15 Settembre 2016

Il governo di Gerusalemme negli ultimi quattro mesi ha chiesto a Facebook la rimozione di 158 contenuti che incitavano all’odio contro Israele. Altre 13 richieste sono state sottoposte a YouTube

Fonte:

Il Foglio

Fermare i fomentatori

Israele con Facebook contro l’odio online, e c’è già chi odia pure questo

Quando si parla di hate speech e di incitamento all’odio sul web, nessuno è più preparato di Israele. Sui social network ogni giorno si assiste alla nascita di decine di gruppi antisemiti, corroborati da articoli e link che rimandano alle più fantasiose teorie complottiste, a post pubblici che inneggiano agli attacchi dei palestinesi contro gli israeliani. Ciò contribuisce a spiegare la violenza con la quale vengono trattati sempre più spesso gli ebrei, e non solo virtualmente. E’ anche per questo che lunedì scorso alcuni funzionari di Facebook hanno incontrato in Israele i rappresentanti del governo di Gerusalemme, dopo che il ministro dell’Interno Gilad Erdan e il ministro della Giustizia Ayelet Shaked avevano più volte chiesto alla società di Mark Zuckerberg di rimuovere contenuti offensivi o pericolosi dal social network. L’idea è quella di utilizzare il “modello Israele” anche nel riconoscimento di un certo tipo di hate speech, e di bloccare qualsiasi forma di reclutamento e di estremismo via social network. Il ministro Shaked ha detto lunedì che il governo di Israele negli ultimi quattro mesi ha chiesto a Facebook la rimozione di 158 contenuti che incitavano all’odio contro Israele. Altre 13 richieste sono state sottoposte a YouTube. L’azienda di Zuckerberg ha risposto positivamente nel 95 per cento dei casi, mentre il social network dei video nell’80 per cento. E se due delle più grandi aziende della Silicon Valley concordano nel trovare offensivi alcuni contenuti pubblicati sui loro stessi social, allora, forse, una qualche verità nelle lagnanze dovrà pure esserci. Ma naturalmente il dialogo tra Gerusalemme e i social network più influenti del mondo non è passato inosservato. Soprattutto nelle stanze dei complottisti di professione, quelli della “trasparenza” oltre ogni ragionevole dubbio, anche a costo di sacrificare la verità. Per Glenn Greenwald, paladino dei leak, e per tutti quelli della giustizia “che decide online”, la collaborazione tra Israele e Facebook sarebbe un “vergognoso atto di censura”. Due pesi e due misure, come sempre. Lasciare libere e visionabili pagine che inneggiano alla distruzione di Israele e dei suoi alleati occidentali, che fomentano l’odio contro gli ebrei, sarebbe invece “la libertà della rete”?