Fonte:
Il Foglio
Autore:
Mauro Zanon
“Don’t laïk”. L’urlo d’odio di Médine, rapper islamico di Francia
Parigi. I giovani musulmani di seconda e terza generazione che abitano nelle banlieue, “strakiffent ses textes”. Cioè li adorano, perché sono percorsi dallo stesso rancore e dalla stessa rabbia sociale contro i “bourges” che permea la loro quotidianità. Perché parlano di loro e il linguaggio con il quale sono scritti, e poi messi in musica, è quel vernacolo ruvido delle periferie, il “banlieusard”, attorno al quale Mathieu Kassovitz nel 1995 costruì il più lucido e sincero ritratto della vita delle Cité francesi nel film “L’odio”. Per loro, Médine, nome d’arte di Médine Zaouiche, musulmano praticante e “ricercatore di radicalismo” (sua definizione) è molto più che il solito rapper di origini maghrebine (è nato a Le Havre da genitori algerini) che rinfaccia alla Francia il suo passato coloniale. E’ un profeta, è un idolo, è il luminare del rap islamico francese e i suoi messaggi passano altrettanto bene ed efficacemente che le battutacce antisemite dell’altro eroe delle periferie arrabbiate: Dieudonné M’Bala M’Bala. Con il comico meticcio più famoso di Francia, Médine ha un legame d’amicizia molto solido e soprattutto condivide i bersagli contro cui attizzare l’odio: i “sionisti”, in primo luogo, accusati di tutti i mali del mondo. Nel gennaio dello scorso anno, invitato come ospite dall’emittente Planète Rap in diretta su Radio Skyrock, Médine non ha solo parlato dei suoi progetti musicali a venire, ma ha anche approfittato del palcoscenico mediatico offertogli per farsi fotografare intento a “glisser une quenelle”: cioé a fare quella sorta di saluto nazista al contrario, quel gesto che si vuole simbolo di “disobbedienza al sistema” (sionista va da sé), inventato e portato alla ribalta da Dieudò – per chi non se lo ricordasse, in un’intervista rilasciata a Libération all’epoca della presentazione della sua “Liste antisioniste” per le europee, il comico antisemita manifestò tutta la sua contentezza “all’idea di infilare la sua quenelle nel culo del sionismo”. Un’altra quenelle, Médine, l’ha rifilata qualche mese dopo davanti al muro di separazione tra Betlemme e Israele, prima di incidere il singolo “Gaza soccer beach”, in reazione ai bombardamenti israeliani su una spiaggia dove giocavano alcuni bambini palestinesi. “Massimo sostegno al popolo palestinese, quale simbolo della resistenza e dell’ingiustizia”, dichiarò al momento dell’uscita. Da quel momento, Médine è diventato una delle figure cardine della cosiddetta “Dieudosphère”, un catalizzatore di quella che il sito Slate.fr ha definito la “dieudonnizzazione degli spiriti”. Qualche tempo fa, dinanzi alle telecamere di Canal+, che Dieudonné considera il “quartier generale dei sionisti”, Médine respinse le accuse di antisemitismo, per poi sfilare, cullato dagli applausi, al “Théâtre de la Main d’Or” (palcoscenico parigino degli spettacoli di Dieudonné), accanto al panafricanista e antisionista Kémi Seba (fondatore del movimento Tribù Ka, sciolto per incitamento all’odio razziale nel 2006). Ma non ci sono solo i “sionisti” tra le ossessioni di Médine. Nel 2011, ha scritto a quattro mani con il rapper Tiers Monde, il testo di “Angle d’attaque”, nel quale, senza troppi giri di parole, se la prende con i “maiali bianchi”. “Questi maiali bianchi vanno lontano, dammi un’arma corta, così avremo un pedofilo in meno”. E ancora: “Odio i bianchi dai tempi di Rodney King, ho bisogno di una carabina”. Ma siccome non si chiama Eric Zemmour, nessuna associazione antirazzista mosse un dito, e il suo testo fu subito un successone nelle banlieue. Nel 2005, Médine ha pubblicato un album intitolato “Jihad, le plus grand combat est contre soi-même”, sulla cui copertina è lui stesso a posare, con addosso una maglietta con la scritta “Jihad” cucita a carattere cubitali e una scimitarra rivolta verso il basso. “Chi mi accusa di islamismo radicale o di incitamento al jihad per questa foto fa un errore”, ha avuto l’ardire di dichiarare al settimanale Marianne lo scorso settembre. Médine, soprannominato dai fan “Arabian Panther”, è tornato proprio in questi giorni al centro della tormenta mediatica, in ragione del suo nuovo singolo, “Don’t laïk”, fusione provocatoria tra la parola francese “laïc”, laico, e l’inglese “like”, piacere. “La tua barba, fratello arabo, in questo paese non piace, il tuo velo, sorella, in questo paese non piace, la tua fede, fratello negro, in questo paese non piace”, recita la canzone che vuole essere una fatwa contro gli islamofobi. “Mi basta Allah, non ho bisogno di essere laicizzato, islamo-canaglia è l’appello del muezzin”. Allah contro la Marianne, il velo integrale contro il foulard, una torta halal contro il pain au chocolat perché “tutti andremo in paradiso, se Allah lo vorrà”, dice il ritornello. “Tutti, o meglio solo quelli che credono in lui”.