20 Dicembre 2024

Francia, polemica su filo-palestinismo ed antisionismo del quotidiano Le Monde

Il caso Le Monde: polemiche e accuse di schieramento ideologico tra filo-palestinismo e critica a Israele. Redazione spaccata

Si respira un’aria pesante nella nuova sede avveniristica del quotidiano Le Monde, un edificio di vetro e acciaio nelle immediate vicinanze della stazione di Austerlitz a Nonostante l’architettura trasparente e l’open-space, dove anche gli amministratori condividono le scrivanie con i giornalisti, il clima di collaborazione sembra un lontano miraggio. «La gente ha paura», confessa un redattore sotto anonimato, dando voce al malcontento che da mesi serpeggia tra le scrivanie di tra i giornali più importanti in Francia e non solo.

Secondo una minuziosa inchiesta condotta da Le Figaro e riservata ai suoi abbonati, il disagio è palpabile e riguarda principalmente il trattamento editoriale del conflitto israelo-palestinese. Tra i temi caldi spiccano il controverso “muro di Gaza” e le polemiche attorno a Benjamin Barthe, vicecaporedattore della sezione internazionale, la cui vita privata e scelte professionali stanno alimentando divisioni profonde nella redazione. Barthe è sposato con Muzna Shihabi, un’attivista palestinese le cui posizioni politiche esplicite sollevano dubbi sull’imparzialità del giornale.

Il “muro di Gaza” e la questione dell’omertà

Ma qual è il punto? All’interno degli spazi comuni della redazione di Le Monde, un angolo è stato ribattezzato “il muro di Gaza”. Qui campeggiano immagini di bambini palestinesi, articoli di denuncia e slogan come “Stop al genocidio” e “Non lasciate che vi dicano che tutto è iniziato il 7 ottobre 2023”. Secondo le testimonianze raccolte da Le Figaro, il muro sarebbe un simbolo della presa di posizione pro-palestinese di una parte della redazione. Un altro disegno, che rappresenta la Statua della Libertà con un drappo insanguinato, reca la scritta “Libertà di uccidere”. La narrazione offerta da questi materiali è giudicata da alcuni redattori come troppo unilaterale e ideologica.

«Passare davanti a quel muro ogni giorno mi disturba profondamente», ammette turbata una giornalista, aggiungendo che la complessità del conflitto israelo-palestinese richiederebbe una rappresentazione più equilibrata. Tuttavia, il dibattito interno sembra soffocato: «C’è un clima di omertà; chi critica rischia di essere isolato», è il commento di chi denuncia il trattamento riservato a Israele sul quotidiano. Ma oltre al clima teso che sembra regnare all’interno della redazione, è tutta la linea editoriale ad aver suscitato reazioni sia all’interno che tra i lettori.

Le accuse contro Barthe e sua moglie

Il caso di Benjamin Barthe rappresenta un altro nodo cruciale. Ex corrispondente in Medio Oriente, Barthe è stato accusato di aver adottato una linea editoriale favorevole ai palestinesi, influenzata, secondo alcuni, dall’attivismo della moglie. Muzna Shihabi non ha mai nascosto le sue opinioni: sui social media utilizza spesso hashtag come #FreePalestine e ha espresso solidarietà per figure controverse come Ismaïl Haniyeh, leader di Hamas. Una delle sue dichiarazioni più discusse recita: «Che Dio distrugga il regime sionista».

Questi legami hanno alimentato un acceso dibattito sulla deontologia e sull’imparzialità di Barthe. Sebbene il comitato etico di Le Monde abbia descritto le critiche come una «campagna di intimidazione», il malcontento interno cresce. Alcuni redattori ritengono che la presenza di Barthe nella sezione internazionale comprometta la credibilità del giornale.

Nel frattempo, sui social la questione suscita clamore. Come riporta Le Journal du Dimanche (chiamato anche Le JDD),  l’ex redattrice capo di i24News, Noémie Halioua, condanna un «muro in cui convivono odio anti-israeliano, antisemitismo e deliri complottisti». Il giurista Étienne Dujardin paragona a sua volta quel muro al «muro dei cretini» presente nella magistratura e afferma che «il giornale Le Monde è in totale deriva».

Le Monde, nessun passo indietro

«Deriva anti-israeliana: la risposta sconcertante di Le Monde dopo le rivelazioni di Le Figaro», titola Le JDD che ha ottenuto un comunicato dal CDR (Comitato di Redazione), dal quale non emerge alcuna autocritica o messa in discussione delle posizioni del giornale. Il CDR respinge con fermezza le rivelazioni del quotidiano concorrente, definendo l’inchiesta basata su «interpretazioni errate e fatti distorti». Rivolgendosi all’intera redazione, il Consiglio sottolinea che all’interno del giornale esistono «spazi di confronto e dialogo», nei quali vengono regolarmente discussi temi importanti, spesso con dibattiti accesi durante le riunioni editoriali. Il comunicato esprime inoltre disapprovazione per il fatto che alcuni membri della redazione abbiano scelto di manifestare il proprio dissenso pubblicamente, anziché discuterne nelle sedi interne appropriate. Viene anche condannata la diffusione di immagini degli uffici di una persona estranea al ruolo di giornalista, considerata una grave violazione durante questa vicenda.

Radici storiche del conflitto interno

Per comprendere la crisi attuale, è utile guardare al passato di Le Monde. Fondato nel 1944 da Hubert Beuve-Méry, il giornale ha sempre cercato di mantenere una reputazione di rigore e imparzialità. Tuttavia, le sue posizioni editoriali hanno spesso rispecchiato un certo impegno politico, soprattutto durante momenti storici critici come la decolonizzazione e il conflitto in Algeria. Questa tradizione di attivismo si intreccia oggi con le dinamiche interne di una redazione che deve confrontarsi con il peso delle opinioni personali e delle pressioni esterne.

La crescente polarizzazione sociale ha spinto molti giornalisti a rivendicare maggiore libertà espressiva, talvolta a scapito di un approccio neutrale. Questo è evidente non solo nel caso di Barthe, ma anche in altre figure di spicco della redazione, che utilizzano i social media per esprimere opinioni forti, spesso divergenti dalla linea ufficiale del giornale. Il rischio, secondo alcuni osservatori a commento della questione, è che questa frammentazione comprometta la coesione e l’autorevolezza della testata.

Una crisi che riflette il panorama mediatico

Il caso di Le Monde non è isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio di polarizzazione del giornalismo francese e probabilmente non solo. Negli ultimi anni, molte testate hanno abbandonato la pretesa di neutralità per abbracciare narrative più esplicite, spesso in linea con la sensibilità del proprio pubblico. Tuttavia, quando un giornale come Le Monde, che ha costruito la sua reputazione su rigore e imparzialità, appare schierato, le reazioni sono inevitabilmente più forti.

L’inchiesta di Le Figaro ha messo in luce una frattura profonda: da un lato, chi difende una linea editoriale più empatica verso i palestinesi, dall’altro, chi chiede un approccio più bilanciato. Nel mezzo, una redazione divisa e un pubblico sempre più critico. «Abbiamo ricevuto centinaia di disdette dopo le prime pagine del 7 e 8 ottobre», rivela una fonte interna, riferendosi alle edizioni pubblicate all’indomani degli attacchi di Hamas contro Israele.

Le sfide del giornalismo contemporaneo

Il dibattito su Le Monde solleva interrogativi più ampi sul ruolo dei media in una società sempre più polarizzata. Possono i giornali mantenere una neutralità autentica o devono inevitabilmente prendere posizione? Qual è il confine tra legittima sensibilità personale e il rispetto dei principi deontologici?

In questo contesto, la figura del giornalista si trova sotto pressione. Non è più sufficiente riportare i fatti; oggi, ai professionisti dell’informazione viene richiesto di decodificare una realtà complessa e, talvolta, di orientare il dibattito pubblico. Questa evoluzione ha portato a una tensione crescente tra l’esigenza di preservare la credibilità delle testate e la necessità di attirare un pubblico sempre più segmentato.

In un mondo in cui le verità assolute sono sempre più rare, la sfida non è solo raccontare i fatti, ma farlo in modo che tutti possano sentirsi rappresentati. La posta in gioco non è solo la credibilità di un giornale, ma il futuro del giornalismo stesso.

(Foto: Wikimedia Commons. Autore: Arthur Weidmann)