Fonte:
la Repubblica edizione di Torino
Autore:
Vera Schiavazzi
Comunità ebraica divisa in due per la mostra sulla Palestina
Una parte chiede l’immediata chiusura Altri preferiscono protesta solo “formale” Le scuse: “Racconta le attività dell’ Onu”
Spaccata al suo interno, tra quanti chiedono di minacciare perfino la propria uscita dagli enti aderenti al Museo della Resistenza e quanti invece vorrebbero, pur tra le proteste, lasciare che tutto vada avanti senza troppi impedimenti. E’ lo stato in cui si trova la Comunità Ebraica torinese dopo una discussione durata ormai quasi una settimana, da quando cioè la mostra sul “Lungo viaggio dei rifugiati palestinesi” si è aperta al Museo e l’intera Comunità, a cominciare dal suo presidente, ha scoperto che l’esposizione stessa era piuttosto discutibile, specie in quella sede. Ora, dopo un’ultima riunione dell’ufficio di presidenza, i 13 consiglieri del direttivo devono pronunciarsi sul testo di due diverse lettere: da una parte una missiva che non solo ribadisce l’inopportunità della mostra sull’Unwra e il “lungo viaggio” al Museo, ma traccia un paragone netto tra la mostra e i suoi atteggiamenti anti-israeliani, nonché un chiaro di s senso tra la Resistenza alla quale si intitola il museo e la resistenza dei palestinesi, dall’altra una lettera assai più pacata, dove la protesta è comunque espressa, ma non ci si addentra nella vicenda al di là di un generico richiamo alle attività discutibili dell’ Unwra stessa. Il problema, tuttavia, pare a monte. Su Moked, il portale di informazione delle Comunità ebraiche italiane, si riportano le scuse e gli argomenti già usati anche dal direttore del Museo della Resistenza Guido Vaglio secondo il quale la mostra è stata accolta anche perché “esclusivamente celebrativa dell’ atti-vita dell’Unwra e non del conflitto tra Israele e Palestina”. Un’affermazione inoppugnabile formalmente, trattandosi di una mostra che l’agenzia delle Nazioni Unite per i deportati palestinesi ha realizzato su se stessa, e sul proprio immenso archivio fotografico che ora è a Gaza, ma che sembra squagliarsi non appena si vede una parte delle immagini: il muro tra Israele e Cisgiordania proiettato nelle capitali occidentali, con le scritte di accompagnamento, le “abitazioni distrutte” dai tanks israeliani, e cosi via. E’ molto probabile che pochi, prima dell’ arrivo a Torino, avessero davvero visto l’insieme delle foto, e tra questi non certo Beppe Segre, attuale presidente della Comunità, che pur avvertito dal presidente Pietro Marcenaro “informalmente, ma con un certo anticipo”, aveva stabilito di “fidarsi” dell’attenzione del Museo. La mostra di questi giorni ha, perla verità, almeno un precedente: lo spettacolo “Omaggio alle Resistenze” di Marco Gobetti, progettato per l’Ism ( l’associazione italiana di solidarietà con la Palestina ) e realizzato sempre negli ex quartieri militari tra il 25 aprile e il 1 maggio di quest’anno. Ma un unico spettacolo in un vasto cartellone di eventi, presentato in modo vago, non aveva indispettito nessuno. Ora invece la mostra, che durerà fino al 4 aprile, non poteva passare inosservata. E il 2 dicembre arriverà anche il dibattito: si discuterà dell’Unwra e della protezione dei rifugiati da parte delle Nazioni Unite “in una situazione di conflitto”. Con Claudio Vercelli, ricercatore alla fondazione “Salvemini” (cosi appare nel programma ) ma “indicato dalla Comunità Ebraica”. Potrebbe non essere la volta buona per sedare i pesanti malumori tra gli ebrei torinesi.