23 Settembre 2022

Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione CDEC, recensisce il terzo volume della biografia romanzata su Benito Mussolini dello scrittore Antonio Scurati

Fonte:

Moked.it

Autore:

Gadi Luzzatto Voghera

Mussolini, gli ebrei e quegli errori da matita rossa

Gli ultimi giorni dell’Europa, il terzo e ultimo volume dell’acclamatissima trilogia su Mussolini dello scrittore Antonio Scurati, è tra i libri del momento. Accolto con grande favore dalla stampa e dall’opinione pubblica, presenta in realtà non pochi elementi critici. Errori da matita rossa e scelte di metodo, nel campo dell’uso pubblico della Storia, che lasciano perplessi. La lettura di Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione CDEC di Milano.

La campagna pubblicitaria che l’editore Bompiani ha organizzato per il lancio del terzo volume del romanzo storico che Antonio Scurati ha dedicato a Mussolini (M. Gli ultimi giorni dell’Europa, Milano 2022) è decisamente di grande impatto. Direi vagamente inquietante. La M di Mussolini stilizzata dai designer del regime fascista negli anni Trenta è un logo assoluto e perfetto (in fatto di comunicazione quelli ci sapevano fare, ahimè). La scelta di disegnarlo di colore nero e inquadrarlo in un cerchio bianco su campo rosso è altrettanto significativa. Al posto della svastica nazista nella loro bandiera ci mettiamo la M di Mussolini, a dirci che il tema del volume è proprio quello: come il Duce del Fascismo divenne succube del regime del Führer. Così oggi abbiamo le vetrine delle principali librerie d’Italia tappezzate in forma macabra di una quasi bandiera nazista. A me fa paura, personalmente, ma probabilmente è l’effetto che l’editore voleva sortire.

Non intendo fare una recensione. Difficile scriverne per un romanzo, ancorché storico. Vorrei però fare alcune considerazioni generali e segnalare alcune piccole ma necessarie correzioni da revisore di bozze, così magari in successive ristampe si può trovare il modo di mettere mano agli inevitabili errori che lo stesso autore ammette ci potrebbero essere. Ci sono. Ecco quelli che ho visto io a proposito di ebrei e di fascismo. A p. 60 il “fanatico” capo indiscusso dell’antisemitismo fascista non è Alessandro Preziosi (che è un bravo attore contemporaneo del tutto estraneo alla vicenda) bensì Giovanni Preziosi. A p. 74 si dice che Ercole d’Este accolse gli ebrei cacciati dalla Spagna (verissimo) concedendo loro di erigere una sinagoga in via Mazzini (e questo è un bel po’ anacronistico; povero Mazzini all’epoca era nella mente degli dèi; quella via si chiamava strada dei Sabbioni e non ospitò mai una sinagoga sefardita, che è invece collocata nell’attuale via Vittoria). A p. 85 Romano Ravenna, ultimo figlio del podestà Renzo Ravenna, compare come “battezzato” con il nome del quartiere di Ferrara appena inaugurato dal padre. Il problema è che gli ebrei non vengono battezzati (a meno che non li si voglia convertire). Ora, se pure è vero che Benedetto Croce sosteneva che “non possiamo non dirci cristiani”, magari nello scrivere di ebrei bisognerebbe adottare qualche cautela e non introiettare come assoluta e valevole per tutti la terminologia della ritualità cattolica. La famiglia di Renzo Ravenna – che Scurati disegna correttamente come ebreo devoto – non intraprese mai durante la guerra la strada della conversione e rimase fedele alla tradizione dei padri.

Finisco qui con le correzioni da penna rossa e tento qualche altra nota a margine di un libro comunque riuscito, seppure personalmente io abbia preferito di gran lunga il primo volume dedicato alla nascita del fascismo. Il tema credo sia quello dell’uso pubblico della storia. Cioè quali strumenti scegliamo per raccontare agli italiani gli anni che condussero il Paese in guerra, fra il 1938 e il 1940. Nel caso di questo libro (che sarà molto letto e che da quel che so diventerà anche una serie televisiva) le scelte sono state quattro: una geografica (Ferrara), una concettuale (l’ebraismo italiano e le leggi sulla razza che lo colpirono), una diplomatico-politica (l’operato di Galeazzo Ciano) e infine una sensual-sentimentale (il rapporto del Duce con la giovane amante Claretta Petacci). Si tratta di prospettive particolari, che credo dipendano in gran parte dalle fonti studiate da Scurati. Le scelte, tutte le scelte narrative, sono legittime. Un romanzo storico deve compierne e l’autore non ha timore a farlo. A patto che i lettori non lo considerino un libro di storia, bensì un libro su (quella) storia. Solo a queste condizioni il libro diventa leggibile e godibile. Che se invece uno vuole informarsi in maniera più articolata sulla storia dell’Italia fascista direi che la letteratura non manca, e certamente le conclusioni a cui giungerebbero i lettori sarebbero differenti.

Ci sono alcuni aspetti che a me interessa sottolineare, ragionando del metodo scelto più che del merito. Innanzitutto, la centralità assegnata alla vicenda delle persecuzioni antiebraiche. Un terzo circa del libro è dedicato a questa vicenda, narrata attraverso l’esperienza del podestà ebreo di Ferrara Renzo Ravenna (su cui anni fa uscì una documentatissima biografia scritta da Ilaria Pavan) e in piccola parte da quella dell’ex amante e biografa di Mussolini Margherita Sarfatti. Io credo che se questo libro fosse stato scritto solo vent’anni fa le scelte narrative sarebbero state molto diverse. Dare un così grande rilievo alle vicende personali di due ebrei, entrambi fascisti, attorno cui far ruotare gli scontri interni al regime (i contrasti, ad esempio, del Capo con Italo Balbo, che ne esce paradossalmente quasi come un eroe antifascista) è un segno dei tempi della nostra Italia di oggi. Solo in questi tempi gli ebrei sono oggetto di una spasmodica attenzione, magari insultante (nel caso dell’antisemitismo) oppure adulante (quando il politico di turno si dichiara amico di Israele “senza se e senza ma”). Mah…, avrebbe detto dubbioso mio suocero, e avrebbe aggiunto una citazione latina: “Timeo Danaos et dona ferentes”. La narrazione rischia quindi di diventare in forma romanzata la conferma della versione proposta da Renzo De Felice nella sua monumentale biografia di Mussolini e diventata un po’ la vulgata in questo campo (sebbene di molto datata). Il regime fascista avrebbe raggiunto l’apice del consenso negli anni Trenta, e avrebbe poi dilapidato la fiducia degli italiani intraprendendo la strada dell’antisemitismo e della persecuzione degli ebrei. Una scelta imposta dall’imminente alleanza con Hitler, non compresa e non apprezzata dalla maggior parte degli italiani. Il tutto condito dall’affermazione superficiale e poco rispondente al vero per cui in Italia non ci sarebbe stato antisemitismo prima di allora (“L’Italia non era antisemita – afferma Scurati in un’intervista a 7-Sette del Corriere della Sera – l’Italia diventa antisemita per calcolo meschino. Voleva rinsaldare l’alleanza con il nazismo”, e addio per sempre a quarant’anni di storiografia che vanno in tutt’altra direzione…). Gli ebrei quindi sono al centro, anche se poi non è che si capisca, nel leggere il libro, il nesso fra questa centralità e il parossismo diplomatico che condusse allo scoppio della guerra in Europa.

La seconda questione che non mi convince e su cui richiamo l’attenzione delle lettrici e dei lettori è la scelta di raccontare il fascismo (che è stata esperienza collettiva) attraverso la lente di una biografia personale, quella dell’inventore del movimento politico e sua guida riconosciuta. Di certo Mussolini si prestava bene: nella sua vita è stato molto volubile, ha sostenuto posizioni anche molto differenti, ha avuto diverse militanze politiche, ha compiuto numerosi voltafaccia. Quindi non è coerente e al contempo è rappresentativo di diverse Italie. Tuttavia, mi pare che questo non possa bastare e che anche in forma di romanzo storico si debba e si possa avere il coraggio di proporre la complessità come specchio della realtà, senza ridurre la storia a percorsi lineari solo per rendersi più comprensibili e affabulatori. La storia è un intrico complicato, e la vicenda che condusse il fascismo italiano nell’abbraccio mortale dell’alleanza con il nazismo (che a sua volta era una macchina complicata al contrario della “semplicità del male” con cui viene presentata in questo M) fu molto meno lineare di quanto si sia portati a pensare leggendo le pagine di Scurati.

Al netto di tutto ciò, il libro è intrigante e travolgente, si legge velocemente perché non si è mai paghi dei brevi capitoli narrativi che si concludono, come per i due volumi che lo precedono, con intelligenti scelte di documenti storici ufficiali, a corroborare la narrazione della fiction. Buona lettura.