Fonte:
La Repubblica edizione di Roma
Autore:
Riccardo Di Segni
Se la parola “ebreo” è un’arma
La squallida iniziativa di una frangia di tifoseria laziale che ha messo la maglietta della Roma sulla foto di Anna Frank merita una riflessione che va oltre il singolo episodio. Sono anni, anzi decenni, che le aggressività tra tifoserie utilizzano, tra varie amenità, anche la rappresentazione ebraica. Prima utilizzando la parola “ebrei” come offesa ( “romanisti ebrei”, ma potrebbe essere anche “laziali ebrei”, perché non ci sono tifoserie immuni). Poi usando la persecuzione ebraica come malaugurio per l’avversario (“romanisti, o laziali, ai forni “); finalmente, mettendo tutto insieme, memoria della Shoah (con l’immagine simbolo di una vittima) e l’insulto, si è compiuto un ulteriore passo, non avanti ma verso il basso, sprofondando fin sotto il livello terreno. La riflessione necessaria è su cosa stia succedendo. Perché c’è stato in questi ultimi anni un investimento mediatico ed educativo eccezionale sul tema della memoria. Si pensi a quello che viene fatto dalle istituzioni, dalle televisioni e dai giornali in occasione della giornata della memoria e quale livello di sensibilizzazione e conservazione della memoria sia stato raggiunto grazie a questo. Eppure tutto questo va ad urtare contro uno zoccolo duro di resistenza e impenetrabilità. Non solo: accanto alla crescita di attenzione e coscienza diventa sempre più visibile il segnale opposto di un pubblico che banalizza, deride, e giustifica gli orrori. Se prima taceva e adottava qualche cautela espressiva ora sembra che non sia pia inibito. Mettendo in evidenza questo dato inquietante, la comunità ebraica non sta recitando un copione di lamento antico, che peraltro sarebbe giustificato, ma sta denunciando una malattia che investe l’intera società. E il momento in cui l’Europa affronta derive particolaristiche e populiste, nel contesto di una crisi economica non risolta e sotto l’impatto di una migrazione di dimensioni epocali. L’ingestibilità di queste urgenze da parte delle istituzioni rappresentative tradizionali, apre le porte a proteste nelle quali vengono messi in crisi i presupposti stessi di convivenza rispettosa tra le differenti parti della società. Non dobbiamo quindi interpretare questo episodio come un banale incidente, ma come un sintomo allarmante di un malessere profondo e diffuso che ci deve far riflettere tutti insieme per una soluzione comune. Le divisioni hanno sempre fatto il male di qualsiasi società. (Rabbino capo di Roma)