13 Novembre 2015

Commenti di membri della Comunità ebraica italiana all’accoltellamento antisemita di Milano

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Paolo Conti

«Ci sentiamo minacciati»

Lo sgomento della Comunità ebraica

«Intorno di noi c’è un clima di odio

ma non rinunceremo ai nostri simboli»

Dobbiamo costa-tare che l’appello dell’Isis di colpire gli ebrei ovunque si trovino purtroppo sta facendo proseliti». La reazione drammatica viene da Ruth Dureghello, nuova presidente della Comunità ebraica romana. Viene cioè dalla città che, nel 1982, vide il terribile attentato alla Sinagoga di lungotevere Cenci: una matrice molto chiara, il terrorismo palestinese. Furono ferite 37 persone e morì il piccolo Stefano Gaj Taché, al quale ora è dedicato lo slargo davanti al Tempio Maggiore romano. Ma adesso tutti gli occhi sono puntati su Milano e su questo ferimento che sembra la fotocopia di tante immagini che arrivano spesso da Israele. Ancora Ruth Dureghello: «Esprimo tutto lo sgomento della comunità ebraica per il ferimento di Milano. L’uomo fortunatamente non è grave». Parla anche il suo predecessore, Riccardo Pacifici, a lungo presidente della Comunità romana, la più numerosa tra quelle italiane: «Quando è partita l’intifada dei coltelli avevano promesso di colpire gli ebrei in Israele e in ogni parte del mondo, e lo hanno fatto. Questa è la più grave aggressione avvenuta in Italia dall’attentato del 1982 alla sinagoga di Roma nel quale perse la vita il piccolo Stefano Gaj Taché, di soli due anni». Naturalmente sono reazioni a caldo ma che interpretano il timore diffuso in molti ambienti ebraici italiani. Dice per esempio Roberto Jarach, vicepresidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane: «Eravamo con amici e altri esponenti della comunità quando abbiamo saputo del ferimento. E il primo pensiero è stato: “forse è bene suggerire ai nostri ragazzi di non girare più per le strade con la kippah”». Ovvero col copricapo usato dai maschi ebrei. Ma subito dopo, dice Jarach, è arrivato un altro pensiero: «No, non dev’essere questa la reazione. Non possiamo ragionare così. Anche perché in Italia non c’è mai stato un timore di questo tipo, anche nei momenti più complicati». Ma è chiaro che il clima, nelle diverse comunità ebraiche italiane, rischia di cambiare sia per le minacce che arrivano dal terrorismo internazionale, come ha detto Ruth Dureghello, sia per l’imprevedibilità dei gesti singoli e isolati, quindi imprevedibili e dunque persino più pericolosi di un progetto organizzato. Dice proprio Jarach: «Ciò che preoccupa è proprio la possibilità di un’imitazione di avvenimenti descritti dai media, soprattutto in televisione. E tutto può essere riproposto qui in Italia, e anche a Milano dove non c’è mai stato un terreno favorevole a gesti organizzati contro la comunità ebraica. Per questo motivo ora dobbiamo ragionare, capire, mantenere i nervi saldi. Non possiamo stare tranquilli, questo è ovvio. Ma non abbiamo alcun elemento concreto per poter affermare che il fenomeno sia in crescita». Jarach annuncia che la Comunità ebraica si metterà presto in contatto con Sergio Pallavicini, imam e vicepresidente del Coreis, la Comunità Religiosa Islamica Italiana: «Con il suo aiuto speriamo di capire se ci siano elementi di particolare preoccupazione e se lui abbia, per le notizie a sua disposizione, la possibilità di capire il vero contesto di un gesto del genere. Certi gesti sono chiaramente il frutto di alcuni imam senza scrupoli che continuano a predicare la violenza e l’odio contro Israele». La comunità ebraica italiana, che conta circa 35.000 persone (ovvero circa lo 0,06% della popolazione italiana), è chiaramente sotto pressione. Anche perché è impossibile non pensare all’Isis, alle continue minacce del grande terrorismo internazionale. Soprattutto colpisce che tutto questo sia avvenuto a Milano, una città dove tradizionalmente la comunità locale ha sempre vissuto tranquillamente, dal dopoguerra a oggi.