Fonte:
La Stampa
Un italiano su tre non ama gli ebrei. Uno su quattro, addirittura, non li ritiene neppure «italiani fino in fondo». L’orrore della Shoah, dunque, non ha demolito per sempre l’antisemitismo. In parte, era solo dormiente. Lo dicono le polemiche conseguenti l’invito di Israele alla Fiera del Libro che si apre a Torino giovedì e lo confermano i dati raccolti dall’Ispo di Renato Mannheimer che ha svolto un sondaggio per conto dell’associazione «Monferrato Cult», organizzatrice, per il terzo anno, di «Oyoyoy!», ovvero «il festival di cultura ebraica». Ma bisogna intendersi bene: non è, questo, il contesto in cui domina l’ebraismo nelle varie espressioni dell’arte, della letteratura, della musica e così via. Non è così. Lo dice bene Antonio Monaco, presidente di Monferrato Cult: «Il Festival vuole identificare nell’ebraismo una delle radici culturali del nostro Paese in grado di dialogare con le idee proposte da altre religioni e visioni etiche». L’ebraismo, dunque, come metodo per trovare un punto di condivisione. È l’obbiettivo più volte sottolineato anche da Elio Carmi, uno dei fondatori di Monferrato Cult.
Partire da una fotografia oggettiva riprodotta da una fonte autorevole quale è Mannheimer non può che aiutare a compiere il cammino già intrapreso nel 2006. Oggi alle 17 i risultati del sondaggio, già divulgati da diverse agenzie, saranno commentati dallo stesso Mannheimer, ospite nella sinagoga casalese per l’evento che apre ufficialmente «Oyoyoy!».
Lo studio, svolto su un campione di mille persone, non riguarda solo gli ebrei, ma anche altri stranieri. Emerge, ad esempio, che l’etnia meno simpatica agli italiani è rappresentata dagli zingari: così la pensa l’81%, il 6% li accetta, il 13% non sa. Al secondo livello di antipatia ci sono gli albanesi (non piacciono al 74%, sì all’11%, neurale il 15%). E pensare che proprio all’Albania il festival Oyoyoy dedica un paio di eventi pregnanti, sabato 24 maggio: un incontro tra la comunità albanese, che da un paio di decenni si è stabilita nel Monferrato, e le massime autorità locali e il concerto della Fanfara Tirana, il più noto gruppo di musica etnica.
Al terzo posto, per antipatia, sono i romeni (a loro è ostile il 64%, favorevole il 20%, e il 16% si astiene). Subito dopo, si collocano in negativo gli arabi in modo generico (61% contrari, 20% favorevoli, 19% neutrali), seguiti dai cinesi (no il 49%, sì il 35% e indifferente il 16%). Ribaltando la graduatoria, i più simpatici risultano i filippini (51% a favore, 28% contrari, 21% neutrale), i senegalesi (46% sì, 34% no, 20% non so). Gli ebrei, poi, godono di un 42% di persone loro favorevoli, a fronte di un 32% di ostili, mentre il 26% è indifferente.
Mannheimer ha distinto fra tre tipi di antisemitismo: quello «classico» (10%) di natura religiosa, quello «moderno» (11%) più xenofobo, quello «contingente» (11%) spesso legato al giudizio su Israele. C’è poi un 11% animato da antisemitismo puro. L’analisi delle risposte fornisce anche indicazioni sul modello della persona antisemita: prevalentemente maschio, tra i 50 e i 60 anni, lavoratore autonomo e, aspetto che ha sorpreso, si dichiara più di sinistra o laico.
In ogni caso, la maggioranza ha comunque condannato il rogo delle bandiere con la stella di Davide e si è schierata a favore dell’invito di Israele alla Fiera del Libro. Laddove, oyoyoy!, la politica non riesce a far tacere l’odio, possano la letteratura, l’arte, la musica e lo stare insieme a tavola.