Fonte:
Moked.it
Autore:
Daniel Reichel
“La Polizia in campo contro l’odio”
“L’obiettivo più strategico per una forza di polizia è la legittimazione sociale. È una questione di reputazione. La gente deve sapere che la polizia fa qualcosa di socialmente utile, di utile al sistema, se non c’è questo, c’è un serio problema per l’istituzione”. In queste parole si comprende molto dell’impegno portato avanti in questi anni dal vicecapo della Polizia Vittorio Rizzi, incontrato da Pagine Ebraiche in occasione di una conferenza all’Università di Roma sul tema dell’hate speech. Un’ora di lezione agli studenti della facoltà di Medicina e Psicologia in cui il prefetto Rizzi, direttore Centrale della Polizia Criminale, ha spiegato la natura dei crimini d’odio e invitato a porre al centro del discorso la tutela delle vittime. “L’hate crime nasce dalla costruzione reato più pregiudizio – ha spiegato Rizzi – e la vittima appartiene nello specifico a una minoranza con caratteristiche protette: etnia, razza, credo religioso, disabilità e così via. Questo tipo di reati colpiscono sia il singolo e sia il gruppo a cui appartengono”. Per garantire una tutela a chi è vittima di questi crimini è stato costituito l’Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori (Oscad), che “collabora a stretto contatto con diverse realtà tra cui l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane”. “Assieme a UCEI abbiamo messo a punto una Breve guida all’ebraismo per operatori di polizia – ricorda il prefetto – Riteniamo che la formazione di poliziotti e carabinieri sia un requisito fondamentale nell’azione di contrasto ai crimini d’odio. Lo è ad esempio per la corretta identificazione di atti antisemiti”. Non sempre, sottolinea il vicecapo della polizia, è chiaro quali atti possono essere definiti come antisemitismo e per questo serve sia una “conoscenza delle peculiarità della cultura e della religione ebraica” da parte degli agenti sia una linea diretta con le vittime di questa minaccia. “Nella formazione promossa da Oscad sono stati coinvolti ad oggi undicimila agenti e tra i nostri obiettivi c’è la raccolta di informazioni indispensabili per contrastare il fenomeno del under-reporting (la mancanza di denunce), così come dell’under-recording ((il mancato riconoscimento della componente discriminatoria del reato da parte delle stesse forze di polizia)”. Nella sua lezione, il vicecapo della Polizia ha ricordato tra l’altro le parole della senatrice a vita Liliana Segre su come anche la lotta all’odio sia percepita oggi come tema divisivo e di come i contorni degli hate crime siano complessi da individuare. A proposito di leggi, Rizzi ha sottolineato l’importanza dell’introduzione della norma che contrasta la negazione della Shoah. “Un scelta di posizione del nostro paese”, ha spiegato, rimarcando come la norma dia un segnale a tutta la società. Una società che deve stare in guardia dagli estremismi interni, tra cui quelli neonazisti e neofascisti. E a riguardo il prefetto spiega come esistano dei markers per identificare possibili minacce: “l’odio ha il suo un suo simbolismo: aquila, svastica, fascio, croce celtica. E ha i suoi luoghi”. Negli Stati Uniti, racconta, il pericolo del suprematismo bianco è considerato il pericolo più grave dalle diverse forze di sicurezza che operano sul territorio. “Da noi la situazione è diversa ma non dobbiamo dimenticare il caso di Luca Traini, sintomo di un disagio presente anche in Italia”. Il fenomeno dell’odio suprematista così come il terrorismo islamista ha dimostrato in questi anni di non avere confini nazionali, grazie anche alla rete. Non è un caso, l’analisi del vicecapo della Polizia, se proprio Traini sia stato citato dall’attentatore responsabile della strage nelle moschee di Christchurch (Nuova Zelanda). “Le minacce criminali, terrorismo, traffico di droga, traffico di esseri umani, cybercrime fisicamente non hanno territorio in quest’era digitale/globale. – ha ricordato Rizzi in un intervento durante la quinta conferenza regionale sulla cooperazione internazionale di polizia – Gli strumenti di lavoro delle forze di polizia e della magistratura non possono prescindere da una filosofia di contrasto basata sulla condivisione e sulla cooperazione bilaterale e multilaterale. Io come Direttore Centrale della Criminalpol, ovvero di servizi in cui operano le quattro forze di polizia, non posso non condividere che il linguaggio plurale di questi quattro elementi diviene espressione unica del Dipartimento della Pubblica Sicurezza per il contrasto al crimine. Le parole chiave di cooperazione, condivisione, innovazione, conoscenza si fondono nella parola fiducia nel nostro lavoro insieme”.
Sul fronte della minaccia terroristica di matrice islamista, Rizzi sottolinea a Pagine Ebraiche che la guardia rimane alta, in particolare rispetto al rischio di attentati legati all’Isis mentre sul tema più ampio della sicurezza in Italia vale la pena ricordare le parole pronunciate dal vicecapo della polizia in un incontro pubblico a Venezia: “Io ho avuto la fortuna di lavorare per le strade di tante città, ho fatto il capo della squadra mobile a Venezia, a Milano, a Roma, ho fatto il questore all’Aquila, calpestato i marciapiedi di molte città ma ho lavorato anche all’estero. E devo dire che dal punto di vista della sicurezza il nostro paese non ha da invidiare nulla a nessuno. Io mi sento molto sicuro del mio paese”.