Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Paolo Conti
Negare l’olocausto, reato o libertà d’espressione?
Fiano (Pd): mi affido al giudizio di papà, sopravvissuto ad Auschwitz
ROMA — «Personalmente rispondo con una facile quanto drammatica sintesi. Finché mio padre sarà vivo lascio a lui l’ultima parola sulla questione del negazionismo, e naturalmente mi auguro che continui a vivere a lungo. Ora, secondo lui, è necessario che le parole che negano l’Olocausto debbano essere sanzionate per legge. Dunque io mi affido alle sue parole…». Emanuele Fiano, deputato del Pd ed ex presidente della Comunità ebraica milanese dal 1998 al 2001, rende omaggio a suo padre, scrittore nato nel 1925, ex deportato ad Auschwitz e unico superstite di tutta la sua famiglia sterminata nei campi di concentramento. Dunque tocca a lui, afferma Mano, decidere al suo posto se la discussa legge sul negazionismo sia la strada migliore per evitare che razzismo e antisemitismo tornino a prosperare accompagnati da tesi, appunto, negazioniste o riduzioniste. La questione è tornata di straordinaria attualità non solo dopo lo stop del disegno di legge sul negazionismo, in discussione al Senato e già approvato in commissione Giustizia in sede referente ma poi bloccato, almeno per ora, nella sede deliberante dal «no» del Movimento 5 Stelle («la fretta è sospetta»). Ma soprattutto dopo l’assoluzione a Roma, da parte del giudice Maria Cristina Muccari, del professore Roberto Valvo (ora in pensione) ex insegnate di storia dell’arte al liceo di via Ripetta. Il giudice lo ha assolto dall’accusa di incitazione alla violenza e alla discriminazione razziale, come prevede la legge Mancino, «perché il fatto non sussiste». II professore, si sa, avrebbe esternato nel 2oo8 le sue teorie sulla Shoah, come si legge nell’accusa, «propagandando idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale nei confronti degli ebrei» e avrebbe poi messo in discussione l’esistenza dell’Olocausto e dei campi di concentramento sostenendo che i filmati sulle deportazioni erano falsi e «fatti anni dopo». Avrebbe contestato il numero degli ebrei morti asserendo che i sei milioni erano «una stima errata». Ieri l’interessato, il professor Roberto Valvo, ha preferito il silenzio: «Non ho niente da aggiungere, proprio niente, davvero». Dice ancora Fiano: «Sono reduce da un recente seminario dell’Unione Europea sul negazionismo. Ed è facile accorgersi, discutendo in ambito comunitario, quanto per esempio un paese come la Lituania abbia a cuore che i crimini sovietici compiuti contro i lituani non siano mai oggetti di negazionismo. Io comunque capisco il bisogno di discutere un importante argomento: dove sia il confine tra la libertà di espressione e il nuovo reato. E non so quale sia la formula migliore. Per adesso, come ripeto, mi affido al giudizio di mio padre nel nome della sua sofferenza e dei tanti nostri parenti morti bruciati ad Auschwitz». Non tutti sono sulla stessa linea. Afferma per esempio Leone Paserman, presidente della Fondazione Museo della Shoah: «Non mi stupisco dell’assoluzione di questo signore. La famosa legge Mancino è di fatto inapplicabile e non ha mai portato a serie condanne. Temo fortemente che la stessa cosa potrebbe accadere con una eventuale legge sul negazionismo. La situazione non cambierebbe e si resterebbe sempre a dibattere sui confini tra libertà di espressione o di ricerca storica e una negazione che davvero istighi a un reato, come l’antisemitismo o l’odio razziale. Sentimenti che ora dilagano sulla Rete in forme allarmanti». Come reagire, presidente Paserman? «Difficile dirlo. So però che le nuove generazioni vanno educate attraverso il racconto e la testimonianza. Uno strumento come il museo della Shoah sarebbe utilissimo. Ma dal 2005 a oggi siamo solo alla valutazione dell’offerta. Ci vorrebbe, come si dice, la volontà politica». Infine Emilio Gentile, storico del fascismo (è appena uscita la nuova edizione del suo Né Stato né Nazione. Italiani senza meta, Laterza): «Più che un negazionista, questo professore è un riduzionista. Ma mi chiedo: in quella scuola, dov’era il professore di storia? E intervenuto per discutere quelle tesi? Comunque penso che sia anche il frutto della progressiva “de-fascistizzazione”, cipè della continua riduzione del fascismo ad alcuni “gruppi” e ad alcuni “momenti” sottraendo così al fascismo il suo peso storico complessivo: infatti c’è anche il tentativo di sminuire la gravità dell’applicazione delle leggi razziali. Certi negazionismi prosperano, io dico, grazie anche a un clima come questo…»