Fonte:
www.informazionecorretta.com
Autore:
Daniele Scalise
Una storia comune
La scena si svolge nel salottino ospiti di una trasmissione televisiva. Siamo quattro in attesa della registrazione del programma a cui siamo stati invitati ma l’impressione è quella di essere in attesa di entrare dal dentista. Non conoscendoci ci presentiamo con sintesi educate e ci lasciamo andare a chiacchiere leggere e neutre. Come spesso succede in occasioni simili, c’è chi è nervoso e chi si annoia. Io mi annoio. Peggio per me. Ho ceduto all’invito di partecipare per compiacere un amico. E’ sera tarda, quando gli studi televisivi, disimpegnati dai programmi più importanti, sono a disposizione di quelli di fattura e audience più esili. Sul tavolo del salotto-sala-d’attesa sono rimaste un paio di bottiglie di acqua minerale semivuote, residuo degli ospiti della trasmissione che ci ha preceduto. Un tempo gli invitati in tivù venivano presi sotto casa da un autista, portati a destinazione e accolti con buffet esagerati. Ora vieni con i tuoi mezzi, te la devi sbrigare nel dedalo del centro di produzione e non è una cattiva idea se ti porti una fiaschetta d’acqua da casa.
La signora che mi siede di fronte è qui per presentare il suo ultimo romanzo. Si tratta di una settantenne di una bellezza non del tutto tramontata e che le ha lasciato una giovanile voce squillante. Mi chiede cosa faccia io nella vita. Le spiego che dopo quarant’anni di giornalismo militante, ora mi dedico unicamente alla scrittura. Domanda: di cosa scrivi? Risposta: di antisemitismo. Domanda: e da che parte stai? Allibisco. Come sarebbe a dire da che parte sto? Forse non ha capito o forse non ho capito io, e così le ripeto che mi occupo di antisemitismo. Lei, che invece ha capito benissimo, insiste: ma tu da che parte stai? A questo punto potrei sbrigarmela o con un insulto o con una battuta ma me ne manca il cuore. La signora comincia a raccontarmi che è reduce della lettura di ‘Una mattina a Jenin’ di tale Susan Abulhawa (pubblicato da Feltrinelli). Commenta: “Ne sono uscita sconvolta. Racconta di come gli ebrei hanno massacrato i palestinesi. Non ho dormito per giorni. Ma come è possibile che proprio loro (gli ebrei, n.d.r.) si siano trasformati in criminali dopo tutto quello che hanno passato?” Lo dice con una convinzione disarmante. E’ un colpo dal quale non so difendermi. Riesco solo a dire: “Forse prendi tutto per oro colato e non dovresti farlo”. Ribatte la signora sorpresa: “Ma che dici? L’autrice è palestinese e americana. E gli americani sono gente libera mica dicono bugie”. Poi mi chiede sospettosa: “Sei ebreo?”. Rispondo: “No”. Riprendo fiato. Aggiungo: “Ma che c’entra?”. La vedo sorpresa ma anche sollevata. Forse temeva di avere commesso una gaffe mentre non sa che è responsabile di qualcosa di assai più grave. Mi azzardo a suggerirle di allargare il raggio delle sue letture. Mi promette che inizierà con i miei libri. La invito a cercare qualcosa di più importante ma lei insiste, impetuosa e testarda. Decido di tacere e riflettere. Se mai ce ne fosse bisogno e senza averne consapevolezza la scrittrice conferma per l’ennesima volta il nodo stretto e automatico che lega antisemitismo e antisionismo. E’ deprimente e non riesco a darmi pace ricordandomi che l’antisemitismo non ha nulla a che fare con la cultura, con lo status sociale, con quello economico, con la destra o la sinistra. Scrollo le spalle e mi consegno alla comodità della poltrona. Vorrei bere ma anche il poco di acqua minerale avanzata è finito.
Finalmente compare l’assistente del dentista-conduttore. Fa l’appello, ci fa firmare moduli che nessuno sembra intenzionato a leggere e ci scorta sotto riflettori e telecamere. Il microfonista ci applica i microfoni. L’assistente di studio spiega dove sederci. Una voce dall’alto ma che non deve essere quella divina ci avvisa che si inizia a registrare. Dopo una sommaria anestesia, il dentista-conduttore estrae una carie, procede a una canalizzazione, ripulisce dal tartaro. Chiacchiere su libri, etica e bellezza. Ho il cuore piccolo come la punta di uno spillo e cerco di vincere la sfiancante sensazione di fallimento e miseria. Titoli di coda. Fuggo dalla cerimonia dei saluti, delle strette di mano e delle congratulazioni. Mi ritrovo in strada che è notte. Roma è cattiva ma sa essere generosa quando hai bisogno di essere consolato.