Fonte:
www.lastampa.it Vatican Insider
Autore:
Lisa Palmieri-Billig
“Una storica conferenza in una storica terra. L’incontro ebraico-cattolico di Varsavia”
Una dichiarazione congiunta ha concluso i quattro giorni di discussione sul tema «L’Altro nelle tradizioni ebraiche e cattoliche: i rifugiati nel mondo di oggi», durante la 23ma riunione biennale del Comitato internazionale di Collegamento tra le due religioni
Varsavia, Polonia: una città e una terra «teatro di alcuni tra i più orrendi eventi della storia mondiale», dove quasi 3,5 milioni di ebrei vivevano fianco a fianco con i cattolici polacchi da oltre 800 anni, per essere poi quasi totalmente annientati dai nazisti nel XX secolo, così come 3 milioni di cattolici e altri, un decimo della popolazione totale della Polonia. È oggi in corso una tenue, problematica, e fragile rinascita, dopo che l’indimenticabile papa polacco, san Giovanni Paolo II, ha forgiato una nuova fratellanza irreversibile tra le due religioni. Questo Paese, con il suo tragico bagaglio e i suoi semi di speranza, è stato la scelta appropriata per ospitare la 23ma riunione biennale del Comitato internazionale di Collegamento cattolico-ebraico.
L’Ilc, creato nel 1971, è composto da rappresentanti della Pontificia Commissione per i Rapporti religiosi con gli Ebrei, e dal Comitato internazionale ebraico per le Consultazioni interreligiose (Ijcic) che include i rappresentanti delle principali organizzazioni dell’ebraismo mondiale: l’American Jewish Committee (Ajc) , la Anti-Defamation League (Adl), il Consiglio ebraico di Israele sulle Relazioni interreligiose (İncir), e il World Jewish Congress (Wjc), oltre a sei organizzazioni rabbiniche che rappresentano l’intero spettro della diversità religiosa ebraica contemporanea, dall’ortodossia ai conservatori, dai liberali all’ebraismo riformato. È l’organismo ufficiale per le relazioni formali tra cristiani ed ebrei in tutto il mondo.
Una dichiarazione congiunta ha concluso i quattro giorni di discussione sul tema «L’Altro nelle tradizioni ebraiche e cattoliche: i rifugiati nel mondo di oggi». Le due delegazioni sono state presiedute rispettivamente dal cardinale Kurt Koch, presidente della Commissione della Santa Sede, e da Martin Budd, presidente del Ijcic. Vi hanno partecipato oltre 50 delegati cattolici ed ebrei provenienti dai cinque continenti.
La dichiarazione racchiude le conclusioni dei gruppi di lavoro sul crescente fenomeno dell’antisemitismo contemporaneo, sulla persecuzione dei cristiani, le questioni della libertà religiosa, e la crisi dei rifugiati. Tra le raccomandazioni, quella per un «continuo impegno per l’apertura e il dialogo costruttivo come modello per la comprensione interreligiosa e interculturale nel mondo, in modo particolare con i leader religiosi della comunità musulmana».
«I comandamenti religiosi ebraici e cristiani», afferma la dichiarazione, riconoscono «le tensioni tra l’obbligo di amare lo straniero… e il riguardo dovuto alla sicurezza e alla preoccupazione per il cambiamento». Joseph Sievers, del Pontificio Istituto biblico, rivolgendosi alla conferenza, ha preso atto delle radici scritturali dei nostri impegni comuni che si trovano nella Torah (Esodo, Levitico e Deuteronomio) e nel Nuovo Testamento. Il giornalista e attivista ebreo polacco Konstanty Gebert ha lanciato un accorato appello per tenere aperte le porte ai rifugiati – senza venire meno alle misure di sicurezza necessarie – «per il bene del nostro futuro e non solo quello dei migranti».
La dichiarazione afferma che «l’antisemitismo nei discorsi e nei fatti è riapparso in Europa e altrove, mentre la persecuzione di cristiani, in misura notevole nella maggiore parte del vicino Oriente e in parte dell’Africa, ha raggiunto livelli che non si vedevano da tempo». Sempre sull’antisemitismo, vi si ribadisce che «è una realtà che assume varie forme, un pericolo non solo per gli ebrei ma anche per gli ideali democratici». Mentre «la persecuzione di cristiani ha avuto di anno in anno un incremento dal 2012 al 2015», e sono state fatte raccomandazioni per la creazione di «programmi educativi aggiornati e rinnovati» contro l’antisemitismo e «l’obbligo nel rendere presente alla coscienza del mondo questo problema, e la responsabilità morale nel dare voce a coloro che non hanno voce» per quanto riguarda i cristiani perseguitati. È stata proposta la creazione di appositi gruppi di lavoro.
Si è poi tenuta una sessione speciale su «La vita quotidiana ebraica e cattolica in Polonia oggi», con il contributo del cardinale Henryk Muszynski, ex-primate di Polonia e primo presidente della Commissione per i Rapporti con gli Ebrei della Conferenza episcopale; lo storico, Stanislaw Krajewski, ebreo polacco, e padre Pawel Rytel-Andrianik della Conferenza episcopale polacca.
Krajewski ha reso omaggio ai successi ottenuti dal comitato della Conferenza episcopale polacca per le relazioni con gli ebrei, creato trent’anni fa e presieduto inizialmente dall’ex-primate di Polonia, l’arcivescovo Muszynski, poi dall’arcivescovo primate Stanislaw Gadecki, e oggi dal vescovo Mieczyslaw Cislo. Ha parlato di «tutte le buone cose che stanno accadendo nelle relazioni ebraico-cristiane in Polonia», tra cui due decenni di una «straordinaria» Giornata nazionale per l’Ebraismo, che viene celebrata in tutto il paese.
Tuttavia, Krajewski ha dovuto parlare anche della politica contemporanea, e in particolare del tentativo palese del governo polacco «di smantellare i controlli democratici e il bilanciamento dei poteri introdotti dopo il 1989». Ha raccontato di un potere sempre più monolitico da parte del partito di governo (Pis), che ha vinto le elezioni del 2015 con una piccola maggioranza parlamentare. Il Governo polacco ha fatto orecchie da mercante alle raccomandazioni della Commissione di Venezia del Consiglio europeo, ha detto Krajewski.
Il Professore ha aggiunto poi che il mese scorso «318 Ong hanno scritto al Primo Ministro polacco chiedendo di denunciare i ripetuti atti di odio e di violenza contro le organizzazioni non governative in difesa dei diritti umani, l’uguaglianza e la tolleranza… gli attacchi sono dovuti alla passività del governo verso la crescente presenza di razzismo, omofobia, xenofobia e odio nella vita pubblica».
L’estrema destra politica antisemita è tra i sostenitori del governo e «gli ebrei stanno cominciando ad avere paura». Il 18 novembre 2015, nella piazza del mercato di Breslavia, è stata bruciata l’effigie di un ebreo ortodosso con in mano una bandiera europea. Krajewski ha espresso la sua «gratitudine a monsignor Gadecki e al vescovo Cislo per avere criticato a gran voce l’accaduto». I critici della politica del governo vengono etichettati come «anti-polacchi», ha detto, e questa retorica «viene considerata dannosa per la Polonia da molti polacchi, tra cui una larga maggioranza degli ebrei polacchi. Per di più, in Polonia, i toni antisemiti di questa retorica sono evidenti. Come si legge in un post su Internet, “dietro ogni espressione, pubblicazione o film anti-polacco, si può trovare un ebreo”. Questo incitamento all’odio porterà probabilmente alla violenza fisica, con possibili conseguenze tragiche. Oggi, questa minaccia non deve essere ignorata dal dialogo ebraico-cattolico», ha avvertito Krajewski.
Ha anche espresso preoccupazione per il grande seguito populista dell’ala «più attiva della Chiesa, che rappresenta la versione conservatrice del cattolicesimo, fortemente nazionalista, xenofoba, anti-occidentale, anti-Ue … facendo capo a padre Tadeusz Rydzyk e al suo impero mediatico “centrato attorno a Radio Maryja, (la secondo più grande stazione radio cattolica in tutto il mondo), il giornale nazionalista Nasz Dziennik e il canale televisivo “Trwam”».
L’arcivescovo Henryk Muszynski, si è trovato «generalmente d’accordo» con l’analisi di Krajewski, aggiungendo che trova «la strumentalizzazione politica della religione particolarmente inquietante».
In una vena più positiva, Cislo ha parlato dei molteplici impegni della Commissione per le Relazioni con gli Ebrei della Conferenza episcopale polacca da lui presieduta, tra cui «l’insegnamento ai seminaristi delle radici ebraiche del cristianesimo» e l’organizzazione di eventi annuali in tutta la Polonia per la «Giornata dell’ebraismo» della Chiesa. Ha ricordato che l’Università di Lublino, (città dove fino alla seconda guerra mondiale si trovava un’importante Yeshiva – «Centro per studi ebraici»), ha invitato rabbini di fama internazionale come Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, ed ha conferito una laurea ad honorem all’ex-rabbino capo di Roma, Elio Toaff. La Conferenza episcopale polacca ha recentemente affermato che «l’anti-ebraismo e l’antisemitismo sono peccati… ci auguriamo che il dialogo ebraico-cattolico servirà a trasformare il volto della nostra terra».
La solidarietà dei cattolici polacchi verso gli ebrei è stata ricordata in vari momenti della Conferenza. Alla manifestazione di apertura, tre cattolici polacchi hanno ricevuto dall’ambasciatore israeliano in Polonia, per conto dello Yad Vashem di Gerusalemme, il riconoscimento postumo di Giusti tra le Nazioni per avere salvato vite ebraiche durante la Shoah, «nella più nobile realizzazione degli ideali delle relazioni cattolico-ebraiche».
Il cardinale Koch, nel ricordare «con profonda soddisfazione i successi congiunti ottenuti sin dal nostro primo incontro dell’Ilc quarantacinque anni fa», ha ricordato «quanto siamo debitori agli sforzi innovativi di papa Giovanni Paolo II» – il papa polacco che per primo visitò una sinagoga e sotto la cui guida furono instaurate relazioni diplomatiche tra il Vaticano e Israele.
Padre Pawel Rytel-Andrianik ha raccontato delle ricerche ancora in corso che «rivelano che circa 1.000 preti cattolici in Polonia sono stati coinvolti nel salvare gli ebrei al tempo della Shoah» e «undici su tredici vescovi diocesani/amministratori che sono rimasti nelle loro diocesi in Polonia durante l’Olocausto hanno aiutato il popolo ebraico». Tuttavia, ha aggiunto, «siamo consapevoli che non abbiamo ancora visto tutti i documenti dello Yad Vashem riguardo questo tema».
La delegazione mista è rimasta profondamente commossa davanti al monumento di Varsavia per commemorare le vittime del campo di sterminio di Treblinka, e dal monumento ai combattenti del ghetto ebraico, nella piazza vuota dove sorgevano un tempo gli edifici del ghetto di Varsavia. Durante la visita allo splendido «Museo Polin di Storia degli ebrei della Polonia» proprio lì accanto, e inaugurato appena tre anni fa, abbiamo avuto l’opportunità di riflettere sulle relazioni complesse, e spesso positive tra cattolici ed ebrei che vivevano in Polonia. Otto secoli di vita ebraica polacca si dispiegano al visitatore in un bellissimo spazio architettonico altamente interattivo, dove gli oggetti scomparsi del passato diventano realtà virtuali. «Se ci fosse un black-out, sparirebbe il museo!», ha osservato un visitatore.
È una terra tormentata dai fantasmi di un popolo vivace, con uno speciale patrimonio culturale – sia religioso che laico – che ha contribuito in modo importante alla costruzione della nazione polacca. Gli spazi vuoti, una volta pieni di attività umana, la presenza invisibile degli «shtetl» (villaggi ebraici), delle sinagoghe e dei cimiteri distrutti, sono un fortissimo ricordo all’appello lanciato da Giovanni Paolo II nel 1993, in occasione del 50mo anniversario della rivolta del Ghetto di Varsavia: «in quanto cristiani ed ebrei… siamo chiamati ad essere una benedizione per il mondo… è quindi necessario per noi … essere prima di tutto una benedizione l’uno per l’altro».
Lisa Palmieri-Billig è Rappresentante in Italia, e di collegamento presso la Santa Sede, dell’Ajc (American Jewish Committee)