Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Fabio Cavalera
Università, boicottaggi e una fiction
Londra-ebrei, la relazione tormentata
La prestigiosa Soas vota per tagliare i rapporti con Israele. E cresce l’antisemitismo
Clima difficile L’attrice Maureen Lipman («Doctor Who») vuole trasferirsi da Londra a New York
LONDRA «Dobbiamo muoverci in gruppo perché girare da soli all’interno del campus sta diventando pericoloso». Moselle Paz Solis raccontava così, al Jerusalem Post, le tensioni nella Scuola di studi orientali e africani (School of Oriental and African Studies), prestigioso college della Università di Londra. E che questa ragazza a capo della «Jewish Society», il gruppo degli iscritti ebrei, non avesse allora esagerato lo si è capito qualche giorno dopo e per l’esattezza quando sono stati comunicati i risultati di una consultazione che è una pericolosa conferma dell’antisemitismo crescente nella multiculturale società britannica. La «School of Oriental and African Studies» ha una vecchia reputazione accademica (fu fondata nel 1919). Negli anni recenti è stata chiamata in ballo per i finanziamenti dall’Arabia Saudita e dalla Libia di Gheddafi ma ciò non ha mai compromesso la sua collaborazione con l’Università ebraica di Gerusalemme. L’educazione e lo studio devono unire e non dividere. Purtroppo nel campus è accaduto il contrario. Perché su sollecitazione del movimento antisraeliano Bda (ovvero Boycott, Divestment, Sanctions, boicottaggio e sanzioni contro Israele) l’Unione degli studenti ha indetto un referendum per sollecitare la rottura dei rapporti proprio con l’Università ebraica e con altre istituzioni ebraiche. Ma il guaio è che vi hanno preso parte anche dipendenti e docenti, persino gli addetti alle pulizie n risultato, sconcertante, è che su circa 1.800 ragazzi votanti, ben 1.283 (il 75%) si sono espressi per «tagliare» i rapporti con Israele, spalleggiati dal 60% dei 300 accademici e dal 91% dei 40 lavoratori che sistemano aule e corridoi. Non che si debba enfatizzare: il campus è frequentato da 8 mila persone e solo 2.056 hanno partecipato. Eppure è un pessimo segnale. L’ultimo di una deriva antisemita che i rappresentanti della comunità ebraica britannica (291 mila cittadini, lo 0,49 della popolazione nel Regno Unito) hanno denunciato in gennaio. C’è un primo ministro, David Cameron, che il 12 marzo 2014 al Parlamento d’Israele, ha rivendicato di avere sangue ebraico nelle vene per via del bis-bisnonno Emile Levite. C’è un capo della opposizione, Ed Miliband, che è figlio di immigrati polacchi ebrei. Ci sono nella tradizione recente di Downing Street, premier definiti «grandi amici» di Gerusalemme: da Margaret Thatcher a Tony Blair. Per non parlare della storia che ci racconta sin dal 1917 della dichiarazione di Balfour (dal nome del ministro degli esteri Arthur Balfour) intesa a incoraggiare l’istituzione della «National Home», la casa degli ebrei, in Terra Santa. I rapporti istituzionali sono solidi, l’interscambio commerciale cresce (oltre 5 miliardi di sterline), il Regno imito è il secondo mercato, dopo gli Usa, per le esportazioni israeliane. Ciò nonostante la società britannica scivola. Al punto che l’attrice Maureen Lipman, teatro e televisione (Doctor Who) e con presenze cinematografiche (Il pianista di Roman Polanski) ha confidato, lei ebrea per l’appunto, l’intenzione di trasferirsi da Londra a New York. E non è un capriccio. Nel 2014, ha spiegato poche settimane fa una ricerca del «Community Charity Trust», organizzazione ebraica, i casi di antisemitismo, aggressioni fisiche e verbali sono stati 1.168, il doppio che nel 2013. E non si tratta solo di azioni da reato penale. Dai campi di calcio al piccolo schermo il livore contro Israele si esplicita in diversi modi. Nel dicembre 2013 Nicolas Anelka, il calciatore del West Bromwich, portò il braccio sinistro sulla spalla destra e sul braccio destro teso in basso, la «quenelle», una sorta di saluto nazista camuffato. Alla fine di questo gennaio, nel corso di una intervista su Sky, il rabbino capo Ephraim Mirvis, si è sentito incalzare dal giornalista addirittura sulla «responsabilità delle politiche israeliane che sono la causa dell’antisemitismo». Calma la risposta: «Non crede che l’antisemitismo abbia origini ben più antiche di Israele?». Qualcuno nella destra ebraica, esagerando, ha messo sotto accusa anche la miniserie «Honourable Woman», thriller sempre su Sky, di belle e trasversali recensioni. È il dramma di una donna di pace, figlia di un trafficante darmi sionista, coinvolta in un intrigo internazionale e con il conflitto palestinese sullo sfondo. Trama avvertita come controversa ma non è questo il sintomo dell’antisemitismo britannico. È una fiction. Lo è invece ciò che l’autore David Pryce James aveva sintetizzato in un articolo su World Affairs: nelle scuole del Regno Unito non si studia l’Olocausto a sufficienza e «Auschwitz viene scambiato per il marchio di una birra». Terribile. Ma vero.