Fonte:
la Repubblica Affari & Finanza
Autore:
Giorgio Lonardi
Caprotti e il “binario 21” “Ecco perché è stato necessario edificare quel memoriale”
Il patron di Esselunga spiega cosa lo ha spinto a realizzare nello spazio mostre della stazione centrale di Milano un’opera che tenga vivo il ricordo della Shoah. Il rapporto con Liliana Segre che proprio da quel binario venne deportata ad Auschwitz
Milano – Poco più di un mese fa, al binario 21 del-la Stazione Centrale di Milano da dove, fra il ’43 e il ’45, partivano i vagoni piombati carichi di deportati ebrei (ma anche di prigionieri politici) diretti ai campi di sterminio nazisti e dove oggi si trova il Memoriale della Shoah è stato inaugurato il nuovo Spazio Mostre intitolato a Bernardo Caprotti, il patron dell’Esselunga. Come ha spiegato Roberto Jarach, vicepresidente della Fondazione per il Memoriale, «Senza la generosità di Caprotti non avremmo mai cominciato quest’opera; lui ci ha aiutato a raggiungere il 30 per cento della cifra iniziale». Per Caprotti quella dedica è stata una sorpresa: «Non ne sapevo nulla – racconta al telefono – ma quel gesto mi ha emozionato e mi ha fatto piacere». Ed è proprio dalle emozioni che bisogna partire per comprendere l’animo di un uomo conosciuto come un imprenditore molto duro che si è fatto largo in un mercato competitivo come quello della grande distribuzione. Dice: «La differenza fra noi due è che io ho 90 anni ed è impossibile sentire sulla propria pelle certe cose se non le si è vissute in prima persona». «In quegli anni – ricorda – sono avvenute cose mostruose. E se ci ripenso non posso che commuovermi. La mia famiglia non era ebrea ma avevamo tanti amici ebrei. Mio padre era un imprenditore del cotone e in quel settore c’erano tanti ebrei: imprenditori, agenti, commercianti. Da bambino ho giocato sulle loro ginocchia; erano delle presenze quotidiane, parte della mia vita, amici di famiglia, persone di casa». «Vede – continua Caprotti con un filo di voce – dal binario 21 della Stazione Centrale sono stati in tanti ad andarsene. Ho assistito alla scomparsa di persone amiche come l’industriale Lepetit che non era ebreo e morì a Dachau. O ebrei come il papa Finzi della mia amica carissima e bellissima Bebe Finzi.Tutto questo non si può dimenticare, non può essere rimosso. Ancora oggi mi vengono le lacrime agli occhi ricordando quegli anni». A toccare nel profondo l’animo di Caprotti convincendolo all’istante della necessità di edificare il Memoriale della Shoah è stato l’incontro con Liliana Segre, deportata a 13 anni dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale fino al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau: proprio lei, una dei 25 sopravvissuti fra i 776 bambini italiani di età inferiore a 14 anni deportati a Auschwitz. «Una donna straordinaria – dice – di lei, del suo coraggio, della sua umanità ho una stima sconfinata». «Con Liliana abbiamo parlato a lungo – racconta Caprotti – I nostri padri erano entrambi dei ragazzi del ’99 e hanno difeso con onore la Patria nella guerra del 15-18. Siamo convinti che si conoscessero perché lavoravano ambedue nel settore del cotone. Solo che mio padre è tornato a casa dalla sua famiglia mentre il padre di Liliana è stato abbandonato dal Paese che aveva difeso. Ed è salito sul quel treno da cui non sarebbe mai tornato. Queste cose non devono più accadere».