Fonte:
Shalom
Autore:
Noemi Di Segni
Pensavamo fino ad un mese fa di aver completato il quadro sistematico di tutti gli antisemitismi e i massacri avvenuti mettendo un certo ordine concettuale anche per il lavoro fatto sulla strategia per contrastare l’antisemitismo in Italia. Certo non avevamo nessuna presunzione di dare risposte ai perché più faticosi della nostra esistenza ma di dare un quadro utile per capire la diffusione del fenomeno. La definizione fornita da IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) menziona chiaramente anche la delegittimazione e demonizzazione di Israele ma nulla di ciò che abbiamo visto il 7 è così linearmente classificabile in quello schema. Somma tutto il male e il dolore, tutte le allerte concettuali, le precise minacce e le concrete attuazioni. L’orrore preannunciato dal terrore che intona il grido di Allah-u-Akbar che ha perpetrato un massacro non ci sorprende nella sua ferocia, ma l’ingenuità o la superficialità dei proclami di immediata pace e appelli unilaterali alla salvezza di Gaza e del popolo palestinese provenienti da voci della società civile (ma anche religiosa) qui nelle nostre città lascia davvero sgomenti e impone il punto interrogativo su come spiegare l’antisemitismo e i pericoli di una deriva cieca e incapace di comprendere la storia e il presente che si vive. Così come ci fa riflettere chi odia e ostenta disprezzo ci fa riflettere chi si propone a difesa dell’antisemitismo. La difesa non è un menù a scelta in base alle proprie preferenze (difesa di Israele, difesa dei morti della Shoah, difesa della sacralità e del D-O universale etc.) come purtroppo avviene da parte di molti soggetti attivamente impegnati ma deve avere il quadro di insieme e completo di quanto avvenuto e di quanto oggi tragicamente avviene. La nostra lotta all’antisemitismo fatta di Hasbarà e impegno di convivenza quotidiano deve però proseguire imperterrita attraverso partecipazione e contributi in ogni possibile sede – i media che intervistano sostenitori del terrore e diffondono irresponsabilmente notizie demonizzanti contro Israele, i libri di testi scolastici intrisi di parole e cartine geografiche che riflettono auspici degli autori ma non la realtà geografica, match e partite con slogan che abusano della Shoah, leggi e sentenze che ancora codificano in modo superficiale il concetto di antisemitismo e incitamento odio razziale. Continueremo a vivere e a svolgere le attività ebraiche nelle nostre case e nelle nostre comunità con maggiore attenzione e maggiore protezione grazie alla collaborazione con le forze dell’ordine e non ci nasconderemo, né spariremo nel nulla come molti vorrebbero.
Con le cerimonie e numerose iniziative dedicate all’ottantesimo della deportazione degli ebrei italiani, che si sono avviate in queste settimane, quell’affermazione di unicità della Shoah su cui abbiamo sempre insistito nell’analisi storica e nel modo di porsi rispetto ad altri drammi e genocidi, tentenna. Nessuno può oggi trarre conclusioni di natura storiografica stando anche nel pieno delle pagine dell’orrore che si sta abbattendo, ma le prime frasi, sentimenti e parole pronunciate dai superstiti al massacro rievocano quei termini e quei concetti. Un disegno di sterminio c’è e va riconosciuto, una macchina di pianificazione militare, dell’annientamento fisico e anche della finanza sofisticata purtroppo si è messa in moto in modo evidente.
Così le singole date della deportazione o il 27 gennaio già sull’orizzonte – non saranno più solo imperativo di memoria di quanto avvenuto nel passato narrato sui libri di storia e dai pochi testimoni ancora in vita, non più monito per un futuro teorico rispettoso delle libertà così faticosamente riconquistate con il varo della Costituzione repubblicana, la costituzione delle Nazioni Unite e poi la Comunità Europea. Dopo lo scorso 7 ottobre, l’orrore e le sciabole del terrorismo, le offese alla memoria dei bruciati e le minacce di persecuzione fisica, il tradimento dell’alta missione affidata alle organizzazioni internazionali e umanitarie, le nostre parole sono l’appello a riconoscere il volto oscuro che già esegue la minaccia dell’annientamento in modo puntuale e preciso. Si incanala nel tunnel buio dell’odio antisraeliano e si propaga contro ogni ebreo e ogni presidio di civiltà e concetto di democrazia.
Il trauma è già parte di noi dal momento che ogni viso e ogni frangente della giornata trascorsa accanto ai nostri piccini o in seno al nucleo familiare li fotografa come istantanea immaginaria dell’orrore che poteva o potrà abbattersi anche su di loro. Un pensiero che non mi lascia e che fa trattenere il respiro.
In onore delle vittime dei massacri e dei soldati caduti e nel loro ricordo da vivi, in omaggio agli ostaggi ai quali anela il cuore, al nostro grido di dolore che ci unisce collettivamente come otto milioni di Giobbe, si aggiunge una corale palpitazione di orgoglio per essere ebrei, essere parte di un popolo che si precipita al soccorso altrui, alla difesa della vita, alla speranza. “Beyachad nenazeach” (insieme vinceremo).
Fonte dell’immagine: Shalom