Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Giulio De Santis, Fulvio Fiano
Assolto il prof negazionista
Disse: «Shoah non è provata». Per i giudici il fallo non sussiste
ROMA — Era il novembre del 2008 quando il professore Roberto Valvo, insegnante di Storia dell’arte al liceo artistico di via di Ripetta, venne denunciato dal padre di una studentessa della IV C, dopo che la figlia gli aveva raccontato a casa quanto successo in classe pochi giorni prima a proposito del suo cognome di origine ebraica: «Il professore dopo aver affermato che bisogna stare attenti agli ebrei perché sono furbi, intendendo disonesti, ha detto che secondo lui non erano veri i fatti dell’Olocausto e dei campi di concentramento e che i filmati sulle deportazioni erano falsi fatti anni dopo e non nel periodo storico originario. Ha messo in discussione il numero dei morti, dicendo che i sei milioni non erano sicuri, che la stima era errata. E che durante la guerra tutti erano magri, non solo chi era nei campi di concentramento». Bufera, sospensione del prof e processo. Che ieri si è concluso con un’assoluzione «perché il fatto non sussiste». II pm Perla Lori aveva chiesto una condanna a cinque mesi di carcere in base alla legge Mancino: discriminazione o odio etnico, nazionale, razziale o religioso. «E stato affermato un importante principio sulla libertà di opinione», commenta l’avvocato Giuseppe Pisauro, difensore dell’insegnante. Ma in attesa delle motivazioni della sentenza, va valutata anche la possibilità che a pesare sia stata la mancanza nel codice penale di una specifica norma sul negazionismo. «Sono amato, rispettato. Non sono un reo che debba chiedere di andarsene. Le ragioni della denuncia? Subcultura, ignoranza», aveva commentato Valvo al momento di essere reintegrato, cinque mesi dopo i fatti. Con altre parole aveva ripetuto gli stessi concetti in un consiglio di classe nel quale votò contro il viaggio d’istruzione ad Auschwitz: «I ragazzi devono pensare con la loro testa», spiegò. E in un’altra aula — stavolta della Cassazione — il pg ha chiesto che l’Italia riconosca l’immunità alla Germania per tutti i crimini commessi contro cittadini militari e civili italiani durante il nazismo e rinunci a citare in giudizio la Repubblica federale tedesca per chiederle il risarcimento dei danni patiti dalle vittime come sancito dalla Corte internazionale dell’Aja. La decisione entro un mese. A dibattimento c’era il ricorso della Germania contro la sentenza con la quale la Corte di appello di Firenze, nel 2011, l’ha condannata a risarcire con 3o mila euro più interessi a partire dal 1945 un ex deportato italiano morto un anno fa a 87 anni.