Fonte:
www.mosaico-cem.it
Autore:
Marina Gersony
Nel ventre molle d’Europa: paese mio, che cosa farai per me? E se non ora, quando?
Le misure da prendere. Le pressioni da attuare. Le strategie da rivedere. Come fermare l’escalation antiebraica, come agire dopo i fatti di Amsterdam? Gli ebrei di Francia e Germania, Belgio e Austria, Svizzera e Scandinavia si interrogano. I leader delle varie comunità ebraiche d’Europa dicono la loro
Che cosa è cambiato in Europa dopo i fatti di Amsterdam? Come hanno reagito le comunità ebraiche dopo la caccia all’uomo avvenuta nella notte del 8-9 novembre? Ricordiamo brevemente i fatti: quella che doveva essere una semplice partita di Europa League tra Ajax e Maccabi Tel Aviv si è trasformata in una notte da incubo. Parole pesanti, inseguimenti e insulti sono degenerati in risse e aggressioni mirate contro i tifosi israeliani. Le indagini hanno rivelato che gli attacchi provenivano da manifestanti filopalestinesi e simpatizzanti a volto coperto e sebbene siano state segnalate provocazioni iniziali da parte di qualche tifoso del Maccabi, nulla poteva giustificare simili attacchi sproporzionati e brutali. Secondo fonti accreditate, gli assalti di Amsterdam non sono stati episodi isolati, ma atti premeditati e coordinati, avvenuti proprio un giorno prima dell’anniversario della Notte dei Cristalli, il 9 e 10 novembre 1938. Come riporta la Jüdische Allgemeine, dalle chat esaminate dal britannico Telegraph, emerge che la violenza è stata pianificata. In un gruppo chiamato “Buurthuis” (centro comunitario di quartiere), i partecipanti si sono organizzati per avviare una vera “caccia agli ebrei”.
Ma quali i numeri oggi di una preoccupante escalation? In Francia, gli episodi antisemiti sono triplicati; in Austria, quadruplicati; nei Paesi Bassi, sono otto volte più numerosi rispetto all’anno scorso. Stanchi di dover sempre chiedere protezione, i leader delle comunità ebraiche di tutta Europa alzano la voce: non bastano polizia e telecamere. Serve cambiare il linguaggio, spezzare la catena di ignoranza e pregiudizi che alimenta questo clima. «L’antisemitismo non si combatte solo con la sicurezza. Va combattuto nelle scuole, nelle famiglie, nei media -, ha detto un portavoce della comunità ebraica parigina. – Non possiamo accettare tutto questo in silenzio».
L’Unione Europea nel frattempo ha capito l’urgenza. Lo scorso 14 ottobre, la Commissione ha pubblicato la prima relazione sullo stato di avanzamento della strategia Ue 2021-2030 per la lotta all’antisemitismo e la promozione della vita ebraica. Quasi tutti gli Stati membri hanno avviato piani d’azione specifici e 23 Paesi hanno già una strategia nazionale. Ma per chi vive questa realtà ogni giorno, non è abbastanza. Servono fatti, non solo progetti e parole.
Mentre gli scontri scatenano proteste internazionali e rischiano di intensificare ulteriormente la polarizzazione tra comunità, sorgono domande cruciali: l’Europa può davvero proteggere le sue comunità ebraiche? C’è la volontà di intervenire concretamente? E come reagire all’apparato messo in piedi dagli antisemiti? Di seguito, i commenti, le riflessioni e le reazioni dei vari organismi ebraici nei Paesi dell’Europa occidentale e continentale agli eventi drammatici di Amsterdam (fa eccezione il Regno Unito, a cui dedicheremo un approfondimento più avanti).
OLANDA: clima di paura
«I miei genitori sono terrorizzati, io sono terrorizzato – ha urlato un uomo in olandese –. Ho una figlia piccola, cosa si farà, accidenti?». Un anziano ebreo avvolto in un cappotto invernale ha risposto con tono deciso: «Niente, assolutamente niente. Dal massacro del 7 ottobre in Israele, niente». Questi scambi, avvenuti dopo una notte da incubo, riflettono il clima di paura che ha pervaso la comunità ebraica di Amsterdam. Il venerdì successivo alla partita, i membri di questa comunità (che conta circa 15.000 iscritti) si sono confrontati con il vicesindaco della città, chiedendo risposte per non aver impedito i violenti attacchi ai tifosi israeliani.
Nel frattempo, la Dutch Organization for Central Jewish Consultation (CJO) ha sollecitato l’adozione di misure urgenti per garantire la sicurezza degli ebrei nei Paesi Bassi e in tutta Europa. Hans Weijel, vicepresidente della CJO, ha affermato che «la comunità ebraica non può essere ritenuta responsabile per le azioni di Israele» e ha sottolineato come la guerra in Medio Oriente stia alimentando la crescente tensione ad Amsterdam, dove, fino all’escalation recente, le comunità ebraica e musulmana vivevano in relativa armonia. «La gente sta diventando sempre più spaventata, altre persone stanno diventando più aggressive e antimusulmane – ha affermato Weijel –. Il governo ha addirittura inviato più polizia nelle sinagoghe e nelle scuole ebraiche, perché la gente ha paura».
Secondo un rapporto della Anti-Defamation League (ADL), tra ottobre e dicembre 2023 gli atti di antisemitismo nei Paesi Bassi sono aumentati dell’818% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, confermando una preoccupante tendenza globale.
Come riportato da Euronews, Daniella Coronel, una volontaria ebrea olandese presso l’associazione sportiva ebraica Maccabi, ha espresso il suo timore per il crescente antisemitismo nel Paese: «È la prima volta nella mia vita che, come ebrei, sentiamo il bisogno di nascondere la nostra identità». Coronel, che è anche figlia di un membro storico del consiglio di amministrazione dell’Ajax Amsterdam, ha descritto la sua esperienza nell’aiutare i tifosi del Maccabi a trovare rifugio in centri e alberghi prima del loro ritorno in Israele. Tuttavia, non tutti sono d’accordo con l’uso del termine “pogrom” per descrivere gli attacchi. Jair Stranders, membro del consiglio di amministrazione dell’Associazione ebraica progressista di Amsterdam e consigliere comunale, ha osservato che tale terminologia è stata strumentalizzata da alcuni leader per polarizzare ulteriormente le comunità. «La polarizzazione fa parte della democrazia – , ha dichiarato Stranders, – ma i problemi sorgono quando diventa un’arma».
BELGIO: incitamento all’odio
«C’è un aumento importante dell’odio, dell’incitamento alla violenza e della violenza stessa. Un rischio che va preso molto sul serio perché nella società si sta sviluppando una polarizzazione estrema, con un’attività indefessa degli ambienti islamisti, che sono estremamente presenti, sempre più violenti, e che possono passare all’azione. E il fattore dell’emulazione non è da sottovalutare». Queste le parole rilasciate da Yves Oschinsky, presidente del CCOJB (Comitato di coordinamento Organizzazioni ebraiche del Belgio), Paese “cugino” dei Paesi Bassi, con cui confina, e nazione dove la grande presenza di musulmani estremisti è da anni al centro dell’attualità: basta ricordare che Mohammed Salah, uno degli attentatori del 13 novembre 2015 a Parigi, proveniva da Mollenbeek, comune della città di Bruxelles a maggioranza musulmana, e lì era stato trovato nascosto in casa di amici dopo mesi di ricerche.
Non è un caso, del resto, che subito dopo i fatti di Amsterdam ad Anversa siano state arrestate cinque persone accusate di stare organizzando sui social una “caccia all’ebreo” come quella nei Paesi Bassi. «Ma anche a Bruxelles la situazione non è affatto tranquilla – ha spiegato Oschinsky in un’intervista a Radio Judaica (la radio ebraica del Belgio) -: qui l’università Popolare, creata all’interno dell’Università ULB l’anno scorso, ha pubblicato un comunicato di solidarietà ai loro ‘compagni’ olandesi in cui si dice che i sionisti non sono i benvenuti nelle strade di tutta l’Europa e proclamano il loro impegno nella mondializzazione dell’intifada e della Palestina “dal fiume al mare” (e non c’è alcun dubbio di cosa questo significhi detto da loro: l’eliminazione di Israele). E terminano con una frase choc: “no ai sionisti nei nostri quartieri, nessun quartiere per i sionisti”. Spero vivamente che verranno prese delle misure severe, sia dalla polizia che dalle stesse autorità accademiche, perché si tratta di volere riproporre a Bruxelles attacchi e linciaggi contro gli ebrei, a imitazione di Amsterdam».
FRANCIA: ansia alle stelle
All’indomani dell’attacco ad Amsterdam ai tifosi israeliani e la caccia all’ebreo, Yonathan Arfi, il Presidente del Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia, ha denunciato il “linciaggio di massa”, ma anche espresso la sua “preoccupazione” per l’incontro di calcio a Parigi, la partita fra Francia e Israele disputata a metà novembre: un evento che ha visto la vendita ridotta di 20.000 posti allo stadio (sugli 80.000 disponibili) e che si è svolto in una città blindata, con 4.000 poliziotti dispiegati e quartieri della città bloccati.
«Per principio rifiuto di cedere ai violenti – aveva dichiarato Arfi -. Che esempio daremmo se la partita fosse spostata o annullata? Ciò che conta è prevedere i dispositivi di sicurezza necessaria, anche nelle strade di Parigi. Il linciaggio di Amsterdam non è avvenuto solo davanti allo stadio, ma anche negli alberghi dei tifosi israeliani, che sono stati anche umiliati con dei video davvero biechi. Vengono presi di mira non solo per il conflitto a Gaza, ma anche perché sono ebrei. È l’antisemitismo più triviale che riemerge e che richiama alla mente altre immagini».
La preoccupazione del mondo ebraico in Francia è alle stelle, dopo che l’antisemitismo è esploso dall’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023: nei primi sei mesi del 2024, sono stati registrati 887 atti antisemiti, pari ad un aumento del 192% rispetto allo stesso periodo del 2023. Stando ad una nota di ottobre della DNRT, la Direzione nazionale dei servizi di intelligence regionali, che era stata consultata da Le Figaro, il 2024 sarà “un anno record”. La stessa nota conferma che la tendenza “sembra inscriversi sul lungo termine”. Un’inchiesta di Le Monde a settembre aveva a sua volta rivelato che, malgrado la guerra, 1.660 ebrei francesi hanno deciso di fare l’aliyah, tra il 7 ottobre 2023 e il 30 agosto 2024: il 50% in più rispetto allo stesso periodo del 2022-23. Ma anche che sono sempre di più coloro che auspicano di partire: a fine agosto, 5.700 persone avevano aperto la pratica presso l’Agenzia ebraica in Francia, ovvero il 338% in più rispetto al 2023. Mentre al Salone dell’Alyah di Parigi del 17 novembre di quest’anno si sono registrate 2500 iscrizioni: un numero record, motivato dall’esplosione dell’antisemitismo in Europa e in Francia in particolare.
GERMANIA: allarme violenza antisemita
“La folla araba dà la caccia ai tifosi di calcio ad Amsterdam”; “Consiglio centrale inorridito dalle rivolte”; “È scoppiata di nuovo la caccia agli ebrei”: questi alcuni dei titoli comparsi sulle principali testate tedesche all’indomani delle rivolte antisemite nella capitale olandese. Da Charlotte Knobloch, presidente onoraria del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, a numerosi rabbini, intellettuali, opinionisti e scrittori ebrei tedeschi, non si contano le dichiarazioni preoccupate nonché l’indignazione per la crescente intolleranza e violenza contro gli ebrei.
La Germania, un Paese che ha affrontato a lungo il peso della sua Storia legata alla Shoah, teme un ritorno dell’antisemitismo, soprattutto tra le nuove generazioni. Il Zentralrat der Juden in Deutschland – il Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, che opera a livello nazionale per promuovere il dialogo con il governo e garantire i diritti e la sicurezza della comunità ebraica – ha espresso il proprio sgomento per gli attacchi subiti dai tifosi israeliani ad Amsterdam.
Il presidente del Consiglio, Josef Schuster, ha definito gli eventi “immagini da incubo” in una dichiarazione rilasciata sulla piattaforma X. Ha sottolineato che non si trattava di semplici disordini tra tifoserie, ma di una vera e propria “caccia agli ebrei”. Inoltre, ha avvertito che la violenza antisemita in Europa, soprattutto in occasione di eventi sportivi, sta raggiungendo livelli allarmanti. Schuster ha quindi esortato a prendere molto seriamente questo fenomeno, sottolineando come tutto sia accaduto proprio a ridosso del 9 novembre, anniversario della Kristallnacht (Notte dei Cristalli), giornata in cui si commemorano le violenze antiebraiche avvenute in Germania.
A sua volta l’ambasciatore israeliano in Germania, Ron Prosor, ha descritto gli attacchi di Amsterdam come «un terribile pogrom contro ebrei e israeliani». In una dichiarazione rilasciata su X ha sottolineato come i fatti non fossero incidenti isolati ma parte di un’escalation di violenza. Prosor ha aggiunto che «in gran numero, le persone sul suolo europeo vengono violentemente attaccate dai rivoltosi musulmani e palestinesi semplicemente perché sono ebrei». Ha inoltre elogiato il Bundestag tedesco per la recente risoluzione contro l’antisemitismo, definendola un «impegno risoluto» per affrontare un «fenomeno disgustoso e preoccupante» e ribadendo che è giunto il momento per tutti i governi e parlamenti europei di assumere posizioni altrettanto ferme garantendo che il “Mai più!” sia «adesso!».
AUSTRIA: in aumento le minacce online
In Austria, attacchi antisemiti come ad Amsterdam non si sono ancora fortunatamente verificati. Tuttavia il clima sta cambiando (vedi pag. 12). Dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, il numero di incidenti antiebraici è aumentato, riportando alla luce un risentimento che in Austria ha radici profonde nella Storia. Un risentimento che, sommato all’odio di matrice islamica, crea alleanze pericolose e un’atmosfera di crescente tensione. La Israelitische Kultusgemeinde Wien (IKG), principale organizzazione ebraica austriaca, ha lanciato un grido d’allarme: «La rabbia contro gli ebrei non è più un fenomeno di nicchia, ma sta permeando la società», avverte Benjamin Nägele, segretario generale. Il fenomeno più diffuso? L’antisemitismo legato a Israele, che Nägele definisce «disinibito».
Le cifre parlano chiaro: nei primi sei mesi del 2023, gli attacchi fisici segnalati sono passati da 6 a 16, le minacce da 4 a 22. I danni a beni di proprietà ebraica sono raddoppiati, toccando quota 92. Soprattutto, le minacce online sono in costante aumento. Un’escalation che le autorità, pur avendo inasprito la legislazione contro i crimini d’odio, non sembrano riuscire a contenere.
L’atmosfera è pesante: nei luoghi pubblici, nelle scuole e nei campus universitari gli episodi di antisemitismo si moltiplicano, creando un clima di paura, specie tra i giovani. Oskar Deutsch, presidente dell’IKG, lancia un monito: «Non possiamo permettere che l’antisemitismo diventi normalità. L’effetto di assuefazione è il pericolo più grande». E la percezione non mente. Uno sportello per le segnalazioni di atti antisemiti ha registrato un aumento di cinque volte rispetto al passato, mentre i discorsi d’odio si moltiplicano. Nel frattempo, un sondaggio IFES e Demox Research rivela che il 60% dei giovani austriaci condanna l’attacco di Hamas come «un atto di terrorismo spregevole», ma solo un terzo giudica giustificata la reazione di Israele.
Come se non bastasse, tra negazionisti e banalizzatori, il solito refrain si fa strada: «Non è antisemitismo, è colpa degli israeliani». Una narrazione tossica che alimenta ulteriormente il ciclo dell’odio.
SVIZZERA: polarizzazione pericolosa
Anche la Svizzera, a lungo considerata un rifugio sicuro per le comunità ebraiche europee, non è più immune dall’onda crescente di antisemitismo che attraversa l’Europa. «La confusione tra antisemitismo e critiche alla politica israeliana è ormai un problema comune a molti paesi», aveva già sottolineato Micaela Goren Monti, presidente di una fondazione ebraica di Lugano. Narrazioni mediatiche sbilanciate, che spesso ignorano le sofferenze israeliane, stanno alimentando una polarizzazione pericolosa.
Jonathan Kreutner, segretario generale della Federazione delle Comunità Israelite Svizzere (FCSI), ha dichiarato che anche in Svizzera si è registrato un aumento di aggressioni e minacce, seppur meno intense rispetto a episodi come quelli nei Paesi Bassi. «Le sinagoghe e le scuole sono sotto stretto controllo delle forze di polizia, ma il clima di paura nella comunità è palpabile», ha affermato un portavoce della FCSI. Secondo un rapporto della Federazione, gli attacchi antisemiti nel Paese sono aumentati significativamente, con un picco di 150 casi al mese dopo ottobre. Episodi gravi, come le vetrate infrante della sinagoga di La Chaux-de-Fonds o minacce dirette a istituzioni ebraiche, hanno costretto il governo a rafforzare la sicurezza, specialmente nelle grandi città come Zurigo e Ginevra.
Tuttavia, il fenomeno non è solo fisico. La crescente ostilità online preoccupa profondamente: sui social media, messaggi di odio si diffondono senza controllo, contribuendo a un clima sempre più avvelenato. Secondo il Coordinamento intercomunitario contro l’antisemitismo, eventi come quelli di Amsterdam creano un effetto domino: l’odio si propaga e colpisce le comunità, ovunque si trovino.
PAESI SCANDINAVI: continue tensioni
Anche le comunità ebraiche della Scandinavia – Danimarca, Svezia e Norvegia – sono sempre più preoccupate per l’inasprirsi dell’antisemitismo nell’era post-Amsterdam. Sebbene non siano emerse dichiarazioni ufficiali specifiche da parte delle autorità ebraiche, le reazioni generali evidenziano un clima di crescente allarme. L’antisemitismo sembra aver raggiunto livelli mai visti dalla Seconda guerra mondiale. I dati successivi al 7 ottobre 2023, aggravati dagli scontri di Amsterdam, dipingono un quadro fosco: la retorica antisemita si mescola con le tensioni geopolitiche del Medio Oriente, creando un terreno fertile per l’odio. Le comunità ebraiche hanno chiesto misure di sicurezza più rigide e un impegno politico più deciso per distinguere tra critica legittima a Israele e antisemitismo, evitando che i due ambiti vengano confusi.
In Scandinavia vivono circa 30.000 ebrei, una minoranza esigua rispetto alla popolazione musulmana, che supera i 1,3 milioni. In Svezia, con 14.900 ebrei e circa 810.000 musulmani, il rapporto è di uno a 54; in Danimarca, dove gli ebrei sono 6.400 e i musulmani 320.000, uno a 50; in Norvegia, la seconda comunità ebraica più piccola della Scandinavia dopo l’Islanda, con circa 1.200 membri e 180.000 musulmani, il rapporto è uno a 150. Sebbene questi numeri non riflettano conflitti diretti, il quadro demografico evidenzia una coesistenza che nasconde tensioni profonde. Secondo stime di fonti come il Pew Research Center e l’European Jewish Congress, la relativa esiguità della popolazione ebraica, rispetto alla più ampia presenza musulmana nei tre Paesi, contribuisce a questa dinamica di tensione.
In Norvegia, l’antisemitismo si manifesta principalmente in modo episodico, ma l’aumento dell’antisionismo ha spinto la comunità ebraica di Oslo a rafforzare la sicurezza, con sinagoghe protette e vigilanza costante. Il governo norvegese ha promesso maggiori fondi per combattere l’antisemitismo, inclusi finanziamenti per centri culturali ebraici e l’addestramento della polizia.
In Svezia, episodi di antisemitismo sono frequenti, specialmente a Malmö, dove la comunità ebraica locale, già in declino, ha messo in guardia sul rischio di estinzione senza misure adeguate. È urgente garantire protezioni più forti e adottare azioni governative concrete per fermare la crescente ostilità.
In Danimarca, personalità di spicco della comunità, come Martin Krasnik, direttore del quotidiano Weekendavisen, hanno denunciato la normalizzazione delle misure di protezione, come il filo spinato attorno a scuole e sinagoghe, come sintomo di un malessere sociale più profondo. Nonostante l’aumento della presenza della polizia, persiste la preoccupazione che l’odio stia diventando parte integrante della società.