Fonte:
Il Manifesto
Autore:
Guido Caldiron
Il «cacciatore di nazisti» implacabile davanti alle colpe dell’Occidente
Un’anticipazione dal volume «I segreti del Quarto Reich», nelle librerie per i tipi della Newton Compton
Negli ultimi anni della sua vita, Simon Wiesenthal (1908-2005), l’uomo che più di ogni altro aveva dedicato la propria esistenza a far si che la memoria degli orrori del nazismo e i suoi tragici protagonisti non fossero dimenticati, era inquieto: temeva che il tempo e l’indifferenza avrebbero potuto cancellare presso le nuove generazioni il ricordo e la consapevolezza di come un’ideologia fondata sull’odio e il razzismo avesse portato alla più grande tragedia che sia stata partorita nel cuore stesso dell’Europa moderna, la Shoah. Ebreo polacco, sopravvissuto egli stesso alla deportazione in una decina di campi di concentramento, era stato liberato dagli americani nella primavera del 1945 quando ancora si trovava in quello di Mauthausen, Wiesenthal aveva fatto fin da allora una chiara scelta di vita.
Giustizia, non vendetta
Avrebbe scritto in seguito in uno dei suoi libri di memorie: «Sopravvivere è un privilegio che ti impone dei doveri. Mi sono sempre domandato che cosa potessi fare per quelli che non sono sopravvissuti. La risposta che ho trovato (…) è la seguente: io voglio essere il loro portavoce, voglio tener vivo il loro ricordo, affinché i morti possano continuare a vivere nel ricordo degli uomini». Inoltre, sottolineava l’ex deportato, «noi sopravvissuti, abbiamo dei doveri non solo verso i morti, ma anche verso le generazioni future: dobbiamo trasmettere loro le nostre esperienze, si che ne possano trarre degli insegnamenti. Informarsi significa difendersi». Sarà così, come racconterà Lord Edward Russell – che, per conto del governo britannico, aveva indagato sui crimini del Terzo Reich – Wiesenthal deciderà «di dedicare il resto dei suoi giorni alla caccia dei criminali nazisti», attraverso una strategia che, si badi bene, non prevedeva «niente di cruento». Lui – scriverà ancora Russell – «si limita a raccogliere tutte le informazioni possibili su di loro, poi, quando è sicuro di averne scoperto uno che di solito vive sotto falso nome, informa la polizia. Se questa non agisce, egli convoca una conferenza stampa e incastra». In onore alla massima che guiderà per oltre mezzo secolo le sue azioni e l’attività del Centro di documentazione da lui fondato in Austria già alla fine del conflitto – e da cui ne sorgeranno altri analoghi attivi ancora oggi tra l’Europa, gli Stati Uniti e Israele -, vale a dire «giustizia, non vendetta», Wiesenthal avrebbe così contribuito, da un lato, all’identificazione di centinaia di criminali nascosti in ogni parte del mondo e, dall’altro, a evitare che un colpevole oblio potesse offuscare in qualche modo la memoria dei crimini perpetrati dai nazisti e dai loro alleati fascisti in Europa.
Una pesante omertà
L’uomo che si era impegnato a scovare e a portare davanti ai giudici «tutti quelli che erano riusciti a sfuggire al processo di Norimberga» avrebbe cosi scoperto come dopo il 1945 migliaia, forse addirittura decine di migliaia, di criminali di guerra nazisti e fascisti (tedeschi, austriaci, croati, ungheresi, belgi, francesi, ucraini e di molte altre nazionalità, compresi moltissimi italiani), avessero trovato rifugio e si fossero rifatti una vita in America Latina, come nel Medio Oriente o nella Spagna del dittatore Francisco Franco; e questo senza che nessuna indagine li riguardasse, protetti da una fitta rete di complicità, poi progressivamente rivelatasi e resa pubblica negli ultimi decenni anche grazie all’apertura degli archivi di molti Paesi e di alcune organizzazioni internazionali. Complicità e coperture che coinvolgevano settori della Chiesa cattolica e dello stesso Vaticano, dell’intelligence occidentale, a cominciare da quella statunitense, e di diversi governi sia tra le democrazie dell’Occidente che tra i regimi autoritari di America Latina e mondo arabo, con effetti più estesi e sistematici nel clima della Guerra fredda: una fitta trama di segreti, di appoggi e di omissioni che resero possibile la fuga di cosi tanti nazisti e collaborazionisti, nonché la lunga, se non totale, impunità di cui costoro hanno potuto godere, talvolta fino a oggi.
L’insidia della memoria
Tuttavia – come lo stesso Wiesenthal avrebbe ammesso amaramente più volte nel corso delle sue inchieste – ciò che forse colpisce di più in tutte queste vicende che hanno attraversato le contraddizioni e la storia della politica e delle relazioni internazionali dopo la fine del secondo conflitto mondiale, è il fatto che questa «seconda vita dei nazisti» fu, per molti versi, non il frutto di un complotto ordito nelle segrete stanze di questo o quell’apparato di intelligence quanto piuttosto l’esito di scelte politiche precise, il risultato di decisioni assunte più o meno pubblicamente da uomini di Stato e da religiosi, anche se mai rivendicate in seguito. In particolare, si trattò di una delle conseguenze più insidiose della rapida chiusura del capitolo della lotta antifascista che aveva riunito forze e potenze altrimenti contrapposte, nell’obiettivo di sconfiggere il Terzo Reich e i suoi alleati, soppiantato già a pochi mesi dalla fine del conflitto mondiale dall’emergere della Guerra fredda che avrebbe rapidamente trasformato, agli occhi dell’Occidente, i combattenti anticomunisti dei fascismi europei e asiatici in dei potenziali alleati contro il «pericolo rosso».
Testimoni oculari
Districare il filo nero di coperture e complicità che resero possibile l’arruolamento dei nazisti e dei fascisti sconfitti alla causa occidentale o garantirono in ogni caso a questi ultimi di potersi sottrarre alla giustizia, a volte per tutta la vita, significa perciò raccontare una pagina di storia che manca in tutti i manuali scolastici, una pagina strappata della memoria collettiva che però proprio per questo assume il valore di un monito di fronte alla minaccia montante delle nuove destre, del nuovo razzismo e del negazionismo, pericoli che lo stesso Wiesenthal denunciava con forza. Scriveva infatti l’ex deportato: «A volte mi coglie la paura che tra qualche secolo insegnanti e studenti potranno dire durante l’ora di storia: nel ventesimo secolo Hitler tentò di edificare in Europa un grande impero sotto la guida dei nazionalsocialisti. Testimoni oculari coevi affermano che egli tentò di sterminare gli ebrei d’Europa. Ciò sarebbe avvenuto mediante l’uso di gas in campi di concentramento appositamente costruiti. Sembra in effetti che ci siano stati degli eccessi, pur se i resoconti in *** proposito potrebbero essere fortemente esagerati». Ciò che Wiesenthal e coloro che hanno proseguito sotto diversi aspetti il suo lavoro hanno cosi dovuto talvolta ammettere a malincuore, è che da «vinti», molti nazisti e fascisti si siano perciò trasformati per certi versi in «vincitori» della Storia.