22 Novembre 2024

Elena Loewenthal commenta la decisione della Corte penale internazionale (CPI) dell’Aja di emettere mandati di arresto contro il Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa, Yoav Gallant

Fonte:

La Stampa

Autore:

Elena Loewenthal

Decisione discutibile, guerra più complessa

La notizia, c’è da giurare, sarà una festa per moltissimi, darà ispirazione a un’onda creativa di manifestazioni di piazza con fantocci rivisitati e bandiere date alle fiamme in nome di quello slogan che, gridando «dal fiume al mare», invoca di fatto il genocidio di un popolo – quello israeliano composto peraltro di ebrei, arabi e tanti altri e l’annientamento di uno Stato sovrano. Ma il mandato d’arresto per il premier israeliano Netanyahu e Gallant, ormai ex ministro della difesa, emesso ieri dalla Corte penale internazionale dell’Aja, è un provvedimento illogico che si fonda su una visione parziale del tremendo conflitto che brucia in Israele, a Gaza e in Libano da ormai più di un anno. Una visione parziale nel senso che ne vede solo una parte (il che non ha a che fare con la presunta “imparzialità” di aver riservato lo stesso trattamento al leader di Hamas Mohammed Deif, non è questo il punto), emettendo un giudizio, una sentenza e un mandato d’arresto fondati su presupposti incompleti. E dunque ingiusti. Il che non ha nulla a che fare, ancora una volta, con il giudizio più che severo che è ovviamente lecito esprimere su Netanyhau – e Gallant – sul piano strategico, politico, umano, morale. E invece il mandato d’arresto emesso all’Aja estromette Netanyahu e Gallant-e con loro l’operato del governo e dell’esercito d’Israele in quest’ultimo anno di guerra – dal terreno internazionale di legittimità, senza tenere conto di almeno una buona dose di elementi tragicamente caratteristici di questo conflitto. Dell’evidenza che Israele, e con il Paese i suoi peraltro discutibili leader, conduce da un anno a questa parte una guerra in cui è precipitata improvvisamente il 7 ottobre, in un territorio dove la commistione umana, geografica e logistica fra terrorismo e civili è inestricabile. In cui, giusto a titolo di esempio, si è accertata la collusione quando non responsabilità diretta e partecipazione armata di molti dipendenti dell’ Unrwa nel rapimento e la prigionia degli ostaggi. Un territorio in cui i depositi di missili stavano-e in parte stanno ancora – sotto scuole e ospedali. Una guerra, insomma, la meno lineare che si possa immaginare. Una guerra in cui Hamas denuncia numeri agghiaccianti sulle vittime civili a Gaza, questi numeri rimbalzano su tutti i media del mondo in nome della giustizia e della verità, e molti mesi dopo-in un silenzio piuttosto generale – l’Onu li rivede per divisione perché, in paro- le povere, erano numeri falsi. Sono sempre un’enormità, le vittime di Gaza e in Libano. Così come sono un’enormità le vittime in Israele, l’ultima delle quali, fra parentesi, era una cittadina araba musulmana. Ma caricare il primo ministro israeliano e il suo ex ministro della difesa di un mandato di cattura internazionale sposta il tiro da un esame attendibile e lo- gico di questo conflitto perché nega volutamente tante responsabilità, molte di più di quelle che Netanyahu si porta addosso insieme al dissenso di una fetta della sua popolazione. Avrebbero fatto meglio, i giudici dell’Afa, a dare un’occhiata agli atti del processo Eichmann, tenutosi a Gerusalemme fra l’aprile e il dicembre del 1961. A rileggersi – se non l’hanno ancora fatto, il che sarebbe grave – i capi d’accusa esposti dal procuratore generale Gideon Hausner in apertura del processo. Quanta complessità, quanta prudenza, quanta attenzione all’uso delle parole giuste, quanta lungimiranza nel soppesare il discorso e le accuse a carico di colui che aveva architettato il sistema di sterminio del popolo ebraico – cioè letteralmente di un genocidio – e ne aveva curato tutta la logistica. Avrebbero fatto meglio a studiare un po’, i giudici dell’Aja, invece di emettere un mandato d’arresto buono per una demagogia spicciola, fondamentalmente astratto e vuoto di conseguenze. Inutile se non dannoso in quella ricerca della pace e prima ancora di un compromesso dignitoso che, come diceva il grande Amos Oz, è sinonimo non di debolezza ma di rispetto per la vita. Altrui e propria.