Fonte:
Italia Oggi, www.gazzettaufficiale.it
Autore:
Andrea Scotto
Il negazionismo diventa reato
Carcere fino a sei anni per chi minimizza Shoah e genocidi
In Gazzetta Ufficiale «la legge sulla Shoah., cioè la legge che intende tutelare la memoria e gli esatti contorni sia del massacro sistematico degli Ebrei, avvenuto nella Seconda guerra mondiale, sia più in generale, di tutti gli stermini La legge 16 giugno 2016 n. 115 (in G.U. del 28 giugno) ha infatti stabilito che «si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999 n. 232». Il nuovo art. 3, comma 3-bis è stato inserito nella legge 13 ottobre 1975 n. 354, la quale ha ratificato e dato esecuzione alla convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. La norma di fresca emanazione richiama al suo interno e ai fini applicativi una serie di specifiche, estese e articolate nozioni di crimine, codificate a livello internazionale. Ciò premesso, è bene notare che viene punito con la reclusione un certo tipo di propaganda, cioè quell’azione che (con qualsiasi mezzo) tende a influire sull’opinione pubblica, ed è finalizzata a negare in tutto o in parte l’Olocausto oppure eventi analoghi. Il congegno legislativo punta a sanzionare anche la condotta di chi susciti in altri il desiderio e l’intento di veicolare idee negazioniste di tragici eventi. In questo senso la norma evoca con particella congiuntiva l’istigazione e l’incitamento. La legge n. 115/2016 colpisce inoltre atteggiamenti che mettono anche solo in pericolo (concreto) il bene tutelato (cioè la preservazione della verità storica circa eventi mostruosi). Il che vuol dire che, in definitiva, il legislatore lascia al giudice un ampio margine valutativo di completamento e conferma della fattispecie incriminatrice, in base a tutta una serie di elementi di fatto. Certo è che il concetto (non propriamente giuridico) di propaganda ha confini a volte evanescenti. In pratica stabilire in via giudiziaria dove finisce l’attività giornalistica e dove inizia l’opera di persuasione potrebbe solleticare l’autocensura, tenuto conto della non breve pena detentiva prevista. Infine va segnalato che il carcere scatta anche in caso di propaganda con «parziale» negazione degli stermini. Ciò significa che il giudice avrà un ampio margine di lettura delle condotte punibili. Va infatti considerato che vi sono crimini terribili del tutto assodati, ma anche altre vicende in corso di valutazione quanto alla loro ampiezza. Per questo motivo aver disegnato la fattispecie come un reato di pericolo concreto, e utilizzando termini non rigidamente delimitabili, potrebbe esporre a forti rischi coloro che volessero affrontare le questioni dei genocidi con i mezzi di comunicazione.