Fonte:
https://www.mosaico-cem.it
Autore:
Paolo Castellano
L’ebreo inventato: vecchi e nuovi stereotipi dal Web ai Social
“Traditori, usurai, deicidi”: tutti i pregiudizi contro gli ebrei prolificano su internet e alimentano i “discorsi di odio”, l’hate-speech in rete. Come reagire? I social network sono la casa degli odiatori e degli antisemiti. Ma i gestori se ne accorgono solo adesso? Un’inchiesta
“Non votate per una ebrea”. “Hitler l’ha dimenticata”. “Rimpiangerai di essere viva”. Questi e molti altri gli insulti che hanno inondato i profili social di April Benayoum, Miss Provenza e candidata a Miss Francia, dopo che, durante la kermesse, ha raccontato di avere un padre italo-israeliano. Questo è solo uno degli ultimi episodi in cui i social diventano un’arena in cui gli antisemiti sfogano il loro odio. Quante volte si sono letti, negli ultimi anni, commenti del tipo “Un giudeo non può essere un italiano”. “Ci vorrebbe una bella cura con lo Zyklon B”. “Ebrei di merda… verrete cremati”? A 75 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e a 82 anni di distanza dalla promulgazione delle Leggi Razziali in Italia, il Web è diventato di fatto il megafono di rivoltanti aggressioni antisemite da parte di utenti, spesso vigliaccamente protetti da false identità.
Benvenuti nell’era digitale, in cui l’abbattimento delle barriere fisiche e della comunicazione “liquida” trova la sua espressione più estrema negli “hate speech”, i discorsi di odio nei confronti di tutti coloro che sono ritenuti inferiori e minoritari, soggetti socialmente deboli: donne, immigrati, omosessuali, musulmani e, appunto, gli ebrei. I gruppi neonazisti e gli odiatori italiani di qualsivoglia credo politico hanno infestato anche i blog e i forum dove veicolano l’antisemitismo attraverso slogan e parole insultanti, come ad esempio l’uso dell’espressione “zecche” o ancora con vignette in cui compaiono vecchi stereotipi di ebrei con “nasi adunchi”. O anche, come ha verificato il giornalista di Repubblica Paolo Berizzi, odiatori che si focalizzano su personaggi ebrei presenti nella vita pubblica italiana e internazionale, ad esempio la senatrice a vita Liliana Segre, il deputato ed ex-presidente della Comunità ebraica di Milano Emanuele Fiano e il filantropo ungherese George Soros.
Una realtà gelatinosa e sgusciante, un contesto vischioso che prelude a pericolose ricadute fuori dal Web.
Con lo scoppio della pandemia da Covid-19 si ad esempio è assistito a un ulteriore imbarbarimento e a una maggiore recrudescenza di contenuti d’odio, con accuse tra le più stravaganti di complottismo, come quella di essere i creatori di un virus mortale per dimezzare la popolazione mondiale e per controllare il pianeta.
Mutatis mutandis, siamo davanti alla solita vecchia “pietanza” avvelenata con i suoi tossici miasmi. Ma analizziamo ora, ad una ad una, le nuove formule e manifestazioni di questa antica patologia.
Antisemitismo in crescita su Twitter
A stanare il branco di lupi antisemiti dalle praterie dei social media è stato anche l’ultimo rapporto annuale dell’Osservatorio Vox Diritti, elaborato grazie al contributo dell’Università Statale di Milano, Università Cattolica e Università di Bari Aldo Moro, che ha disegnato una Mappa dell’intolleranza del nostro paese. Secondo l’indagine, che ha analizzato 1.304.537 tweet rilevati tra marzo e settembre 2020, dopo le donne sono gli ebrei la categoria più colpita su questo social network. Dal 2016 a oggi i post antisemiti sono aumentati notevolmente. All’epoca, sul totale dei tweet che parlavano di ebrei, solo il 2,2% esprimeva sentimenti negativi; una percentuale che è cresciuta gradualmente, passando prima a un 3,8% nel periodo 2017/2018, poi al 10% circa nel periodo marzo/maggio 2019 e, infine, raggiungere il picco del 25% del periodo ottobre/dicembre dello stesso anno. Nel 2020 i dati indicano un 18,4% di tweet negativi sul totale, segnando un calo rispetto all’anno precedente. “Usurai”, “avari” e “diversi”, per non parlare dell’utilizzo di parole “rabbino” e “giudeo” sono gli ‘insulti’ più frequenti usati contro gli ebrei.
Un antisemitismo 2.0
Nel suo discorso al Parlamento Europeo nel gennaio del 2020, Liliana Segre aveva dichiarato che “il nazismo e il razzismo non sono opinioni ma crimini”: una posizione che ribadiva il suo impegno contro i discorsi d’odio, che le hanno procurato numerose minacce di morte, determinando nel 2019 l’assegnazione di una scorta. La Segre ha dunque sperimentato in prima persona la pericolosa portata dell’odio digitale, denunciato anche da Andre Oboler, presidente del Jewish Community Council of Victoria e direttore dell’Online Hate Prevention Institute. Oboler, già nel 2008, aveva coniato il termine di Antisemitismo 2.0, riferendosi alle “opinioni razziste che percepiscono il Web come terreno feritile e permissivo sul quale poter esprimersi, cosa ormai impossibile nel mondo reale”. Lo studioso di antisemitismo digitale ha inoltre sottolineato che si tratta di “giovani e adulti che praticano indisturbati apologia di fascismo e nazismo”, autori di post che si armano dell’anonimato o si nascondono dietro nickname. «Intorno al 2004, i cambiamenti nella tecnologia hanno creato il Web 2.0, e così ha fatto l’antisemitismo online. Con il nuovo “social Web” è nato un nuovo “antisemitismo sociale”.
Questo Antisemitismo 2.0 non è che lo sfruttamento dei social network e della collaborazione online per condividere contenuti incentrati sulla demonizzazione, teorie del complotto, negazione della Shoah e motivi del classico antisemitismo, con lo scopo di creare accettabilità sociale per tali contenuti», aveva sottolineato Oboler in un suo articolo pubblicato sul sito del Jerusalem Center for Public Affairs nel 2008. Ed è per questo che ci sono voluti anni per capire la reale portata dell’Antisemitismo 2.0 e per elaborare strategie di contrasto che agli inizi del 2000 vedevano le comunità alle prime armi. Grazie al lavoro delle organizzazioni ebraiche e delle associazioni impegnate nella lotta al razzismo, si è presto capito che sarebbe stato più efficace coinvolgere i tycoon e le grandi le personalità del Web per contrastare una pericolosa deriva: lo sdoganamento e la normalizzazione dei discorsi d’odio. Fatto sta che davanti al dilagare dell’antisemitismo sui social network, sgomenti davanti alla lentezza con cui veniva data una risposta , ecco che agli inizi del 2020 è sceso in campo l’European Jewish Congress (EJC) lanciando su Instagram, Youtube e altre piattaforme una campagna per combattere lo hate-speech. L’iniziativa ha avuto particolare successo su Instagram grazie a un filtro per foto e video con lo slogan Stop This Story! utilizzato da personaggi famosi come la modella israeliana Bar Refaeli, l’ex giocatore dell’NBA Omri Casspi, l’attrice Vanessa Kirby e molti altri artisti e sportivi di caratura internazionale. «L’uso di queste tecnologie ha dimostrato al mondo che l’antisemitismo non si è concluso con la Shoah e sta guadagnando di nuovo terreno a livelli spaventosi», aveva sottolineato l’EJC.
Con la pandemia, l’accelerazione
Così, proprio nel bel mezzo della battaglia contro l’antisemitismo sui social network, una seconda tempesta di intolleranza e aggressività si è abbattuta sugli ebrei di tutto il mondo.
A scatenarla è stato l’avvento della pandemia da Covid-19, che ha registrato un’inquietante escalation del fenomeno dell’hate-speech.
Come fosse un segnale convenuto, è stato da quel preciso istante che l’Antisemitismo 2.0 ha preso slancio e vigore, cavalcando le teorie complottiste che si sono ulteriormente radicalizzate intorno a un’idea: ovvero la convinzione che una èlite di ebrei avesse creato il virus per controllare il mondo.
Insomma, ieri la peste, oggi il Covid: un refrain antico che giunge direttamente dal Medioevo quando la popolazione ebraica veniva accusata di avvelenare i pozzi, propagare il morbo della peste, bere il sangue dei bambini per acquisire giovinezza eterna.
Qualche esempio recente? “Gli ebrei fanno di tutto per mettere in ginocchio il mondo” e “i sionisti vogliono ridurre il numero della popolazione mondiale”: questi alcuni dei tweet raccolti lo scorso marzo dal Jerusalem Post che ha individuato una tendenza nel mondo digitale a demonizzare gli ebrei come capro espiatorio per giustificare la comparsa della pandemia. Un trend, questo, più radicato e forte soprattutto in quei paesi in cui prevale un atteggiamento ostile nei confronti di Israele.
La “cassetta degli attrezzi” dell’odiatore
Ma qual è l’armamentario, quali gli strumenti retorici che gli odiatori utilizzano per diffondere le proprie ideologie intolleranti? Come spiega lo storico Claudio Vercelli nel suo nuovo libro Neofascismo in grigio pubblicato da Einaudi, il meme è uno di questi ed è parte integrante del modo in cui si trasmettono le informazioni. Meme: un’idea o un comportamento che si diffonde da persona a persona all’interno di una Cultura. Più in dettaglio, citando la Treccani, un meme è “un singolo elemento di una cultura o di un sistema di comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro o da uno strumento di comunicazione ed espressione a un altro”. Per esempio, nei social girano tonnellate di immagini di film che vengono alterate, manipolate, piegate ai propri fini, magari completandole con frasi in grassetto per far passare un determinato giudizio politico o sociale. Ecco, secondo Vercelli è proprio questo attrezzo, questo tool, a contribuire alla concentrazione dei moderni pregiudizi, che grazie ad esso diventano virali attraverso la condivisione nei social media. Con lo strumento del meme, è stata costruita la figura “demoniaca” di George Soros, accusato di voler rimpiazzare le comunità nazionali con gruppi etno-linguistici più propensi a farsi comandare da mefistofeliche élite economico-finanziarie. Insomma, Soros sarebbe, secondo i nuovi antisemiti del Web, il burattinaio della Grande Sostituzione, un piano che punta a sostituire gli europei – ungheresi, francesi, italiani …- con gli immigrati, gente socialmente più fragile e manipolabile. Le invenzioni complottiste attribuite al filantropo ebreo sottendono un antisemitismo parossistico e non dichiarato, ma che si basa sulle medesime false accuse che in passato venivano fatte alla popolazione ebraica, accuse di voler dominare il mondo. Sempre nel libro di Vercelli, emerge come nella retorica contro Soros vengono recuperati quegli stereotipi che l’immaginario antisemita attribuiva al “parassita succhiasangue”, ovvero l’accusa fatta agli ebrei di nutrirsi della linfa vitale e delle energie delle loro vittime, mediante la simbologia vampiresca del sangue.
Non a caso, sui social network i complottisti affermano che gli ebrei siano parte della dottrina del Nuovo Ordine Mondiale: una società segreta che mirerebbe alla tirannia attraverso i suoi proxy, ovvero i suoi mandanti e affiliati. Lo credono, ad esempio, i sostenitori della teoria cospirazionista ZOG, acronimo di Zionist Occupation Government, che afferma che Israele e “i sionisti” controllino segretamente diversi stati stranieri. Il padre di questa tesi sarebbe il neonazista americano Eric Thomson che nella metà degli anni Settanta pubblicò un articolo delirante intitolato Welcome to ZOG-World. La teoria ZOG divenne di dominio pubblico dopo la pubblicazione nel 1984 di un articolo del New York Times in cui venne illustrata l’ideologia del gruppo suprematista americano The Order.
Altra costruzione complottista che contiene in sé elementi del classico antisemitismo è QAnon. Similarmente a ZOG, qui si ipotizza una trama segreta organizzata da un presunto Deep State che sarebbe colluso con reti di pedofilia a livello globale e pratiche ebraiche oscure.
I social (finalmente) si muovono
I social hanno più volte schivato le critiche sull’atteggiamento soft nei riguardi dei discorsi d’odio germogliati all’interno dei loro servizi e fino a poco tempo fa le osservazioni sull’Antisemitismo 2.0 sembrava che inseguissero una chimera. Fin quando, lo scorso ottobre, si è arrivati a un punto di svolta dopo che il proprietario di Facebook, Mark Zuckerberg, ha annunciato sulla sua pagina che rimuoverà i contenuti che negano lo sterminio di 6 milioni di ebrei o che manipolano la Shoah, come accade nella propaganda No-Vax dove la campagna vaccinale viene paragonata alle azioni dei nazisti sugli ebrei. Dunque, un deciso cambio di rotta rispetto al 2018, quando Zuckerberg aveva fatto arrabbiare le associazioni ebraiche rifiutandosi di cancellare i contenuti negazionisti per tutelare la libertà di pensiero.
Il papà di Facebook aveva però precisato che quegli atteggiamenti erano altamente offensivi per chi come lui è ebreo. «Il mio pensiero, così come le nostre politiche più ampie sull’incitamento all’odio, si sono evolute quando ho visto i dati che mostrano un aumento della violenza antisemita. Tracciare le giuste linee tra ciò che è e non è un discorso accettabile non è semplice, ma considerato lo stato attuale del mondo, credo che questo sia il giusto equilibrio», ha scritto Zuckerberg.
Sugli stessi passi di Facebook c’è anche Twitter, che lo scorso 14 ottobre, tramite un suo portavoce, ha dichiarato a Bloomberg che rimuoverà i post che negano la Shoah poiché violano le condizioni del servizio offerto e sono riconosciuti come forma d’odio. «Condanniamo fermamente l’antisemitismo e gli atteggiamenti d’odio che non trovano assolutamente posto nel nostro servizio. Abbiamo anche una rigida politica contro “la glorificazione della violenza” e interveniamo sui contenuti che incitano o elogiano violenti episodi storici o genocidi, incluso l’Olocausto», ha dichiarato Twitter.
Anche il più giovane TikTok ha preso seriamente in considerazione il problema dell’antisemitismo e dello hate-speech. Lo scorso ottobre, l’applicazione cinese molto utilizzata dai ragazzi di tutto il mondo, ha deciso di partecipare a un incontro alla Knesset per discutere delle contromisure da mettere in campo contro l’odio anti-ebraico. Davanti ai rappresentanti israeliani, TikTok ha affermato che il 90% dei contenuti d’odio viene rimosso prima che guadagnino qualsiasi visualizzazione e ha ribadito di voler collaborare con un team ministeriale israeliano per combattere con più efficacia i messaggi antisemiti dei suoi utenti.
Istituzioni e cultura i fronti su cui lavorare
Operazioni sicuramente apprezzabili e apprezzate, non c’è dubbio. Ma davvero le attuali politiche di contrasto all’antisemitismo, e in generale al razzismo, sono adeguate all’ambiente virtuale del 2021? In base all’ultimo sondaggio annuale dell’AJC sull’antisemitismo negli Stati Uniti, il 76% degli ebrei americani ha subito almeno un attacco antisemita, ma soltanto il 4% ha contattato la polizia, a riprova del fatto che la fiducia nell’intervento delle istituzioni è ancora molto bassa.
Secondo Kenneth Bandler, direttore delle relazioni con i media dell’American Jewish Committee, è dunque necessario che le forze dell’ordine, e soprattutto i rappresentanti istituzionali, supportino con più impegno chi denuncia comportamenti antisemiti sia in Rete sia nella vita reale.
Altro punto dolente è poi il controllo dei social network sui contenuti vietati, dove molte segnalazioni non vengono prese in considerazione perché affidate agli algoritmi. Dunque, per scovare e bandire l’antisemitismo dai social media serviranno team di persone specializzate su questi temi.
Ma soprattutto si deve lavorare sulla cultura e l’istruzione: perché, come fa notare Bandler, Facebook ha due miliardi di utenti in tutto il mondo e dunque non è scontato che tutti siano consapevoli di cosa sia l’antisemitismo. Basti pensare che, secondo il sondaggio dell’AJC, soltanto il 53% degli americani conosce il termine “antisemitismo”. Dunque, c’è una correlazione tra bassi livelli di istruzione e la diffusione del discorso d’odio. Per questo, i leader nazionali che si sono schierati contro gli odiatori dovrebbero partire dai dati raccolti per implementare la cultura e l’istruzione con lo scopo di sviluppare anticorpi contro l’intolleranza sul Web, che spesso viene replicata nella realtà, come dimostrano i recenti attentati, accaduti in tutto il mondo, contro diverse sinagoghe e luoghi ebraici.