Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Sergio Della Pergola
Paura, ansia, frustrazione. Gli ebrei d’Europa e l’antisemitismo oggi
«Con voi ebrei non si può dire una sola parola di critica su Israele perché ci tacciate immediatamente di antisemitismo». Questa frase tanto attuale dopo le recenti esternazioni di tre esponenti del Partito democratico, e le proteste che ne sono seguite, merita di essere esaminata attentamente. Il peccato originale è quel «voi ebrei» — un pronome plurale che appiattisce la grande diversità di individualità, di autonomie mentali e politiche dentro un collettivo che per millenni ha coltivato una cultura del dibattito e del dissenso. Quel «voi» annulla ogni possibilità di dialogo sfumato, dialettico, intelligente, e riduce le comunità ebraiche a categoria anonima, da trattare quindi con distanza e precauzione, infine con sospetto. Da quel «voi» inizia la deumanizzazione dell’ebreo in quanto singolo, e la sua assegnazione a parte indistinta di un’entità aliena, e nei tempi peggiori da emarginare.
Ma è poi vero che la critica a Israele sia rifiutata in blocco da parte della comunità ebraica? Non è così stando alle risultanze della più importante indagine sulle percezioni dell’antisemitismo e della discriminazione anti-ebraica svolta nel 2018 in 12 Paesi con la partecipazione di 16.000 ebrei fra cui 700 in Italia, con il sostegno dell’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea con sede a Vienna. L’indagine rappresenta fedelmente le opinioni del milione di ebrei che vivono oggi nell’Ue e nel Regno Unito. E le percezioni della vittima sono le uniche che dovrebbero contare veramente quando si valuta l’entità di un’offesa. Alla domanda se criticare Israele sia antisemitismo, risponde affermativamente il 33% degli ebrei europei, non pochi ma comunque una minoranza. L’82% ritiene invece antisemita il boicottaggio di Israele e degli israeliani, l’85% pensa lo sia la frase «Gli israeliani si comportano come nazisti nei confronti dei palestinesi», e l’88% lo pensa di «Il mondo sarebbe un posto migliore se Israele non esistesse». Diventa cruciale dunque la distinzione fra la critica in sé e il modo. Criticare l’altro è sempre consentito, delegittimarne o negarne l’esistenza no. Secondo la stessa ricerca, il 94% degli ebrei europei considera antisemita chi non li considera come regolari cittadini del proprio Paese, e il 95% pensa lo sia chi dice che l’Olocausto è un mito o comunque è stato esagerato.
L’idea che l’opposizione a Israele e l’antisemitismo classico siano due cose distinte viene smentita da questi dati. Le varie componenti del discorso antisemita risultano invece ben integrate in un complesso multiforme ma coerente. Vediamo allora come si articola oggi il discorso, almeno nelle percezioni del gruppo interessato. L’antisemitismo oggi può in realtà manifestarsi in tre modi. Il primo è attraverso la violenza fisica e l’annientamento dell’ebreo, e questo in passato c’è stato. Ma oggi questa voce si sente esclusivamente da parte dell’Iran e dei suoi alleati e non è realmente prospettabile. Il secondo modo è quello della marginalizzazione ed esclusione dell’ebreo dalla vita civile, sociale, economica e culturale, come certo lo fu in passato. Anche questo è oggi obiettivamente quasi impossibile dato che le odierne comunità ebraiche vivono quasi esclusivamente in Paesi democratici e costituzionali dove i loro diritti umani e civili sono ben tutelati. Ma vi è un terzo aspetto, costituito dal peggioramento della qualità della vita privata dell’ebreo attraverso creazione di paura, frustrazione e ansia. E questa è la chiave di volta delle odierne percezioni. Oltre l’85% degli ebrei europei ritiene che l’antisemitismo sia aumentato nel corso degli ultimi cinque anni. Ma un riscontro dei casi documentati di antisemitismo visibile nel corso del tempo non conferma interamente questa percezione, e tende semmai a suggerire stabilità. Certo esiste uno zoccolo duro di incorreggibili. Ma quello che si è completamente trasformato è il sistema delle comunicazioni di massa, specialmente attraverso i social media, che danno enorme risonanza globale a qualsiasi episodio locale, sia pure marginale. Per esempio la dichiarazione dell’(ex) candidato del Pd circa le presunta «inesistenza» di Israele, invece di rimanere un modesto episodio circoscritto alle rivalità di partito nella Basilicata, diviene un fenomeno di portata nazionale.
È vero peraltro che la grande maggioranza degli ebrei europei, per una ragione o un’altra, percepisce una sorta di empatia affettiva nei confronti di Israele, che però non si traduce in un’emigrazione di massa, o nell’isolamento dalla vita sociale e dal discorso politico del Paese dove le persone vivono. Ci muoviamo più sul piano dell’emotivo e dell’affettivo che non sul piano dell’esperienza reale, che invece fu tragicamente concreta sotto il fascismo. La nostra analisi strutturale delle percezioni ebraiche contemporanee dell’antisemitismo ci offre una fotografia aggiornata, integrata e coerente della sindrome. Ne emerge una tipologia tricorna dove l’odierno antisemita nega all’ebreo, come individuo, il diritto a godere diritti civili, sociali e culturali pari a quelli di ogni altro individuo; all’ebreo come potenziale vittima di uno sterminio pianificato, a mantenere e trasmettere a modo proprio la memoria della distruzione del suo popolo — la Shoah; e all’ebreo come membro di un collettivo nazionale (sia pure virtuale) a esercitare la sovranità politica attraverso un proprio Stato indipendente — Israele. L’accusa di apartheid da parte di Amnesty International verte sull’esistenza di Israele in quanto Stato degli ebrei più che sulle politiche del suo governo, fermo restando che una critica oculata all’esecutivo di Israele è legittima come lo è nei confronti di qualsiasi altro Paese. Questo triplo negazionismo chiaramente opera attraverso delle specializzazioni, da destra o da sinistra, da parte delle grandi religioni monoteiste o dei laici. Persone diverse dicono cose diverse attraverso organi di diffusione diversi. Le comunità ebraiche, nel percepire l’oltraggio d’insieme, sono anche perfettamente in grado di distinguere le sfumature, di trarre le proprie conclusioni, e di prendere le necessarie contromisure. Da parte del pubblico di maggioranza, una maggiore consapevolezza di queste sensibilità incrociate potrebbe evitare esternazioni incaute e atti ostili che contribuiscono a inquinare l’atmosfera.