Fonte:
Avvenire
Autore:
Donatella Di Cesare
Grillo o la banalità dell’antisemitismo
La Shoah non è un evento sacro e non va perciò sacralizzata. Fa parte della storia, anzi della nostra storia più recente. In questo senso è legittimo proporre dei paragoni con altri eventi storici e anche con quel che avviene nel contesto del nostro mondo attuale. Ma i paragoni servono anche a capire quel che non è paragonabile, non perché sia sacro e trascenda la storia, ma semplicemente perché non ha precedenti. Dire che Auschwitz non ha precedenti non significa fame un simulacro, o peggio, uno scudo. Piuttosto è un monito a vigilare perché quel che è accaduto non si ripeta. Che cos’è che Grillo non capisce, o non vuole capire? E la singolarità di Auschwitz. Certo è vero che vittime sono vittime sempre e ovunque; nel nulla della morte tutti sono uguali. Chi non ha provato una pena infinita per coloro che, in questo periodo di crisi gravissima, hanno ceduto alla disperazione? Chi non si sente coinvolto e chiamato in causa per i tanti innocenti calpestati dalla violenza subdola e illimitata che domina nelle strade delle nostre metropoli? Ma la questione è un’altra.
«Se questo è un uomo», dice Primo Levi. E la sua, a ben guardare, è una domanda: questo è un uomo? Gli ebrei che entravano nei campi di sterminio, prima ancora che essere vittime di una morte atroce, quella prodotta attraverso il gas, erano vittime di un esperimento inedito: l’esperimento del non-uomo. L’ebreo ridotto a un fascio di funzioni fisiche in agonia non segna solo un limite tra la vita e la morte; segna il limite tra l’uomo e il non-uomo. Si trascina in silenzio, non ha più reazioni, né più consapevolezza; sembra spenta in lui ogni scintilla divina. Così lo ha descritto Levi. Ma come può l’essere umano continuare a vivere passando quasi alla specie del non-uomo? E resta ancora umano? Appartiene ancora all’umanità? Ha ancora la dignità del vivente? «Considerate se questo è un uomo», è allora non solo una domanda, ma anche un’ingiunzione.
Auschwitz è stato il luogo di un esperimento, mai compiuto prima, in cui l’umanità stessa è stata messa in questione. Non comprenderemo Auschwitz se non avremo tentato di riflettere su questo esperimento. Quell’esperimento, quel crimine contro l’umanità, è una ferita che riguarda tutti. In questo senso la Shoah non è paragonabile né ad altri genocidi, anche successivi, né alle tante violenze dei nostri giorni. Ma purtroppo proprio questo punto non è chiaro a molti.
Con il suo gesto Grillo non ha dissacrato né profanato quel che appunto sacro non è. Piuttosto ha banalizzato la Shoah. Ed è ben più grave. Perché ha reso usuale, scontato, ovvio, usuale quel crimine che, non avendo precedenti nel passato, non deve in nessun modo diventare un precedente nel futuro. Il cinismo osceno che ha guidato il gesto dell’ex comico è sotto gli occhi di tutti. Ma l’abuso della memoria, in una comunicazione che non sa nulla né di etica né di rispetto per gli altri, non si ferma all’oltraggio delle vittime. Con quella trovata spettacolare gli ebrei finiscono d’un tratto sotto accusa. Non solo perché sarebbero «stupidi» o ignoranti. Ma perché si farebbero «scudo» della Shoah per i loro affari. Qualcuno ha parlato di patetica gaffe, di indifferenza e ignoranza. Ma è tempo di dire a chiare lettere che questo è antisemitismo della peggior specie.
L’antisemitismo di Grillo sta nel suo tentativo di rilanciare in ogni modo l’idea del «complotto», di insinuare il pensiero che sarebbero gli ebrei a profittare del malessere e, anzi, a causarlo. Erano idee che circolavano nella Germania degli anni Trenta.
In quale Paese civile potrebbe essere tollerata questa degradazione della storia? Questo oltraggio inutile e vergognoso delle vittime? Questa provocazione disonesta alla nostra memoria democratica?