22 Agosto 2018

Analisi di alcune tesi cospirativiste contemporanee

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Paolo Mieli

L’autodifesa preventiva

Tutto avremmo potuto immaginare tranne che la Lega scavalcasse i Cinque Stelle in dietrologia, una disciplina in cui da sempre gli allievi di Grillo non sono secondi a nessuno. Primati ineguagliabili, avremmo detto. E invece non solo i leghisti ci sono riusciti ma hanno addirittura spostato l’asticella più in alto con l’invenzione di quello che potrebbe essere definito «complottismo preventivo». La strada è stata aperta dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti che a metà agosto ha reso noto che «affamati fondi speculativi» stavano per aggredire l’Italia. Beninteso, che il nostro Paese non viva un momento di eccezionale stabilità — anche per via degli arrischiati programmi economici dei partiti di governo — lo si sapeva da tempo. Ma l’allarme di Giorgetti spostava deliberatamente l’attenzione sulla «congiura degli affamati». Poi, dopo un articolo del Wall Street Journal sull’Italia come ultima frontiera critica dell’eurozona, è intervenuto Matteo Salvini a rafforzare il messaggio: «Cercheranno di stroncarci, ma non arretreremo di un millimetro». Chi precisamente cercherà di stroncarci? Non è dato saperlo. Il massimo di identificazione del futuro aggressore estorta dai media agli esponenti leghisti è stata quella di «poteri forti dei mercati internazionali». Né nome, né cognome di un essere umano in carne ed ossa. I soliti «poteri fort» di cui per primo parlò Giuseppe Tatarella nel lontano 1994. I quali poteri nel frattempo hanno preso (o spostato) la residenza all’estero. Restando, però, sempre anonimi. Il complottismo ha questo vantaggio: non ha bisogno di identificare l’autore della cospirazione e di metterlo in contatto con gli elementi fattuali della trama denunciata. Ma da sempre le tesi complottistiche sono state sempre formulate in modo tale da non essere verificabili. Come nei celeberrimi cinque casi americani. Il primo fu quello di chi sostenne che il Titanic nel 1912 era stato fatto affondare di proposito da alcuni massoni per far morire annegati (assieme ad altre 1515 persone!) John Jacob Astor, Benjamin Guggenheim, Isidor Straus contrari alla fondazione della Federal Reserve, la Banca centrale degli Stati Uniti. Qualcuno aggiunse che ci sarebbe stato anche lo zampino degli ebrei, altri accusarono i gesuiti. La prova di tale misfatto, sarebbe consistita nella circostanza che John Pierpont Morgan — assieme ad altri rappresentanti di istituti di credito e della finanza che erano invece favorevoli al Federal Reserve Act (approvato poi dal Congresso nel 1913) — all’ultimo momento rinunciarono al viaggio programmato sulla sfortunata imbarcazione. Il secondo caso è quello che attribuisce al Presidente Franklin Delano Roosevelt una sorta di correità nell’attacco giapponese a Pearl Harbor. La singolare teoria fu formulata in modo assai circostanziato dal contrammiraglio Robert Albert Theobald e, incredibilmente, ha trovato un discreto numero di adepti. Non tanti però quanti ne ha trovati (e ne trova tuttora) la complicata trama che avrebbe portato, nel 1963, all’uccisione del presidente Kennedy. Delitto almeno parzialmente riconducibile — secondo questa tesi — al vice e successore di Kennedy, Lyndon B. Johnson. Secondo il regista Oliver Stone — che su queste macchinazioni ha girato un film di grande successo, Jfk — tre quarti degli americani a tutt’oggi non credono alla versione ufficiale dell’accaduto. Del resto nel 2013 l’allora segretario di Stato John Kerry disse di nutrire «seri dubbi» sulla versione affidata ai manuali di storia del suo Paese. È questo il doppio punto di forza delle teorie complottista: ogni ricostruzione «ufficiale» contiene, come è naturale che sia, vuoti e contraddizioni, dopodiché ogni essere umano vorrebbe colmare quei vuoti e risolvere quelle contraddizioni. Il complottista offre una soluzione per tutto e in più un bersaglio su cui riversare l’indignazione. Ed eventuali, pur ragionevoli dubbi di chi si attiene alla versione non dietrologica, diventano «prove» di una qualche correità di chi muove le obiezioni. Del resto fu così fin da quando il complottismo nacque, secondo i più, a ridosso della Rivoluzione Francese in una doppia versione: quella rivoluzionaria che faceva capo a Jean Paul Marat e al suo giornale «L’ami du peuple» e quella controrivoluzionaria del gesuita Augustin Barruel. Allo stesso modo si confermò alla comparsa dei Protocolli dei savi di Sion (1903) che collocò gli ebrei al vertice di ogni ordito mondiale. Un testo che — nonostante già nel 1921 sia stato smascherato dal Times come un falso costruito dall’Okhrana, la polizia zarista russa — è tuttora punto di riferimento per chi intende associare gli israeliti a qualsiasi complotto in tutto il mondo. E sono molti. Ma è con il quarto «caso americano» che le teorie complottiste faranno il salto. Stavolta si sostiene che l’allunaggio di Neil Armstrong del luglio 1969 non sia mai avvenuto e che quella dell’Apollo u sia stata una messa in scena. A questa curiosa ricostruzione viene dedicato un libro di Bill Kaysing, Non siamo mai stati sulla luna, che ha grande eco e un film di Peter Hyams, Capricorn One. La leggenda si affaccia persino in un successo cinematografico di James Bond, Agente 007 Una cascata di diamanti. La novità è che perla prima volta il cospirazionismo abbandona il mondo della guerra o del sangue, si fa più raffinato ed entra in quello di pace. Poi, certo, tornerà, a «mettere ordine» (a suo modo) in eventi drammatici, come l’11 settembre 2001, con l’abbattimento delle Twin Towers. Stavolta verranno diffuse due teorieleggenda: la prima quella dei quattromila ebrei messisi in salvo perché avvertiti poco prima dell’attentato; la seconda dell’aereo mai abbattutosi sul Pentagono. La cosa curiosa che hanno in comune le teorie negazioniste su Luna e 11 settembre è che portano agli estremi una singolarità già presente nei casi precedenti: come è possibile che tra le migliaia di persone coinvolte nell’ordito non ce n’è mai stata una che abbia poi raccontato di una parte fondamentale dell’ordito stesso per averne avuta esperienza diretta? E qui torniamo a Giorgetti e Salvini. Anche il cospirazionismo italiano ha da anni abbandonato i fatti di sangue (stragi di Portella della Ginestra e di piazza Fontana, uccisione del bandito Giuliano e successivamente del suo braccio destro Gaspare Pisciotta, caso Moro) per applicarsi a casi politico-economici da tempo di pace. Come il convegno a bordo del «Britannia», lo yacht di sua Maestà (preso in affitto) in cui manager, industriali, banchieri italiani e inglesi nel giugno del 1992 discussero delle future privatizzazioni nel nostro Paese. Mario Draghi, all’epoca direttore generale del Tesoro, ebbe l’accortezza di salire a bordo del panfilo, tenere una breve relazione e scendere dal natante prima che salpasse. Altri rimasero e ancor oggi vengono accusati di aver tramato — in un simposio organizzato tra l’altro da una società che aveva il nome «British Invisibles» — per la svendita del nostro patrimonio industriale. O il caso della caduta, nell’autunno 2011, dell’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi, che secondo alcuni libri di Renato Brunetta fu determinata da un complotto internazionale a cui non fu estraneo l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Mai però, come si è detto, era accaduto che la trama cospirativa fosse rivelata prima che i fatti si verificassero. Grandiosa innovazione che consentirà di selezionare gli accadimenti man mano che si producono eliminando fin dall’inizio quelli inadatti a far tornare i conti dell’enunciato e di produrre eventualmente qualche piccola aggiunta atta a corroborare la tesi di partenza. Ove mai infine non si verificasse l’annunciato terremoto economico si potrà sempre dire che è stata la denuncia preventiva del complotto ad averlo sventato. Più pratico di così…