Fonte:
La Stampa
Autore:
Marta Ottaviani
La fine di Alba Dorata da terzo partito a “banda di criminali”
La Corte d’Appello di Atene condanna i vertici della forza neofascista Michaloliakos riconosciuto come mandante dell’omicidio del rapper
Istanbul. Da partito politico a organizzazione criminale. In cinque anni e mezzo, tanto è durato il processo a suo carico, il gruppo neonazista greco di Alba Dorata ha esaurito la sua parabola discendente, passando dal rappresentare la terza forza nel parlamento a una formazione di delinquenti, razzisti, omofobi, dediti ad atti di vandalismo, ad agguati e violenze che in qualche caso si sono trasformate in omicidi. Per la Grecia, dove è nato il concetto di democrazia, è stato come svegliarsi da un brutto sogno, riuscire a cancellare una macchia prima che diventasse indelebile. Alba Dorata, Chrysí Avgí, in greco moderno, ha concluso la sua parabola politica. Allo stesso tempo, però, rievoca un passato di violenza e contrapposizione inquietante, che potrebbe riproporsi nell’Ellade del Terzo Millennio. Per il momento, si può dire che la scena politica è stata ripulita e che, almeno nelle aule di tribunale, giustizia è stata fatta. Lo ha pensato di sicuro la madre di Pavlos Fyssas, il rapper antifascista assassinato nel 2013 in un sobborgo di Atene in quello che sembrò subito un agguato politico. Da quando è iniziato il processo, oltre cinque anni fa, non ha perso un’udienza, sempre presente in aula, sempre vestita di nero. E ieri, quando il giudice della Corte di Appello ha giudicato Alba Dorata un’organizzazione criminale, Giorgios Roupakias colpevole dell’omicidio di suo figlio e Nikos Michaloliakos, fondatore e leader del gruppo, di esserne il mandante morale, ha esultato in un grido liberaterio di chi temeva che finisse male.Il pubblico ministero ha cercato fino all’ultimo di salvare il capo del partito dicendo che non c’erano prove evidenti che fosse coinvolto nell’assassinio. Per il killer, Michaloliakose altri 17 dirigenti sono previste pene fino ai 10 anni. Il resto dei 68 imputati dovrà comunque rispondere delle accuse di aggressione e atti di vandalismo. Ciononostante, il nuovo leader Yannis Lagos si è detto «tranquillo e fiero di essere nazionalista». Mentre i giudici leggevano la sentenza, da fuori è arrivato il boato delle 15 mila persone che da ieri mattina si erano piazzate pacificamente davanti all’edificio della Corte di Appello di Atene, in attesa del verdetto. Non solo sindacati, organizzazioni per i diritti umani, associazioni della comunità Lgbt e rappresentanti di tutti i partiti politici, ma anche tanta gente comune, alla quale l’exploit politico di Alba Dorata degli scorsi anni aveva fatto paura. Tuttavia, la festa è durata poco. Subito dopo la lettura della sentenza, la polizia ha iniziato a colpire la folla con getti di idrante e gas lacrimogeni. Stando alla ricostruzione della questura di Atene, si è trattato di una reazione in risposta al lancio di oggetti contro le transenne che proteggevano la corte d’Appello. In ogni caso la risposta della polizia ha colpito decine di persone che erano lì a manifestare pacificamente. Fra queste, anche l’ex ministro delle Finanze, Yannis Varoufakis: «Siamo stati attaccati dalla polizia in assetto antisommossa», ha detto, aggiungendo che le forze dell’ordine non si sono placate nemmeno quando l’economista ha tirato fuori il tesserino da parlamentare. Una scena inquietante, che ricorda le accuse rivolte alla polizia di aver chiuso spesso un occhio davanti alle violenze di Alba Dorata, se non addirittura di averle in qualche modo sostenute. L’ex partito neonazista era considerato da molti anche un’organizzazione paramilitare, in combutta con quello che rimaneva della Grecia dei Colonnelli, con cui Michaloliakos aveva avuto legami diretti all’inizio della sua attività come militante di estrema destra. Un invasato con la passione per Hitler e Mussolini che, secondo molti, complice il malcontento creato dalla crisi economica e dall’immigrazione di massa fuori controllo, voleva tentare un golpe nel Paese. Nella propria sede sul Mesogeion, uno dei viali più trafficati della città, accoglieva in un’anticamera buia, piena di maschere antigas e manganelli. Quelle guidate da lui erano squadre di uomini violenti, che più volte se la sono presa con migranti indifesi e le strutture che li ospitavano, per poi fare campagna elettorale nei quartieri poveri, aiutando gli anziani a fare la spesa e portando a chi non poteva permetterseli generi di prima necessità. Un populismo bieco, giocato in chiave xenofoba e razzista, che aveva portato Alba Dorata non solo a entrare in contatto, ma anche a essere presa come esempio di successo, visti i risultati alle urne, da molte organizzazioni di estrema destra internazionali dalla Germania agli Stati Uniti, fino all’italiana Casapound. Il quartier generale è stato chiuso per i debiti nel 2019, dopo la sconfitta alle elezioni che ha lasciato Alba Dorata fuori dal parlamento, dopo che per otto anni aveva avuto 18 parlamentari, tutti imputati nel processo che si è concluso ieri. L’incubo sembra finito, ma c’è il rischio che quel che resta dell’organizzazione torni a portare scompiglio nella società greca da dove è iniziata la sua ascesa: la strada. Soprattutto in quei luoghi dove la presenza massiccia di migranti desta ancora criticità, come le isole di fronte alla Turchia o Salonicco. A questo, si deve aggiungere il pericolo di una guerra fra opposte fazioni, neonazisti e anarchici, come quella che ha destabilizzato la Grecia negli Anni 70. Quando però non c’era la consapevolezza di oggi e soprattutto non c’era ancora l’Unione Europea.
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