri presi in considerazione: dalla percezione di sicurezza interna alle comunità al numero di episodi antisemiti, passando dall’attitudine dei rispettivi governi verso la tutela di pratiche come shechitah e milah. Seguono in graduatoria, secondo l’indagine illustrata dal demografo Daniel Staetsky, Ungheria, Danimarca, Gran Bretagna, Austria, Olanda, Svezia, Germania, Spagna, Francia, Polonia e Belgio. “Lo scopo dello studio non è scontrarsi con questo o quel governo e certamente non mettere in imbarazzo o fare campagna contro qualcuno di specifico, ma creare un’infrastruttura scientifica comparata sulla qualità della vita ebraica e consentire ai leader della comunità e al governo di cogliere quali passi pratici siano necessari per superare insieme le sfide”, le parole del presidente di EJA rav Menachem Margolin nel commentare i dati della ricerca.
La conferenza ha avuto tra i suoi ospiti due esponenti del governo ungherese, il vice primo ministro Zsolt Semjen e il ministro dell’Interno Sandor Pinter. Il quadro tratteggiato da entrambi è stato di forte amicizia verso il mondo ebraico, le sue istanze e sensibilità. Oltre che di grande attenzione ai diritti individuali in ogni loro forma. Ben diverso, come noto, è quel che dicono i principali osservatori europei. L’Ungheria sarebbe al contrario un Paese dove i diritti umani sono sempre più sotto attacco e dove la retorica politica, governo incluso, si è spesso nutrita di risentimento e pregiudizio.
In collegamento da Gerusalemme il ministro israeliano per i rapporti con la Diaspora Nachman Shai ha invitato i leader comunitari presenti “a rafforzare un dialogo sempre più aperto, prerequisito essenziale per relazioni ancora più proficue”. Shai si è detto preoccupato per il futuro dell’Europa ebraica, in particolare sul piano demografico, e ha esortato a lavorare “per diffondere unità e coesione, il nostro valore più grande”.
Numerosi i relatori intervenuti alla due giorni di Budapest. Tra gli altri Joel Mergui, il presidente della Comunità ebraica parigina che aveva accolto l’ultima riunione EJA in presenza nel febbraio del 2020. “La crescita di forze populiste nel nostro Parlamento è inquietante. Non sappiamo più con chi parlare, con chi confrontarci”, il suo pensiero sul voto di domenica e sui “tempi difficili” che attendono la Francia. “La sensazione d’insicurezza cresce in tutto il Paese e Parigi ne è una perfetta rappresentazione, con i suoi quartieri catalizzati dall’estrema sinistra da una parte e dall’estrema destra dall’altra. C’è di chi essere preoccupati. E in genere – il suo messaggio – quando gli ebrei sono preoccupati significa che un Paese ha imboccato una strada sbagliata”. Lotta all’antisemitismo, tutela delle libertà, impegno sul piano educativo tra i temi più rilevanti affrontati durante la conferenza. Ai lavori tra gli altri ha partecipato anche l’ex presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici.