Fonte:
La Repubblica
Autore:
Paolo Berizzi
L’antisemitismo dilaga nella galassia islamista “Gli uomini di Hamas sono i nostri partigiani”
“Se faccio del bene, viene da Allah, se faccio del male, viene da me stesso e dal diavolo”. È il 13 ottobre. Sei giorni dopo l’attacco dei terroristi di Hamas nei kibbutz israeliani. In mezzo a un’intensa giornata di lavoro e di preghiera Mohammad Hannoun affida a Facebook la massima del giorno. Questo ed altri profili social, sempre riferibili a lui, sono noti ai servizi di Intelligence di mezza Europa e di Israele. Che lo accusa da anni (ma l’uomo nega con forza) di finanziare Hamas tramite le molteplici attività umanitarie pro-Gaza. Nome di richiamo nel mare grande del mondo islamico italiano, Hannoun è l’architetto palestinese trapiantato a Genova che, dal 10 ottobre, guida con il suo inner circle le manifestazioni pro-Palestina in scena ogni sabato (siamo al quinto) a Milano. I110 ottobre erano in 500; sabato scorso, e le volte prima, in 5mila almeno. Sono i cortei (anche) dei cori e dei manifesti pro-Hamas, dei motti jihadisti, delle canzoni antisemite in arabo dove si invoca il ritorno dell’armata di Maometto contro gli ebrei (“Khaybar, khaybar, ya yahud, jaish Muhammad saya’ud”). Dove riecheggia il vecchio adagio hamasino caro anche ad Hezbollah “Palestine free, from the river to the sea”; ovvero la negazione ad Israele di esistere. «Hamas sono i nostri partigiani», dirà Hannoun, appropriandosi in un sol colpo della Resistenza italiana contro il nazifascismo e legittimando l’organizzazione paramilitare islamista. Torniamo al 13 ottobre. Nel salone del Centro culturale islamico di Genova, in via Coronata, nel sermone di mezzogiorno, di fronte a decine di musulmani, sempre Hannoun attacca il governo italiano, colpevole «di essersi schierato a favore di Israele»; l’Italia e altri Paesi «si mettono a piangere le vittime… raccontano falsità per paragonare Hamas all’Isis… solo per attaccare la resistenza palestinese». Curiosamente il video della predica sparisce dalla pagina Fb dell’imam. Rimangono i commenti sotto l’avviso della piattaforma (“questo contenuto non è al momento disponibile”…). Ma tant’è. La controversa figura di uno dei capi-popolo palestinesi in Italia torna alla ribalta. In effetti se si vuole capire la variegata galassia filo-palestinese dalla quale sgorga, anche nel nostro Paese, un crudo antisemitismo islamista, da Hannoun non si può prescindere. Che mondo è, davvero, quello che dal 10 ottobre sfila all’ombra del Duomo contro il “nemico Israele’? Ci sono Le associazioni palestinesi, certo. E molto altro. Un arcipelago di organizzazioni islamiche radicate sul territorio e riconducibili alla Fratellanza Musulmana; i ragazzi delle seconde generazioni di San Siro, del Corvetto, del Gallaratese: tutti trap e slogan jihadisti gridati certo anche per “moda”, perché “fa brutto”; perché se è vero che le periferie “multiculturali” milanesi non sono paragonabili ai focolai di Molenbeek e Saint Denis e non si può ancora parlare di “Milànistan”, è anche vero che l’aria che si respira oggi è più densa di dieci anni fa. Queste seconde generazioni all’epoca erano poca roba: poi sono aumentate, hanno 18-20 anni, figli di marocchini, egiziani, tunisini, e oggi si sentono in partita. Tra un “Allah Akbar” e la promessa-mantra “a morte gli ebrei”, partono gli inni pro-Hamas. A fianco delle comunità straniere ci sono poi gli antagonisti dei centri sociali – Cantiere e Vittoria in prima linea -; i movimenti studenteschi; alcuni gruppi della rete Lgbtqi, Cobas, Movimento per la casa, pezzi di estrema sinistra. Un fronte anti-israeliano e, di fatto, antisemita. Un mix di organizzazione (le sigle della comunità palestinese e islamica manifestano da anni e lo sanno fare) e spontaneismo. Che ha trovato il suo laboratorio-palcoscenico a Milano. La città dei 180mila musulmani, delle moschee, dell’integrazione e del dialogo interreligioso. Il capoluogo della regione nella quale l’Antiterrorismo, in questi anni, ha mappato segni di radicalismo come in nessun’altra parte d’Italia. «La piazza milanese è la più attiva, è così dai tempi delle Primavere arabe – spiega Giovanni Giacalone, docente e analista di Italian team for security all’Università Cattolica -. La cabina di regia delle manifestazioni è in mano a Hannoun, presiedente di Api (Associazione palestinesi in Italia, ndr), e al suo vice Suleiman Hijazi, marito della figlia di Makmoud Asfa, imam e responsabile della Casa della cultura islamica di via Padova». Il primo dato da cogliere è questo. L’esistenza di più strati, di diversi livelli. Che si sovrappongono. In mezzo alle tante donne e bambini che partecipano alle manifestazioni di protesta per i bombardamenti di Gaza ci sono presenze più radicali. Lo scopo è polarizzare, spingere oltre. Risultato: l’equazione che passa è: Israele uguale nemico di Allah. L’antisemitismo islamista. Hamas? Viene lodata. «Solo chi è palestinese può sapere cosa fa Hamas per noi, Hamas ci aiuta in tutto, non solo combatte ma aiuta molto sul sociale, noi siamo contenti di avere Hamas in Palestina», scrive in un post Suleiman Hijazi, vice di Hannoun. E da almeno dieci anni che Hijazi celebra i paramilitari. palestinesi. Posta foto di raduni, di addestramenti militari, di parate. Uomini col volto coperto e il kalashnikov in mano. «Sempre più orgoglioso del mio popolo e della resistenza»: ancora lui. Milano è una cartina di tornasole. «Da geopolitica la questione palestinese è diventata religiosa – afferma un’africana musulmana che chiede l’anonimato -. Tanti di noi sono sgomenti e indignati. Perché il messaggio alla fine suona così: Israele se l’è meritata». Sabato 11 novembre erano in 5mila. Prende il microfono un uomo. Fa parte dell’Unione Democratica Arabo Palestinese. Dice: «Hamas è una forza originale e fa parte della resistenza del popolo palestinese; ha il diritto di dover resistere come i partigiani a Sant’Anna di Stazzema». Una parte dei manifestanti – la maggioranza di chi è in piazza è palestinese, araba, moltissime le donne – lo fischia. Chi c’era? I Giovani Palestinesi (i primi a manifestare il 10 ottobre in piazza dei Mercanti); L’Unione democratica arabo-palestinese; l’Api. Quest’ultima fa capo ad Hannoun così come il network “Europei per Al-Quds” e la onlus Odv (sedi a Milano, Genova e Roma), associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (ma non risulta iscritta al registro dell’Agenzia delle entrate). Due anni fa, su segnalazione di diverse unità europee dell’antiriciclaggio, i conti correnti di Odv furono bloccati. Di più. A luglio 2023 il ministro della Difesa di Israele chiese all’Italia il sequestro di 500mila dollari che sarebbero stati trasferiti da Hamas ad Hannoun, definito dal ministro Yoav Galant «leader dell’organizzazione terroristica Pcpa – Conferenza popolare per la fratellanza palestinese – affiliata ad Hamas, e capo dell’associazione benefica di solidarietà col popolo palestinese». In tre mesi finora nessuna procura italiana ha dato seguito alla richiesta di Gerusalemme. Nel frattempo è esploso il nuovo conflitto, e l’architetto-predicatore continua a organizzare manifestazioni dove c’è chi, lanciando raccolte fondi per aiutare gli abitanti di Gaza, inneggia all’Intifada. «Inquinamento antisemita di matrice islamica». Nel linguaggio dell’Antiterrorismo il fenomeno è riassunto così. Ma è ovviamente più articolato. «La causa palestinese spinge i musulmani a partecipare a questi cortei in modo molto emotivo – dice Lorenzo Vidino, direttore del Programma Estremismo alla George Washington University e già coordinatore della Commissione sulla radicalizzazione a palazzo Chigi durante i governi *** Renzi-Gentiloni -. In piazza hai le associazioni palestinesi strutturate, i Fratelli musulmani e lo spontaneismo massiccio degli `aggregati’». Loro, I ragazzi delle seconde generazioni affascinati da Tik Tok e violenza. «Inneggiando alla rivolta contro gli ebrei rappresentano un rischio potenziale. Se pensi ai profili `anonimi’ dei terroristi improvvisati di Parigi e Bruxelles, quello erano: tute, cappellini, trap, Allah akbar e la fascinazione del martirio da riscatto. È da questo substrato che possono uscire le schegge impazzite». L’ex brigatista Francesco Giordano lo è stato negli anni di piombo. Fu l’autista del comando che assassinò il giornalista del Corriere Walter Tobagi. Al netto di 30 anni di carcere, mai pentito, Giordano è da anni in piazza per la Palestina. Il 25 aprile fischiava la Brigata ebraica in corteo a Milano. Delle manifestazioni di questo mese non se ne è persa una. Sempre lì, sul fondo dei serpentoni, dove c’è l’ala più dura. Quella dei cartelli “Con Hamas, le brigate Ezzedin al-Qassam e il popolo palestinese per la liberazione della Palestina” (firmati Partito marxista-leninista italiano). La causa palestinese declinata con la mostruosa parificazione grafica tra la svastica e la stella di David. Quelli che Hamas sono “come i partigiani”. Dietro il cancellone di ferro del Centro culturale islamico di Genova è il momento della preghiera. Hannoun oggi non c’è. «Che sia un simpatizzante di Hamas è agli atti da 30 anni – dice ancora Vidino -. Fa parte di un network formale e informale che in Europa ha figure di riferimento come lui. Dei suoi omologhi europei sono stati arrestati». Sabato scorso, Milano. Dal camion che ha guidato il corteo pro Palestina sono partiti altri slogan hamasini. Hamas sono terroristi? No, «sono un movimento di liberazione», ha chiosato uno degli speaker. Un sedicente esponente del partito marxista arabo. Poi la parola è passata a un giovane palestinese che ha invitato a boicottare le catene multinazionali che «finanziano Israele». E ancora «libereremo Gaza, ma anche Nablus, Jenin, Ramallah e Gerusalemme. Queste sono le chiavi della casa dei nonni, torneremo a riprenderci le nostre terre e le nostre case, non ci arrenderemo mai». Dal fiume Giordano al mar Mediterraneo, per gli ebrei non c’è posto.