24 Gennaio 2019

Episodi di antisemitismo a scuola

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Marco Gasperetti

Eden e l’antisemitismo a scuola «Non tuffi i prof mi aiutano»

Da Pisa ad Auschwitz con la classe: alcuni compagni mi hanno ferita

Davanti al filo spinato l’emozione è tosi forte che gli studenti non riescono neppure a capire che il termometro è sceso a -io gradi. Per Eden Donitza, 18 anni, studentessa pisana, Auschwitz è qualcosa di ancora più oscuro. E non solo perchè Eden è di religione ebraica ed è la prima volta che visita il campo di sterminio polacco, ma perché l’antisemitismo, l’intolleranza, il razzismo lo vive anche lei, sulla sua pelle. «Si, mi hanno offesa e rifiutata perché ebrea», denuncia. E accaduto più volte e i protagonisti dei vergognosi episodi, gli aguzzini, non erano antisemiti dichiarati, ma semplici compagni di scuola. «La prima volta è accaduto in terza elementare — ricorda la studentessa che frequenta il quinto anno del liceo Ulisse Dini di Pisa ed è arrivata ad Auschwitz con il Treno della memoria insieme a settecento compagni —, stavamo parlando in classe di Anna Frank quando, alla fine della lezione, una mia compagna di otto anni mi disse che avrebbero fatto bene a bruciare anche me come ebrea». Le offese antisemite sarebbero tornate, inesorabili, anni dopo alle scuole medie. «Parole e frasi più affilate di un coltello — ricorda Eden —, pronunciate da ragazzini solo perché le avevano sentite a casa». Come le orribili barzellette sui forni crematori e persino sulle sofferenze dei bambini con la Stella di David sul petto. «L’antisemitismo non è morto — spiega la studentessa — è sempre qui, tra noi, come una belva che a volte può sembrare in letargo, ma è pronta a vomitare veleno. E la ferita più profonda non me l’hanno inflitta da bambina, ma due anni fa da ragazza al liceo che sto frequentando». La classe sta discutendo dove andare in gita. E i ragazzi si scambiano messaggi anche sui social. Si sceglie l’Isola d’Elba, si fanno piani, si sognano avventure. Chi sarà presente? Marco, Filippo, Daniela, Manuela, Francesco. Poi arrivano due messaggi. «L’ebrea non deve venire, l’ebrea resta a casa». Eden non è una ragazza che si arrende. Racconta tutto a genitori e professori. I responsabili sono individuati. Puniti? «No, ma non mi interessa — continua la studentessa —, credo che alla fine fossero inconsapevoli. Non era un gesto di odio verso la politica di Israele e non erano neppure simpatizzanti dell’estrema destra. Quello era proprio antisemitismo allo stato puro, magari subliminale, inconscio, replicato così senza un barlume di razionalità. Uno di loro ha raccontato di aver detto quello che sentiva in famiglia». E gli insegnanti? «Tanti mi sono stati vicini, mi hanno difeso a priori», risponde Eden. Che poi ha come un turbamento: «Altri, però, non erano molto contenti che io avessi denunciato, minimizzavano. Dicevano che stavo creando una storia troppo grande, che esageravo e che non era una cosa così importante». Negli anni successivi sarebbero accadute altre vergogne: un coro antisemita, una svastica sul telefonino. «Io ho perso dodici tra nonni e bisnonni dentro i campi di sterminio — riflette Eden — e non riesco ancora a darmi una spiegazione di tutto questo odio. So però quale può essere un antidoto ad antisemitismo e razzismo: per esempio visitare questi luoghi di dolore e di memoria straziante. Avrei voluto tanto ci fossero anche quei ragazzi che non volevano che Eden l’ebrea andasse in gita». Forse non hanno avuto il coraggio di salire su quel treno.