Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Andrea Riccardi
Il rispetto per gli ebrei è alla base della libertà di tutti
Tra il 9 e il io novembre 1938 avvenne — com’è noto — la cosiddetta «notte dei cristalli» nel Reich tedesco: un pogrom antisemita, orchestrato dai nazisti, specie da Goebbels, uccidendo ebrei, distruggendo edifici, negozi, sinagoghe e iniziando la deportazione. Fu giustificato come ritorsione a un attentato a Parigi da parte di un giovane ebreo polacco a un diplomatico tedesco. Quel pogrom non andrebbe detto «notte dei cristalli» in modo «romantico», come facevano i nazisti, ma fu Novemberpogrome 1938 (il «Pogrom del novembre 1938»). Del resto le leggi del 1938 non andrebbero dette «razziali» (lo fece il legislatore fascista), ma «razziste» come furono. La sera del 9 novembre scorso, a Roma, nell’antico quartiere ebraico e a Trastevere, sono comparse stelle di Davide e svastiche, legate dal segno di uguaglianza. La comunità ebraica è dolorosamente colpita in queste settimane da vari attacchi. Ma qualche romano, passando sul ponte Cestio, che unisce l’isola Tiberina all’altra riva del Tevere, è rimasto stupefatto alla vista del graffito antisemita. Uno stupore che deve tramutarsi nella consapevolezza del livello di odio e ignoranza ormai raggiunto. Gli autori o l’autore dell’atto antisemita non hanno la cultura per cogliere la coincidenza tragica di date tra il Novemberpogrome e il loro operato. Ma sarebbe bastato affare gli occhi verso la vicina chiesa di San Bartolomeo all’Isola e l’adiacente sinagoga dei giovani per vederle illuminate, proprio la sera del 9 novembre, in spirito di solidarietà per ricordare quel giorno terribile del 1938. La preoccupazione degli ebrei italiani e europei è per il rinnovarsi dell’odio, dopo la proditoria aggressione di Hamas e la risposta d’Israele. Ogni ebreo, in una visione distorta, viene considerato un bersaglio, tanto che insultarlo e colpirlo è visto come attaccare Israele. Che la maggioranza degli ebrei della diaspora abbia nel cuore Israele è assodato. Ricordo sempre quel che diceva Bruno Zevi nel lontano 1982, dopo l’attentato al Tempio maggiore di Roma: «Nessuno ci chieda di distinguerci dal popolo d’Israele, di accettare una differenziazione manichea tra ebrei e israeliani. Noi apparteniamo al popolo d’Israele che comprende le comunità disperse in ogni parte del mondo, a cominciare dalla più antica, quella di Roma, e la comunità di coloro che hanno fatto ritorno alla terra degli avi». Ma è un’aberrazione insultare un italiano ebreo, perché si vuole protestare contro Israele. L’insicurezza della diaspora mostra ancora una volta la necessità (non solo morale e religiosa) di Israele, unico luogo dove gli ebrei sono protagonisti del loro destino. Tuttavia la sicurezza e il rispetto per gli ebrei sono prioritari: la base della libertà di tutti. L’azione delle forze dell’ordine in Italia è già partita, ma ci vuole un clima sociale che bandisca ogni espressione di odio. E necessario evitare che le legittime critiche all’operato di un governo e il dolore per le morti di vittime innocenti siano pretesto per un linguaggio di odio o peggio. Se non ci sarà chiarezza su questo, è il degrado del vivere civile. Molti ebrei, di fronte al dramma delle famiglie israeliane, dei rapiti da Hamas e all’antisemitismo, rivivono il passato. Le svastiche disegnate da mano ignota sono vicine ai luoghi «sacri» della memoria di Roma: ricordano la razzia del 16 ottobre 1943 (più di mille ebrei deportati ad Auschwitz) e la caccia all’ebreo fatta, dopo quella data, specie dai fascisti e dai traditori. Le strade del quartiere ebraico hanno visto, nel 1943-44, ebrei strappati da case poi saccheggiate da «ariani». La taglia sugli ebrei fu un movente decisivo nel tradimento. Una componente importante della comunità romana è di origine libica, cui appartiene l’attuale presidente, Victor Fadlun. Questa rivive una memoria dolorosa: i pogrom arabi in Libia con tante vittime, nel 1945 o nel 1967. Nel 1967 quasi tutti gli ebrei lasciarono la Libia. L’esodo era già avvenuto nei Paesi arabi, dove gli ebrei erano da secoli: circa un milione (prima del 1948) lasciò i Paesi arabi con grave danno per il loro pluralismo. Finì un mondo. Sono storie che riaffiorano in questi tempi turbinosi, in cui nei Paesi europei, non solo si deve garantire una vera sicurezza, ma anche un clima sociale e un dibattito responsabile. Un mese fa, nel quartiere ebraico di Roma, ci fu una manifestazione per gli ottant’anni della razzia degli ebrei, presente il Presidente Mattarella. La grande partecipazione, tra cui quella di immigrati, ha mostrato un’Italia che non vuole dimenticare, salda nella difesa della libertà di tutti. E il messaggio più forte agli indifferenti o a quanti sottovalutano o a chi non sente la gravità del momento.
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