Fonte:
Avvenire
Autore:
Riccardo Maccioni
«Dialogo franco ma senza pregiudizi»
L’Associazione biblica: nei nostri Convegni nessuna lettura politica né antiebraica
Più che un’autodifesa il desiderio di fare chiarezza. Lo stupore per una polemica fondata su basi si che «semplicemente non esistono». L’Associazione biblica italiana (Abi) respinge le accuse di antisemitismo e anzi rilancia il suo impegno per il dialogo, portando a testimonianza la serietà della propria ricerca scientifica e uno stile di confronto che, pur nella franchezza delle rispettive posizioni, mai è venuto meno al dovere del vicendevole rispetto. Il punto di partenza, il casus belli che ha scatenato la crisi è presto detto. Dall’ 11 al 16 settembre prossimi, l’Abi ha organizzato a Venezia due convegni. Il primo (11-13/9) di anticotestamentaristi e semitisti, inizialmente intitolato “Israele, popolo di un Dio geloso. Coerenze e ambiguità di una religione elitaria”. Un tema che nella sua formulazione ha suscitato la perplessità di autorevoli figure del mondo ebraico italiano, amplificate sui giornali e in Rete. A creare malumori, soprattutto un passaggio della presentazione originaria, là dove si scriveva che «il pensarsi come popolo appartenente in modo elitario a una divinità unica ha determinato un senso di superiorità della propria religione» aprendo le porte a possibili derive di tipo fondamentalista e assolutista Molto dura in particolare, la reazione di rav Giuseppe Laras, già rabbino capo di Milano e presidente emerito dell’Assemblea rabbinica italiana, che in una lettera (non indirizzata all’Abi) sottolineava «con dispiacere e preoccupazione sommi che questo programma è in sostanza la sconfitta dei presupposti e dei contenuti del dialogo ebraico-cristiano, ridotto ahimè da tempo a fuffa e aria finta». «Personalmente – aggiungeva Laras – registro con dolore che uomini come [Carlo Maria] Martini e il loro magistero in relazione a Israele in seno alla Chiesa cattolica siano stati evidentemente una meteora non recepita, checché tanto se ne dica». In stretta continuità con il primo, Venezia ospiterà, come detto, anche un secondo Convegno, ignorato dalla polemica, questa volta sul Nuovo Testamento (14-16 settembre): “Costruzioni del tempo nelle prime comunità cristiane”. «Ho la massima stima per rav Laras, che nel 2012 abbiamo inviato alla nostra Settimana biblica nazionale proprio per commemorare il cardinale Martini – spiega don Luca Mazzinghi docente ordinario di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Gregoriana e dal 2012 presidente Abi -. Allora rav Laras ha parlato con libertà e in un clima di reciproco rispetto e di amicizia. Resta tuttavia il fatto che nessuno ha contattato né la presidenza della nostra Associazione né gli organizzatori del convegno in questione (che lavorano in realtà in piena autonomia) circa difficoltà o problemi relativi alla prima presentazione che del convegno stesso era stata offerta. Per questa ragione, abbiamo ritenuto di non dover dare risposte a domande che non ci sono state rivolte». Come forma di attenzione e sensibilità e per evitare letture fuorvianti, tuttavia il titolo “contestato” del convegno è stato modificato in “Popolo di un ‘Dio geloso’ (cf. Es 34,14): coerenze e ambivalenze della religione dell’antico Israele”. Nuova anche la nota di presentazione, a sottolineare con maggiore chiarezza che l’appuntamento veneziano ha «il compito di analizzare quali coerenze e quali ambivalenze si possono riscontrare nella religione dell’Israele antico (espressione che appare in numerosi titoli di importanti lavori scientifici) e in che misura esse contribuiscano a configurarla. Si parte dalla constatazione – prosegue il testo – che ogni sistema religioso, dall’antichità sino ad oggi, si regge sulla dialettica di elementi in apparenza contraddittori, la cui coesistenza – per l’appunto dialettica – assicura l’equilibrio interno (ed esterno) del sistema religioso stesso». Immutato invece il programma delle giornate di studio. «L’Associazione biblica italiana- spiega Mazzinghi – organizza da quarant’anni due convegni biennali su entrambi i Testamenti. Si tratta di convegni scientifici, di carattere non confessionale, ai quali sono invitati studiosi provenienti da diverse Università sia religiose che civili. Abbiamo affrontato nel passato molti argomenti come l’elezione di Israele o l’identità dell’Israele antico, non di rado con la presenza di studiosi ebrei. Il dibattito è sempre stato rispettoso, e per questo fruttuoso».
Tra le accuse che vi sono rivolte c’è quella di aver voluto indirettamente caricare, alla luce per esempio di uno sguardo privilegiato all’islam, un convegno teologico di valenza politica. Una visione che chiama in causa lo Stato ebraico come responsabile dell’instabilità del Medio Oriente.
Comprendo il fatto che alcuni interlocutori, specialmente da parte ebraica, possano avere sensibilità diverse su temi relativi alla Bibbia di Israele. E tuttavia l’accusa di aver voluto caricare questo convegno di significati politici è falsa. Ci occupiamo del periodo biblico, non della politica dell’attuale Stato di Israele; legare questi due aspetti è un errore di metodo che non ci appartiene. Falsa è poi l’accusa rivoltaci di aver voluto privilegiare il dialogo con l’islam a scapito di quello con l’ebraismo; l’islam è un tema appena sfiorato in una sola delle relazioni del convegno.
Ma com’è nato il tema dell’appuntamento veneziano?
L’argomento specifico del convegno, “Popolo di un “Dio geloso” (Es 3,14): coerenze e ambivalenze della religione dell’antico Israele” prende spunto da una ambivalenza di fondo, il rapporto tra il Dio geloso e la libertà dell’uomo: in che misurala “gelosia” di Dio potrebbe svilire la libertà dell’uomo. Si tratta di un’ambivalenza che, in realtà, sta dietro a ogni sistema religioso, compreso il cristianesimo (come facciamo nel nostro secondo convegno). L’ambivalenza non è un concetto negativo, ma è la maniera che i credenti, consapevoli che neanche un saggio può dire di aver trovato la sapienza (cf. Qo 8,17), hanno di dire il mistero insondabile di Dio per non dover ritenere l’altro come a un nemico, fino a voler negare ogni possibilità di dialogo.
Quindi, a suo modo di vedere, non ha ragion d’essere l’accusa di aver voluto sottolineare la stanza, quasi la contrapposizione, tra il Dio giudice e geloso, e il Padre misericordioso del Nuovo Testamento.
Infatti. L’idea che il Dio della Bibbia ebraica sia diverso in qualche modo dal Dio del Nuovo Testamento è assurda e offensiva; lo è ancor di più per noi che studiamo e lavoriamo sui due Testamenti: quel Dio che Gesù chiama “Padre” è lo stesso Dio di Israele, il popolo che Dio ha scelto e del quale Gesù fa parte.
Cosa rispondete a chi vi accusa di atteggiamenti addirittura antisemiti?
L’aver interpretato, da parte di alcuni, il tema del convegno in chiave antiebraica va contro ogni nostra intenzione, lo dico con molta forza. Dalla nostra Associazione è sempre stata assente ogni ombra di antisemitismo, che noi ripudiamo nel modo più assoluto. Aggiungo che molti dei nostri membri sono impegnati in prima persona nel dialogo ebraico-cristiano. Personalmente, da cristiano, ho sempre insegnato ai miei studenti l’amore per il popolo ebraico e per le sue Scritture.
Professor Mazzinghi, dopo queste polemiche come sarà vissuto il convegno di Venezia? E quale insegnamenti si può trarre da questa vicenda?
Lo scopo di questi convegni è favorire il dialogo tra studiosi di diverse estrazioni sia culturali che religiose, ebrei compresi, e aiutarci a scoprire e discutere assieme aspetti importanti del testo biblico. Mi auguro che questo accada ancora e che pur di fronte a visioni e posizioni sentite come diverse dalle proprie, prima di lanciarsi in accuse che fanno perdere il senso della misura, si cerchi almeno di ascoltare e interpellare l’altro.