Fonte:
Il Giorno edizione di Milano
Autore:
Mario Consani
Saluto fascista ma innocuo
Così il giudice ha prosciolto
chi commemora Ramelli
Ma altri processi sono in corso per gesti simili
NON C’ERA «alcun concreto pericolo di ricostituzione del partito fascista». E questo perché il fine della manifestazione non era il «proselitismo politico», ma solo «commemorare tre defunti, Ramelli, Borsani e Pedenovi, tutti storicamente vittime di una lotta politica assai violenta nelle diverse fasi storiche nelle quali i delitti devono essere collocati». In un contesto del genere, per il giudice Donatella Banci Bonamici il saluto romano non è reato. In sette pagine di motivazioni, il gup spiega perché due mesi fa assolse con rito abbreviato due estremisti di destra (ed altri otto, tra cui l’ex consigliera provinciale Roberta Capotosti, ne prosciolse in udienza preliminare) tra coloro che a fine aprile del 2014 avevano salutato romanamente durante il corteo pubblico per ricordare i loro camerati uccisi. Non c’è dubbio, premette Banci, che «il fascismo storico fece ampio uso della simbologia classica dell’antica Roma» come il saluto romano, «gestualità di scena» che, ricorda, «tanto piacque al D’Annunzio a tal punto da inserirla nel 1914 in “Cabina” film-kolossal in costumi romani». Però, osserva Bonamici, i giudici costituzionali hanno interpretato il divieto imposto dalla legge Scelba del ‘52 «esclusivamente rivolte ai defunti». hanno interpretato il divieto imposto dalla legge Scelba del ’52 di compiere «manifestazioni usuali del disciolto partito fascista» non in senso assoluto ma solo quando esse «possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute». Così, negli ultimi decenni è stato per esempio condannato chi intonava “all’armi siam fascisti” o chi salutava romanamente ma con manganello in mano durante un comizio elettorale, o chi con il braccio teso e il “sieg heil” rispondeva alla lettura di una sentenza di condanna nei propri confronti. Ma «vietare in sé la manifestazione del pensiero e della ideologia fascista – scrive il giudice – sarebbe contrario a quegli stessi principi di libertà e di democrazia del pensiero» che invece la Costituzione tutela. Per Banci Bonamici, insomma, le manifestazioni di fine aprile 2014 «non avevano alcuna finalità di restaurazione fascista» ma erano «esclusivamente rivolte ai defunti».
NON COSÌ deve averla pensata un altro gup milanese, Elisabetta Meyer, che qualche tempo prima non aveva prosciolto ma rinviato a giudizio un altro gruppo di estrema destra (alcune persone sono in realtà le stesse) imputate per l’analoga commemorazione avvenuta l’anno precedente, il 2013. E già in corso è (riprenderà ad ottobre) un altro dibattito in tribunale che vede alla sbarra l’avvocato di destra Gabriele Leccisi, figlio dell’uomo che a suo tempo trafugò dal cimitero la salma di Mussolini, imputato pure lui di aver salutato romanamente dallo spazio riservato al pubblico mentre assisteva ai lavori di una commissione comunale sui rom impegnata in un’aula di Palazzo Marino.