Fonte:
La Stampa
Autore:
Vladimiro Zagrebelsky
La Lega, il razzismo e gli abbagli del Senato
II presidente Mattarella ha nominato senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla deportazione nei campi nazisti, che subì da bambina ebrea. La nomina da parte del presidente della Repubblica – di cui va ricordato il primo gesto, appena eletto, di recarsi a rendere omaggio alle vittime delle Fosse Ardeatine – ha un evidente significato simbolico, così come l’ha avuto il levarsi in piedi di tutti i senatori al primo ingresso della senatrice Segre nell’aula del Senato. Tutti i senatori, salvo uno, Roberto Calderoli (ora appena rieletto vice presidente). Allo sconcerto scandalizzato di chi lo ha rilevato, Calderoli ha risposto: ma no, non avete capito, è solo che io sono contrario ai senatori a vita! Dunque nulla a che vedere con razzismo e antisemitismo. Anche un’altra volta il senatore Calderoli non è stato capito: quando in un comizio tenuto in un grande raduno della Lega ebbe a dirsi sconvolto nel vedere sul sito del governo la fotografia del ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge, le cui sembianze gli ricordavano quelle di un orango. L’onorevole Kyenge non presentò querela per l’offesa ricevuta. II suo non fu soltanto segno di elegante superiorità, ma anche un chiaro gesto politico, poiché lasciò alle istituzioni repubblicane l’onere di reagire all’attacco razzista. Le manifestazioni di razzismo non riguardano solo chi ne rimane vittima, ma colpiscono nel suo complesso una comunità che si è data una Costituzione fondata sul rispetto della dignità e sull’eguaglianza di tutte le persone. Era dunque da aspettarsi una ferma reazione, non individuale della persona offesa, ma delle istituzioni pubbliche. Eppure questa è mancata da parte del Senato. Chiamato a decidere se Calderoli avesse pronunciato quelle parole nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare e fossero quindi insindacabili dal giudice che procede per diffamazione aggravata dalla motivazione razzista, il Senato ha escluso l’insindacabilità per quanto riguarda la diffamazione, ma l’ha affermata per il profilo razzista. In Senato Calderoli aveva detto di essersi scusato con l’onorevole Kyenge per avere usato un’espressione forte, ma fatta esclusivamente come battuta ad effetto, visto che il contesto, oltre che politico era anche ludico e, cioè, quello di una festa estiva organizzata dal suo partito. Si era trattato insomma di espressioni scherzose, per ridere, non per offendere. D’altronde, come i colleghi senatori sapevano, lui è solito far battute e il linguaggio offensivo è ormai divenuto comune anche nell’aula del Senato. Insomma non era stato capito e non era il caso di prendere sul serio quelle espressioni, infelici, ma non offensive e soprattutto non razziste. Quest’ultimo punto era particolarmente importante anche sul piano giudiziario, perché, cadendo l’aggravante della motivazione razzista, il reato di diffamazione cessava di essere perseguibile di ufficio e, come già ricordato, l’onorevole Kyenge non aveva presentato querela. I senatori hanno seguito l’autorevole collega e con un’ardita decisione hanno detto che effettivamente le espressioni offensive erano state usate fuori delle funzioni parlamentari, ma che la loro natura razzista era invece coperta dall’insindacabilità costituzionale. Decisione abnorme perché la qualificazione giuridica dei fatti spetta al potere giudiziario e non al Parlamento. Ora la Corte Costituzionale ha annullato la decisione del Senato, con la conseguenza che il tribunale può procedere per il reato di diffamazione aggravato dalla finalità di discriminazione razziale. Il sistema dei confini tra i diversi poteri dello Stato e del controllo della loro osservanza – rimesso alla Corte Costituzionale – ha dunque funzionato e c’è da rallegrarsene, per il passato e per il futuro. Ma resta il fatto che il Senato ha accettato che anche l’insulto razziale possa essere null’altro che una battuta per far ridere, così banalizzando espressioni e atteggiamenti razzisti su cui, invece che tolleranti, insensibili o addirittura scherzosi, occorrerebbe essere vigili e reattivi. Tanto più che vi sono stati anche altri incidenti simili. Qualche anno fa, per certe espressioni del ministro dell’Interno Maroni contro i rom, intervenne il commissario ai Diritti umani del Consiglio d’Europa, preoccupato per l’effetto che certo linguaggio ha sulla formazione dell’opinione pubblica, legittimando atteggiamenti razzisti. Ed è proprio questo il profilo più preoccupante. Non solo esponenti della Lega si lasciano andare a espressioni razziste, ma evidentemente lo fanno perché sono certi dell’approvazione del loro elettorato. Calderoli sorrise dicendo che l’onorevole Kyenge gli faceva venire in mente un orango, ma con lui, in quel comizio della Lega, risero le diverse migliaia di festanti convenuti.