Fonte:
www.mosaico-cem.it
Autore:
Sonia Schoonejans e Andrea Finzi
Ebrei ed Ebraismo nella pittura di Hyeronymus Bosch: una presenza costante
Una bella mostra al Palazzo Reale di Milano, aperta fino al 12 marzo 2023, ha riportato alla ribalta Hyeronimus Bosch (1453-1516), il pittore fiammingo che con le sue opere animate da una fantasia sfrenata ed onirica ha dato l’avvio a quello che i curatori hanno acutamente denominato “l’altro Rinascimento”.
Tanto il Rinascimento italiano, ispirato alla riscoperta dell’arte classica, è misurato, monumentale, rispettoso delle proporzioni, tanto la cifra artistica di Bosch, con i suoi allievi e seguaci diffusi in molte regioni d’Europa, Italia inclusa, vuole rappresentare il senso della precarietà e della paura che percorre un mondo ove continua senza sosta lo scontro fra il Bene ed il Male. Nei suoi celebri trittici, come le Tentazioni di S.Antonio, i Santi Eremiti, il Giudizio Finale, il Giardino delle delizie, i paesaggi stilizzati con i loro incendi in lontananza si popolano di esserini mostruosi o buffi, di animali reali o fantastici che interagiscono con figure umane in formato lillipuziano a creare un contorno brulicante attorno ai protagonisti del tema principale.
In questo universo simbolico è costante il riferimento agli Ebrei ed all’Ebraismo, rappresentati in modo talvolta allusivo ma spesso esplicito come diffusori di peccati capitali (l’avarizia, la lussuria, l’ingordigia), impenitenti negatori della Vera Fede e quindi infidi, crudeli torturatori del Cristo. Questa ricorrente presenza nei dipinti di Bosch è stata oggetto di molti saggi ed articoli*.
Non vi è prova, tuttavia, di una conoscenza e contiguità con il mondo ebraico da parte dell’artista: si sa infatti che nel corso della sua vita Bosch non lasciò quasi mai la città natale di Hertogenbosch nel Brabante olandese, ove esisteva una piccola comunità ebraica come in altre cittadine della regione, con la quale non è possibile affermare che abbia mai avuto alcun rapporto, a maggior ragione se si considera l’elevato status sociale della sua famiglia d’origine, accresciuto dopo il suo matrimonio con una ricca borghese.
La rappresentazione degli Ebrei, obbediente allo spirito dei committenti, attinge largamente allo stereotipo religioso cristiano medievale ove essi, negatori di Cristo e della vera fede, militano costantemente nelle fila del Male e dell’antagonismo al disegno divino, infidi, avari, ingordi, lussuriosi e pigri. E’ frequente la presenza di figure dal naso adunco e dall’espressione feroce, come nell’Ecce Homo e nella Via Crucis (nella foto grande in alto un dettaglio), ove i pani appesi alle pareti della sinagoga ricordano le matzot, tradizionale alimento pasquale delle comunità ebraiche.
Nel celebre Venditore ambulante va notato il sacchetto delle monete appeso alla cintura, tradizionale attributo del prestatore di denaro ebreo che porta al fianco anche il pugnale che potrebbe essere interpretato come arma di difesa ma, secondo alcuni, è un chiaro riferimento alle ricorrenti accuse di omicidio rituale di bambini cristiani che sono state all’origine di tanti massacri di ebrei innocenti.
Altre volte, l’allusione è più sottile, come nel caso del trittico delle “Tentazioni di S.Antonio” ove una misteriosa coppia reale si fa porgere da un servo di colore una strana creatura a forma di rospo che regge sulla testa un uovo: quest’ultimo rappresenterebbe il denaro con riferimento quindi all’attività di prestatori che gli Ebrei esercitavano anche presso le Corti.
L’associazione della stella a sei punte con la mezzaluna islamica, talvolta ricamate sui mantelli di personaggi in atteggiamento ostile, compare in molte opere a significare l’alleanza perversa dei due grandi nemici del Cristianesimo.
Se queste rappresentazioni in forma umana ricalcano pedissequamente lo stereotipo classico medievale degli Ebrei, cocciuti negatori della vera fede e recalcitranti alla conversione, appare originalissima e non subito evidente la cifra “ebraica” che Bosch impone a molti esserini apparentemente innocui e buffi ed a figure umane caricaturali in scala ridotta che gremiscono il contorno delle scene principali delle sue opere. Essi perlopiù recano come copricapo un curioso imbuto rovesciato che talora ne copre il corpo come un’armatura. Questo imbuto altro non è che la trasformazione fantasiosa del cappello a forma di cono che in molte regioni d’ Europa gli Ebrei erano costretti ad indossare come segno distintivo, al pari della rotella gialla sul mantello.
L’ampia presenza di questi elementi “giocosi” a fianco dei più consueti stereotipi della tradizione cristiana, sembra suggerire la relativa consuetudine della presenza ebraica nella società fiamminga ed il suo ruolo economico, smorzando i toni più aggressivi della propaganda religiosa e quasi introducendo un invito alla curiosità ed alla tolleranza. Questa contraddizione rispetto alla prevalente attitudine antigiudaica che domina l’opera di Bosch affiora in taluni dipinti, come il trittico Haywan (carro di fieno) e la sua “nave dei folli”, con la scelta di non rappresentare con connotati ebraici le figure che simboleggiano i peccati che la tradizione popolare attribuiva a loro, l’avarizia, l’egoismo, la lussuria: qui i peccatori assumono le sembianze di ecclesiastici, borghesi ed aristocratici che vi indulgono con protervia assai maggiore, incuranti del castigo eterno che li attende.
Attento alle esigenze della committenza ed al tempo stesso acuto indagatore della società, Bosch anticipa i temi della nascente Riforma, critica dei mali che corrompono la società cattolica dal suo interno; nella sua opera l’artista, forse inconsapevolmente, attenua e in un certo modo ridicolizza la tradizionale attitudine ad attribuirne la colpa al consueto capro espiatorio, il popolo ebraico, mentre la lotta fra il Bene e il Male assume una grandezza cosmica nella quale le figure umane, ad eccezione dei santi, sono travolte indistintamente.