Fonte:
moked.it
MEMORIA – Mattarella: 7 ottobre raccapricciante replica della Shoah
I discorsi del Capo dello Stato e di Noemi Di Segni
Dal Quirinale, durante la cerimonia per il Giorno della Memoria, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lancia l’allarme: “La ruota della storia sembra talvolta smarrire la sua strada, portando l’umanità indietro, a tempi e a stagioni che mai avremmo pensato di rivivere”. Parole d’ordine, gesti di odio e di terrore “sembrano di nuovo affascinare e attrarre, nel nostro continente ma anche altrove”. In questo senso il ritorno dell’antisemitismo “ha assunto, recentemente, la forma della indicibile, feroce strage antisemita di innocenti nell’aggressione di terrorismo che, in quella pagina di vergogna per l’umanità avvenuta il 7 ottobre, non ha risparmiato nemmeno ragazzi, bambini e persino neonati”. Immagine “di una raccapricciante replica degli orrori della Shoah”, ha detto Mattarella, che ha spiegato di guardare a Israele come a un paese “a noi vicino e pienamente amico, oggi e in futuro, per condivisione di storia e valori” e di sentir crescere “di giorno in giorno l’angoscia per gli ostaggi nelle mani crudeli di Hamas”, con l’angoscia che “sorge anche per le numerose vittime tra la popolazione civile palestinese nella Striscia di Gaza”.
Dedicata ai “Giusti tra le Nazioni”, la cerimonia si è aperta con un intervento di Simonetta Della Seta, presidente del gruppo di lavoro Memoriali e Musei dell’Ihra, ed è proseguita con le riflessioni della presidente Ucei Noemi Di Segni, del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, del sopravvissuto Sami Modiano, che ha dialogato con alcuni studenti appena rientrati dal Viaggio della Memoria di ministero e Ucei. Studenti protagonisti anche con la premiazione delle classi vincitrici del concorso nazionale “I giovani ricordano la Shoah”. Presenti al Quirinale le più alte cariche dello Stato: il presidente del Senato, Ignazio La Russa, quello della Camera, Lorenzo Fontana, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Come si vive il 27 gennaio dopo il 7 ottobre?”, si è chiesta Di Segni, “Che memoria è se dopo 80 anni dalle deportazioni ci sentiamo dire che in fondo Hitler e Mussolini avevano ragione? Se ci sono università che decidono di boicottare la ricerca israeliana e allontanare gli ebrei dagli atenei? Se Israele e gli ebrei, quei sopravvissuti a cui si è giurato ‘mai più’, sono il nazista genocida, e i carnefici sono martiri che lottano per liberazione, citando Primo Levi? Come si celebra oggi il Giorno della Memoria se ci sentiamo dire che i lager sono in Medio Oriente e il gas è quello della cultura ebraica?”. Secondo Di Segni si tratta di memoria “che rischia di essere svuotata, che affievolisce le coscienze occidentali attenuando le responsabilità, che ripropone antichi pregiudizi, che sussurra un ‘mai più’ solo ai sei milioni di morti ma non lo riconosce come diritto ai vivi”. Occorre pertanto “chiarire con sottotitoli in tutte le lingue che le immagini del 27 gennaio sono solo ed unicamente della Shoah” e che il 7 ottobre e gli atti vissuti in questi mesi “sono un tunnel sotterraneo che ci farà uscire ad Auschwitz se non si vigila seriamente”.
“La Shoah è stata la negazione della persona, un concetto cardine della civiltà occidentale, che venne calpestato nel cuore dell’Occidente”, ha affermato il ministro Valditara. Con la Shoah sono state annientate “milioni di possibilità mai esplorate, milioni di incontri mai avvenuti”, ha proseguito, evidenziando anche che migliaia di ebrei italiani “furono sterminati a causa del colpevole collaborazionismo del regime fascista”. L’antisemitismo ritorna e “la persecuzione e l’annientamento dell’ebreo in quanto ebreo si ripresenta sotto nuova veste”, il monito di Valditara. E allora “mai come oggi la chiamata alla coscienza individuale del Giusto deve farsi memoria comune, perché il nostro io sia sempre in grado di scorgere nell’altro un tu prezioso, intangibile, irripetibile”. “La giustizia è un atto portante nell’ebraismo”, aveva ricordato Della Seta. “Anche il concetto di pace non può essere scisso da quello di giustizia. Non può esserci pace se la giustizia non è compiuta”. Sono stati i sopravvissuti allo sterminio “ad averci insegnato la gratitudine nei confronti dei Giusti tra le nazioni, persone che simboleggiano la capacità dell’essere umano di esercitare il libero arbitrio per scegliere il bene in opposizione al male”, ha aggiunto Della Seta. Davanti all’odio che torna a colpire, l’invito è a prendere esempio da queste storie “perché la Memoria non è retorica, ma azione”.
Discorso di Sergio Mattarella – Cerimonia Quirinale Giorno della Memoria
Rivolgo un saluto di benvenuto ai Presidenti del Senato, della Camera dei deputati, del Consiglio dei ministri, della Corte costituzionale.
Ringrazio per i loro interventi il Ministro Valditara, la Presidente Di Segni, la Dottoressa della Seta. E Sami Modiano che è stato abbracciato da tutti i presenti.
Un ringraziamento a Sara Zambotti, ad Alessandro Albertin, a Gabriele Coen e al suo gruppo, a Rai Storia per il filmato e, a nome di tutti, vorrei inviare un augurio per la sua salute a Tatiana Bucci.
A tutti i presenti un saluto, sapendo che sono fortemente coinvolti in questo momento di memoria.
“La storia della deportazione e dei campi di concentramento non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: ne rappresenta il fondamento condotto all’estremo, oltre ogni limite della legge morale che è incisa nella coscienza umana”. Con queste parole, un sopravvissuto all’inferno di Auschwitz, Primo Levi, scolpiva, nel 1973, il giudizio sulle radici e sulle responsabilità prime dello sterminio organizzato e programmato ai danni di donne e uomini definiti di razze inferiori, il più grave compiuto nella storia dell’umanità.
Il più abominevole dei crimini, per gravità e per dimensione – il genocidio di milioni di persone innocenti – commesso a metà dello scorso secolo nel cuore della civile Europa, dove già da molto tempo gli ideali di libertà, di rispetto dei diritti dell’uomo, di tolleranza, di fratellanza, di democrazia si erano diffusi, e venivano proclamati e largamente praticati.
Il senso di incredulità registrato di fronte a quanto accaduto in quegli anni sventurati, accanto al pudore dei sopravvissuti, rinchiusisi, in un primo momento, nel silenzio, traeva la sua origine anche da una concezione ottimistica della Storia e della natura dell’uomo.
L’uomo del Novecento – immerso nel tempo della ragione, della fiducia incondizionata nell’avanzamento della scienza, della cultura, della tecnica – mai avrebbe pensato di trovarsi di fronte a un tornante così tragico; mai avrebbe concepito la possibilità di una simile regressione: mentre si confidava – come veniva conclamato – in un’alba radiosa per l’umanità, si trovò improvvisamente precipitato nelle tenebre più fitte.
Auschwitz spalancava – e spalanca tuttora – i suoi cancelli su un abisso oltre ogni immaginazione. Un orrore assoluto, senza precedenti – cui null’altro può essere parificato – ideato e realizzato in nome di ideologie fondate sul mito della razza, dell’odio, del fanatismo, della prevaricazione. Un orrore che sembrava inconcepibile tanto era lontano dai sentimenti che normalmente si attribuiscono al genere umano.
Eppure Auschwitz e tutto il meccanismo di sterminio – che ha inghiottito milioni di ebrei, e anche appartenenti al popolo Romanì, omosessuali, dissidenti, disabili, testimoni di Geova – sono stati concepiti e realizzati da menti umane. Menti che, per quanto perverse, hanno sedotto, attratto e spinto alla complicità centinaia di migliaia di persone, trasformate in “volenterosi carnefici” secondo la lucida definizione di Daniel Goldhagen.
Eppure le ideologie di superiorità razziale, la religione della morte e della guerra, il nazionalismo predatorio, la supremazia dello Stato, del partito, sul diritto inviolabile di ogni persona, il culto della personalità e del capo, sono stati virus micidiali, prodotti dall’uomo, virus che si sono diffusi rapidamente, contagiando gran parte d’Europa, scatenando istinti barbari e precipitando il mondo intero dentro una guerra funesta e rovinosa.
“Siamo uomini – ammoniva ancora Primo Levi – apparteniamo alla stessa famiglia umana a cui appartennero i nostri carnefici”, dimostrando “per tutti i secoli a venire quali insospettate riserve di ferocia e di pazzia giacciano latenti nell’uomo dopo millenni di vita civile.”
Nel buio più fitto, nella lunga e oscura notte dell’umanità, prendendo a prestito un’immagine di Elie Wiesel, tante piccole fiammelle hanno indicato una strada diversa dall’odio e dalla oppressione.
Sono stati i “Giusti”, secondo una terminologia cara al popolo ebraico perseguitato. Persone che, per motivazioni diverse, hanno rischiato la propria vita e talvolta l’hanno perduta per mettere in salvo cittadini ebrei dalla furia omicida nazifascista. Un lungo elenco di nomi, quasi ottocento – come abbiamo ascoltato – quelli finora accertati in Italia, una costellazione di luci e di speranza che continua a rassicurare sul destino dell’umanità.
Persone tra le più disparate: donne e uomini, laici e religiosi, partigiani, appartenenti alle forze dell’ordine, funzionari dello Stato, intellettuali, contadini. Accomunati dal coraggio, dalla rivolta contro la crudeltà, dal senso di umanità.
C’è chi ha nascosto e protetto, chi ha falsificato documenti e liste, chi ha aiutato a espatriare. Migliaia di gesti, grandi e piccoli, di ribellione contro il conformismo e contro l’ideologia imperante.
Abbiamo ricordato quest’oggi qualche nome: da Giorgio Perlasca a Gino Bartali e gli altri che, nel video e nelle letture, sono stati riproposti alla nostra riconoscenza.
Desidero citarne alcuni altri che hanno condiviso il tragico destino della deportazione delle persone che hanno tentato di salvare.
Odoardo Focherini, amministratore del giornale cattolico Avvenire d’Italia; Torquato Fraccon, partigiano, morto a Dachau insieme al figlio; il domenicano, padre Giuseppe Girotti; Calogero Marrone, capo ufficio anagrafe del comune di Varese, Giovanni Palatucci, reggente della questura di Fiume; Andrea Schivo, agente di custodia nel carcere San Vittore di Milano. Scoperti e arrestati dai nazifascisti hanno concluso la vita nei lager tedeschi.
Di fronte alla barbarie, di fronte all’ingiustizia, tutte queste persone non hanno girato la testa, non hanno volto lo sguardo altrove.
Hanno sconfitto, innanzitutto dentro loro stessi, la paura, l’inerzia complice, l’indifferenza che, come ci ricorda spesso Liliana Segre – cui rivolgo un pensiero affettuoso a ottant’anni della sua deportazione – è la più perniciosa delle colpe.
I “Giusti” hanno dimostrato, a rischio della propria vita e di quella delle loro famiglie, che il senso di umanità, se rettamente coltivato, resiste in ogni condizione e supera persino i confini del tempo e della morte. Ci hanno insegnato, anche di fronte a tragedie immani, il valore salvifico dei gesti di coraggiosa solidarietà. Perché, per ripetere anch’io questa mattina il celebre detto del Talmud, “chi salva una vita salva il mondo intero.”
L’esempio dei Giusti rischiara la nostra via e il nostro percorso. E consente di ritessere quella trama di fiducia nel genere umano che con la costruzione dei campi di sterminio sembrava per sempre distrutta.
Tuttavia, di fronte a questi esempi di altruismo, di coraggio, di abnegazione, risaltano ancor di più i crimini commessi da altri uomini e altre donne, in nome di regimi dittatoriali e brutali.
Celebrare doverosamente i Giusti non deve far dimenticare i tanti, troppi ingiusti: i pavidi, i delatori per denaro, per invidia o per conformismo; i cacciatori di ebrei; gli assassini; gli ideologi del razzismo.
Non c’è torto maggiore che si possa commettere nei confronti della memoria delle vittime che annegare in un calderone indistinto le responsabilità o compiere superficiali operazioni di negazione o di riduzione delle colpe, personali o collettive.
Non si deve mai dimenticare che il nostro Paese, l’Italia, adottò durante il fascismo – in un clima di complessiva indifferenza – le ignobili leggi razziste: il capitolo iniziale del terribile libro dello sterminio; e che gli appartenenti alla Repubblica di Salò collaborarono attivamente alla cattura, alla deportazione e persino alle stragi degli ebrei.
Un portato inestinguibile di dolore, di sangue, di morte sul quale mai dovremo far calare il velo del silenzio. I morti di Auschwitz, dispersi nel vento, ci ammoniscono continuamente: il cammino dell’uomo procede su strade accidentate e rischiose.
Lo manifesta anche il ritorno, nel mondo, di pericolose fattispecie di antisemitismo: del pregiudizio che ricalca antichi stereotipi antiebraici, potenziato da social media senza controllo e senza pudore.
La nostra Costituzione dispone con chiarezza: tutti i cittadini sono portatori degli stessi diritti.
La presenza ebraica è stata fondamentale per lo sviluppo dell’Italia moderna e nella formazione della Repubblica.
Le comunità ebraiche italiane sanno che l’Italia è la loro casa e che la Repubblica, di cui sono parte integrante, non tollererà, in alcun modo, minacce, intimidazioni e prepotenze nei loro confronti.
Anche ai nostri giorni, la ruota della storia sembra talvolta smarrire la sua strada, portando l’umanità indietro, a tempi e stagioni che mai avremmo pensato di dover rivivere.
Le conquiste della pace e delle libertà democratiche sono esaltanti e vanno salvaguardate di fronte a risorgenti tentazioni di risolvere le controversie attraverso il ricorso alla guerra, alla violenza, alla sopraffazione.
Parole d’ordine, gesti di odio e di terrore sembrano di nuovo affascinare e attrarre, nel nostro Continente ma anche altrove.
Su questo occorrerebbe compiere un’approfondita riflessione: indagando le motivazioni che spingono numerose persone a coltivare in modo inaccettabile simboli e tradizioni di ideologie nefaste e minacciose, che hanno portato all’umanità soltanto dolore, distruzione, morte.
Va richiamata, a questo riguardo, l’importanza decisiva della cultura, dell’istruzione. Di quanto – ad esempio – sono preziose le collaborazioni di studio e ricerca tra le Università, sempre positive; sempre fonte di avanzamento di civiltà, al di sopra di ogni frontiera. Sempre affermazione del carattere della cultura, che unisce e non può separare.
Il fanatismo, religioso o nazionalista, che, mosso da antistoriche e disumane motivazioni, non tollera non soltanto il diritto ma neppure la presenza dell’altro, del diverso, ritiene di poter imporre la sua visione con la forza, la guerra e la violenza, violando i principi fondamentali del diritto internazionale e della civiltà umana.
Siamo di fronte a un nuovo “crinale apocalittico” per usare un’espressione cara a Giorgio La Pira.
In alcune zone del mondo, in un’epoca così travagliata come la nostra, sembra divenuta impossibile non soltanto la convivenza, ma persino la vicinanza.
Assistiamo, nel mondo –ripeto -, a un ritorno di antisemitismo che ha assunto, recentemente, la forma della indicibile, feroce strage antisemita di innocenti nell’aggressione di terrorismo che, in quella pagina di vergogna per l’umanità, avvenuta il 7 ottobre, non ha risparmiato nemmeno ragazzi, bambini, persino neonati. Immagine di una raccapricciante replica degli orrori della Shoah.
Siamo convinti che i giacimenti di odio siano stati ingigantiti da parole e atti spietati, persino blasfemi. Il sogno di una pace, sancita dal reciproco riconoscimento e rispetto delle tre religioni monoteiste figlie di Abramo, appare lontano – forse come non è mai stato in tempi recenti – ma rimane l’orizzonte di un riscatto di questa parte del mondo, e non soltanto di questa.
Guardiamo a Israele come Paese a noi vicino e pienamente amico, oggi e in futuro, per condivisione di storia e di valori. Siamo e saremo sempre impegnati per la sua sicurezza.
Sentiamo crescere in noi, di giorno in giorno, l’angoscia per gli ostaggi nelle mani crudeli di Hamas.
L’angoscia sorge anche per le numerose vittime tra la popolazione civile palestinese nella striscia di Gaza.
Anzitutto per l’irrinunziabile rispetto dei diritti umani di ciascuno, ovunque. E anche perché una reazione con così drammatiche conseguenze sui civili, rischia di far sorgere nuove leve di risentimenti e di odio.
Può accrescere gli ostacoli per il raggiungimento di una soluzione capace di assicurare pace e prosperità in quella regione, così centrale nella storia dell’umanità e così martoriata.
Coloro che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato.
Ci ostiniamo a rimanere fiduciosi nel futuro dell’umanità. Nella convinzione profonda che un futuro intriso di intolleranza, di guerra e di violenza, non sia il desiderio iscritto nelle coscienze delle donne e degli uomini.
I Giusti, con il loro coraggio, con la loro speranza e il loro sacrificio ci indicano la direzione e ci esortano ad agire, con determinazione e a tutti i livelli, contro i predicatori di odio e contro i portatori di morte.
I Giusti italiani sono tra le radici migliori della nostra Repubblica. Per questo li celebriamo e li onoriamo, tutti insieme, come popolo italiano e come comunità, oggi, nel Giorno della Memoria.
Discorso di Noemi Di Segni – Cerimonia Quirinale Giorno della Memoria
I dieci comandamenti sono il cuore statutario della fede e dell’agire individuale, familiare e sociale. L’imperativo del secondo comandamento va a rafforzare il precetto monoteista, con il divieto di crearsi un’immagine di D-o. È proprio l’assenza dell’immagine e conferire forza al D-o in cui siamo chiamati a credere. Diversamente, nelle relazioni tra umani, le immagini sono da sempre il conduttore di un pensiero-proposito di chi le crea, chi le divulga, chi le consuma. Ieri scolpite nella pietra, oggi con intelligenza artificiale. Le immagini scattate il 27 gennaio con la liberazione del campo di Auschwitz hanno svelato al mondo l’orrore dello sterminio. Stadio di soluzione finale cui si è giunti dopo secoli di pregiudizio antigiudaico e di una pianificata propaganda, penetrata nelle menti attraverso immagini dell’ebreo-pericoloso con il suo naso adunco e attitudini allo sfruttamento e al controllo. Immagini dell’orrore artatamente celato che ci hanno fatto ben comprendere che l’uomo creato ad immagine di D-o era stato capace di sterminare un suo simile ritenendosi di razza superiore, posizionando il Duce- Führer al di sopra dello stesso D-o, iconizzandoli e inneggiandoli ovunque. Il primo comandamento ribaltato esigendo sacrificio di vite e nuove crociate. È lapidaria come le tavole delle leggi l’unicità della Shoah. Eppure, dinanzi alle immagini delle ossa ammassate, dei corpi deturpati, degli esperimenti su donne e bambini, dei sopravvissuti con il volto della morte impressa per sempre, c’è chi ha deciso di distogliere lo sguardo evitando ogni questione di responsabilità – del nazismo e del fascismo – o ancor peggio di negare che questo è stato. Argomentando che quelle immagini le abbiamo inventate per generare pietà e ottenere altro potere. Abbiamo visto in questi anni l’uso distorto delle immagini di Anna Frank sulle maglie negli stadi banalizzando e abusando così la memoria della Shoah. La memoria – statuita come impegno di Legge da oltre 20 anni – è un immenso schermo che ci trasmettere le coraggiose testimonianze, le immagini dei sommersi e i salvati, dei luoghi attraversati, dei Giusti riconosciuti da Yad Vashem, per arginare la diffusione di quelle menzognere e per soffocare dentro di noi quelle che tornano come incubo. All’alba del 7 ottobre, nel giorno di festa dedicato a quel sacro testo donato sul monte Sinai, migliaia di terroristi di Hamas hanno massacrato, torturato e bruciato intere famiglie e ragazzi nelle loro case o mentre festeggiavano, portando in ostaggio oltre 260 persone e, nel mentre, pubblicavano sui social le immagini di un orrore che mai nessuno avrebbe pensato potesse esistere. O mai più esistere. Orrore al quale ancora non sappiamo dare un nome. Non è la Shoah ma è lo specchio di una volontà di sterminio. Non è il nazismo ma il fondamentalismo islamico. Non è Heil Hitler e Viva il duce ma Alla-Akbar. Lo stesso D-o nostro al quale alziamo gli occhi e chiediamo perché. Da lì a poco l’odio antisemita è divampato e le immagini che pensavamo essere quelle dei libri di storia sono divenute scatti di attualità nelle nostre città e comunità.
La caccia degli squadristi dei centri sociali all’israeliano-ebreo, il saluto romano, la paura di girare con la kipà o parlare in ebraico, le scritte con le croci uncinate. Il passato torna con le sue immagini e le sue urla. Abbiamo cucito la stella gialla sulla membrana della memoria, convinti di poter indossare liberamente quella piccola stella di David come ornamento. Il 7 ottobre è per noi il puzzle delle immagini degli ostaggi, (del piccolo Kfir Bibes), nelle loro vite appena prima, delle donne stuprate, quelle tenute nel cassetto per pudore mediatico e rispetto della dignità delle vittime, delle città sotterranee e quelle nuovamente bombardate. Il 7 ottobre è per noi l’immagine di una Croce Rossa mimetizzata. Come si vive il 27 gennaio dopo il 7 ottobre? Che memoria è, se dopo 80 anni dalle deportazioni ci sentiamo dire che in fondo Hitler e Mussolini avevano ragione? Se ci sono università che decidono di boicottare la ricerca israeliana e allontanare gli ebrei dagli atenei? se Israele e gli ebrei – quei sopravvissuti a cui si è giurato “mai più” – sono il nazista genocida e i carnefici sono martiri che lottano per liberazione, citando Primo Levi? Se l’Europa rischia di essere unita dal sentimento sovranista? Come si celebra oggi il Giorno della Memoria se ci sentiamo dire che i lager sono in Medioriente e il gas è quello della cultura ebraica? se quel D-o nostro senza immagine è considerato vendicativo anziché misericordioso. Se la difesa è diventata genocidio. Tutto questo per generare un’accusa non solo mediatica ma anche giudiziaria. È difficile per me essere qui oggi. È una memoria che rischia di essere svuotata, che affievolisce le coscienze occidentali attenuando le responsabilità. Che ripropone antichi pregiudizi, che sussurra un “mai più” solo ai sei milioni di morti ma non lo riconosce come diritto ai vivi. Occorre chiarire con sottotitoli in tutte le lingue che le immagini del 27 gennaio sono solo ed unicamente della Shoah (sono quelle della stanza degli specchi con photo dei bimbi a Yad Vashem, dei km di archivi, del viale dei Giusti, di Tati e Andra, Sami, che sono qui). Che quelle del 7 ottobre e degli atti vissuti in questi mesi sono un tunnel sotterraneo che ci farà uscire ad Auschwitz se non si vigila seriamente. Noi oggi siamo preoccupati e non possiamo sottrarci al monito della memoria coerente, rivolto alle istituzioni e ai singoli cittadini. Quale volto vi restituisce lo specchio quando vi guardate ogni mattina? Di chi mantiene ben acceso quel faro della memoria o di chi sceglie quella penombra indifferente? La nostra responsabilità, come comunità ebraiche, è quella di continuare a trasmettere immagini di moralità anche nel dilemma più lacerante, solidarietà nella ricostruzione di quanto bruciato e distrutto. Immagini di vita che prosegue nonostante le minacce. Di impegno a convivere nel nostro piccolo quotidiano con chi porta dentro di sé l’immagine dello stesso o altro D-o che ispira riconoscimento, pace a pacatezza. L’Italia che si appresta a guidare il G7 e a ricoprire un ruolo di rilievo nel domani europeo, deve trasmettere quella capacità di innovazione nella salvaguardia di valori e dignità della persona. I media e i social devono associare alle immagini una narrazione corretta che informa e non indottrina odio, nelle scuole deve proseguire convintamente il progetto di educazione civica e lotta ad ogni forma di odio e antisemitismo. L’Italia deve portare dentro di sé l’immagine scolpita della Memoria e di chi ne è ancora testimone. A loro in particolare, a tutti coloro che hanno combattuto le dittature, ai Giusti che hanno restituito la scintilla della vita ai salvati, il nostro omaggio di memoria.