Fonte:
www.linkiesta.it
Autore:
Carole Hallac
Le odiose campagne di antisemitismo militante negli atenei americani
L’Anti-Defamation League ha registrato un aumento significativo di episodi contro studenti ebrei nei campus statunitensi tra cui Yale, Harvard, e Ucla. Secondo la Foundation for the Defence of Democracies, organizzazioni come Amp e Sjp organizzano manifestazioni sempre più radicali per creare un ambiente ostile alla libertà di pensiero. (Primo di tre articoli)
Nel cortile centrale della Columbia University, gli studenti camminano con lo zaino in spalla tra i monumenti ed edifici tirati a lucido, godendosi il clima mite delle giornate autunnali. L’anno scorso, il campus nel quartiere di Morningside Heights, a New York, era stato il ground zero delle manifestazioni studentesche che avevano scosso l’intero paese. Le aree verdi erano state occupate dalle tende degli accampamenti anti-israeliani, i cori erano incessanti, le aule vandalizzate, e la presenza delle forze dell’ordine e dei media oltre ai cancelli era divenuta la norma.
In questo nuovo anno accademico, la calma nel campus è solo apparente. Nonostante l’aumento del personale di sicurezza per monitorare l’accesso all’ateneo, gli episodi di disordine per gli studenti ammessi in una delle università più prestigiose della Ivy League non sono mancati. Nei primi giorni di settembre, una statua di bronzo è stata imbrattata di vernice rossa. Organizzazioni sospese l’anno precedente per ripetute violazioni alle regole sono ancora attive sia nel campus e online, causando scompiglio, in particolare nella settimana dell’anniversario del 7 ottobre.
Per gli studenti ebrei come Eden Yadegar, che si appresta a concludere il suo ultimo anno accademico, l’ansia per la situazione nel campus persiste. All’indomani degli attacchi del 7 ottobre, la ventenne aveva visto il suo mondo crollare. «Oltre al trauma dell’attacco di Hamas in Israele, dove si trovano membri della mia famiglia e amici», ha spiegato, «molti miei compagni mi hanno improvvisamente bloccata ed esclusa da gruppi studenteschi. Ho spesso temuto per la mia sicurezza fisica attraversando il campus».
La sua esperienza non è isolata. La Task Force contro l’antisemitismo della Columbia ha pubblicato un report che evidenzia un ambiente preoccupante per gli studenti ebrei e israeliani nel campus. L’indagine, basata su interviste a cinquecento studenti, ha documentato numerosi episodi di antisemitismo, tra cui molestie, esclusioni da attività e un clima ostile nei dormitori e in classe. Gli esempi si moltiplicano: studenti attaccati per aver esposto simboli ebraici, abusi verbali, minacce fisiche, commenti o battute derogatorie sugli ebrei da parte di compagni e docenti. Lo scorso semestre, la situazione era talmente insostenibile che il rabbino dell’ateneo aveva raccomandato agli studenti ebrei di rimanere a casa per la loro sicurezza.
Una situazione analoga è stata rilevata in molte università del paese. L’Anti-Defamation League (Adl), un’organizzazione con la missione di combattere l’antisemitismo e ogni forma di odio e discriminazione, tra il 1° giugno 2023 e il 31 maggio 2024 ha registrato duemilaottantasette episodi di aggressione, vandalismo, molestie, proteste e risoluzioni anti-israeliane, un aumento record del quattrocentosettantasette per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nello stesso arco di tempo, il settantatré per cento degli studenti ebrei e il 43,9 per cento degli studenti non ebrei hanno dichiarato di aver subito o assistito ad un episodio di antisemitismo (molti studenti non ebrei affermano di essere stati molestati perché sospettati di essere ebrei).
Tra questi incidenti, le minacce di morte tutti gli ebrei del campus da parte di uno studente di Cornell – poi arrestato dalle forze dell’ordine – studenti cacciati dalle lezioni a Harvard, una Jew Exclusion Zone a Ucla, ossia una zona che di blocco per non fare passare gli ebrei, e una studentessa di Yale colpita ad un occhio con una bandiera palestinese. Solo negli ultimi due mesi, sono stati riportati diversi attacchi fisici su ragazzi ebrei della University of Michigan, DePaul e all’università di Pittsburgh, ora sotto investigazione dal Fbi.
Le statistiche riguardanti le università riflettono l’aumento dei crimini d’odio contro gli ebrei nel paese dal 2023. Secondo l’Fbi, gli attacchi sono cresciuti del sessantatré per cento, il dato più alto registrato dal 1991. Sebbene gli ebrei rappresentino solo il due per cento della popolazione degli Stati Uniti, nel 2023 i crimini d’odio antiebraici sono stati il quindici per cento del totale degli attacchi, e il sessantotto per cento di quelli basati sulla religione, in linea con gli anni precedenti. Un dato allarmante riguarda le scuole elementari, medie e superiori, dove episodi di discriminazione sono in rapido aumento (millecentosessantadue incidenti solo nel 2023, un aumento del centotrentacinque per cento).
Le forze dietro all’odio nei campus
Cosa ha scatenato questa epidemia di odio e violenza? Quello che sembravano proteste di solidarietà per il popolo palestinese si sono rapidamente trasformate in manifestazioni violente a sostegno di organizzazioni terroriste come Hamas e Hezbollah, e in attacchi indiscriminati verso individui di religione ebraica. Il fatto che questi eventi non siano spontanei è stato reso evidente dall’alto livello di preparazione dei manifestanti. Già all’indomani del 7 ottobre, un Day of Resistant Toolkit è stato distribuito in vari atenei americani, un manuale di cinque pagine con istruzioni dettagliate per le proteste illustrati con un’immagine di un parapendio su sfondo rosso, simile a quelli usati dai terroristi di Hamas per attraversare il confine tra Gaza e Israele. Gli accampamenti erano perfettamente coordinati, con tende identiche e muniti di snack e rinfreschi per i manifestanti. A maggio, dopo l’irruzione negli edifici di Columbia, è emersa una cartella di Google Drive con duecento documenti contenenti linee guida su come organizzare disordini, fabbricare armi e occupare edifici.
Diversi segnali indicano che l’azione coordinata che ha preso di mira facoltà e studenti sia iniziata ben prima del 7 ottobre, orchestrata da una rete di organizzazioni estremiste che operano da almeno due decadi per insinuarsi nelle istituzioni educative americane.
Tra i primi a suonare il campanello d’allarme è stato Jonathan Schanzer, vice-presidente della Foundation for the Defence of Democracies (Fdd), un istituto di ricerca focalizzato sulla sicurezza nazionale e politica estera. In due testimonianze al congresso, la prima nel 2016 e poi lo scorso novembre, ha svelato che un’organizzazione in particolare, American Muslim for Palestine (Amp), è dietro alle attività di diversi gruppi che operano nei campus, in particolare Social Justice for Palestine (Sjp) e Jewish Voice for Peace (Jvp). Secondo le sue investigazioni, a capo di Amp ci sono individui che precedentemente lavoravano per non-profit americane chiuse dalle autorità federali e denunciate perché davano supporto finanziario o materiale a Hamas.
«Abbiamo iniziato a indagare su alcuni di questi gruppi, ed è stato un compito difficile per il nostro team», racconta Schanzer durante un’intervista a New York. «I nostri ricercatori non avevano esperienza nel campo delle università, in quanto ci occupiamo di questioni di sicurezza nazionale e militari. Un giorno, una delle nostre ricercatrici mi ha mostrato un documento fiscale di un’organizzazione che includeva nomi familiari poiché erano già emersi in un’indagine quando lavoravo come analista del finanziamento del terrorismo presso il Tesoro degli Stati Uniti. Queste persone erano precedentemente collegate a enti di beneficenza su territorio americano affiliati a Hamas chiusi per violazione della legge. Quando ci siamo resi conto che questa organizzazione sembrava coordinare gran parte delle attività nei campus, abbiamo iniziato a considerare l’intero fenomeno sotto una luce diversa e potenzialmente molto pericolosa».
Schanzer ha spiegato come i sostenitori di Hamas abbiano abusato del sistema finanziario americano. Dal 1989 al 2001, hanno raccolto milioni di dollari da un’organizzazione benefica con sede in Texas nota come la Holy Land Foundation for Relief Development chiusa nel 2001, dopo che le autorità hanno fatto un raid delle autorità, congelando i beni e arrestando cinque persone. Tuttavia, il network ha continuato a operare per anni, creando nuove società in diversi stati e adottando nuovi nomi, ma mantenendo gli stessi scopi e metodi per raccogliere fondi e personale. L’organizzazione che sosteneva la Holy Land Foundation, l’Islamic Association for Palestine (Iap), fu denunciata dalla famiglia di David Boim, un ragazzo ucciso in un attacco terroristico in Israele, per il loro sostegno a Hamas. Dopo che un giudice ha riconosciuto la colpevolezza della Iap, imponendo un risarcimento per oltre centocinquantasei milioni di dollari, queste organizzazioni hanno chiuso definitivamente, o così sembrava.
Negli anni a seguire, quando la guerra globale al terrorismo perse importanza per l’amministrazione americana e i gruppi con legami a Hamas uscirono dai riflettori, l’American Muslim for Palestine si stabilì in Virginia. Oltre ad avviare un’attività di lobbying presso il governo, il gruppo ha rafforzato la propria capacità di mobilitare la base nei campus universitari. Tra i membri della sua leadership spiccano diversi nomi di individui attivi nelle precedenti organizzazioni, tra cui Hatem Bazian, fondatore di Social Justice for Palestine, uno dei gruppi anti-israeliani più estremisti presenti in duecentoventi campus americani.
Le indagini del Fdd hanno preso forma quando, lo scorso anno accademico, diversi individui sospetti sono stati avvistati tra le tende dei manifestanti. Tra questi, spiccano Osama Aburshiad, direttore esecutivo di Amp, e Nahla Al-Arian, moglie di un ex professore incriminato e deportato nel 2005 per aver raccolto fondi a sostegno della jihad islamica palestinese, entrambi presenti alla Columbia. Inoltre, le forze dell’ordine di New York hanno segnalato la presenza di agitatori esterni nelle manifestazioni universitarie, infiltrati nei campus per addestrare gli studenti e seminare scompiglio. Alla Nyu, per esempio, sessantotto delle centotrentatré persone arrestate durante una protesta non erano né studenti, né docenti, né membri del personale universitario. Centinai di outsiders sono stati segnalati nelle proteste di vari atenei, inclusi la University of Pennsylvania e il City College.
Attualmente, un gruppo bipartisan di legislatori ha richiesto indagini federali sulle fonti di finanziamento di Sjp e Amp, nonché sui loro possibili legami con la Fratellanza Musulmana. Nel frattempo, una corte della Virginia ha ordinato a Amp di fornire i documenti richiesti nell’ambito di un’indagine civile del Procuratore Generale. Le dispute legali, però, non finiscono qui. Nove sopravvissuti e vittime americani e israeliani del 7 ottobre hanno presentato una causa contro Amp e Insjp (il network nazionale di Sjp), accusandoli di aver collaborato con Hamas per legittimare gli attacchi e fornire servizi di pubbliche relazioni all’organizzazione terroristica.
Metodi di persuasione
Con l’obiettivo di delegittimare Israele, la comunicazione di Sjp nei campus si basa fortemente sul linguaggio progressista, intrecciando le proprie narrazioni con altre cause di giustizia sociale, come il razzismo, il sessismo, le questioni Lgbtq+, il colonialismo e le questioni ambientali. Seguendo i principi dell’ intersezionalità, agli studenti nei campus universitari americani è richiesto di unirsi nella condanna di Israele e del sionismo senza considerare il contesto storico e le attuali realtà del conflitto israelo-palestinese, impedendo così il dialogo basato sui fatti e sulla storia. Queste affermazioni, rivestite di linguaggio socio-progressista, hanno permesso a Sjp di arruolare una vasta gamma di studenti americani che hanno una conoscenza limitata del Medio Oriente.
«Gli amici che hanno smesso di rivolgermi la parola e partecipavano alle manifestazioni proclamando l’Intifada, sapevano benissimo chi ero e quali fossero le mie posizioni prima del 7 ottobre, ma non è mai stato un problema», ha spiegato Eden, leader di un gruppo pro-Israele nel campus. Questo, secondo la studentessa, riflette la cultura di Columbia e di molte altre università, dove i giovani si uniscono a questi movimenti non per vera convinzione ma per rilevanza sociale e per sentirsi parte di comunità. «Uno dei cori che sentivo spesso era “sionisti fuori dal campus”, gridato da persone che frequentavo, e che prima di bloccarmi, non hanno neanche tentato di avviare una conversazione con me».
Sjp ospita regolarmente nel campus oratori che si oppongono al diritto di Israele di esistere e promuove una retorica antisemita usando il termine ’sionista’ come un modo ’sicuro’ per riferirsi agli ebrei. I capitoli di Sjp sono anche in gran parte responsabili dell’introduzione di risoluzioni e referendum sul BDS (Boycott, Divestment, Sanctions) nei campus universitari, i quali chiedono alle università di astenersi dall’investire in aziende che fanno affari in o con Israele. Allo stesso tempo, i loro membri spesso interrompono gli oratori israeliani o pro-Israele, che vengono spesso scortati via per motivi di sicurezza.
Il Brandeis Center ha concluso già dal 2016 che «uno dei più forti indicatori di percezione di un clima ostile verso Israele e gli ebrei è la presenza di un gruppo Sjp attivo nel campus». Nell’ottobre del 2023, il governatore della Florida Ron DeSantis ha ordinato alle università statali di smantellare i loro capitoli di Sjp presenti nei loro campus. Altri atenei che hanno sospeso il gruppo includono Columbia, Rutgers, Brandeis e George Washington.
(Primo di tre articoli)