Come abbiamo visto, il popolo ebraico è il popolo della diaspora, che da sempre vive sparso per il mondo, in ogni luogo. Oggi siamo abituati a vedere diverse etnie che vivono nelle nostre città e la diversità non ci stupisce (benché ad alcuni infastidisca), ma una volta le migrazioni non godevano di spostamenti così facili e le comunità locali, non essendo abituate ad entrare in contatto con popoli diversi e stranieri, non erano abituate alla diversità culturale: gli ebrei erano spesso gli unici “infiltrati”, su cui ricadeva ogni forma di xenofobia e dunque ogni tentativo di esclusione, più o meno violenta.
La contrapposizione fra gruppi culturali è infatti un universale del genere umano: ogni gruppo sociale tende, per una forma di sopravvivenza culturale, ad opporsi agli altri contigui e a costruire la propria identità proprio in contrapposizione rispetto a quella dei gruppi geograficamente vicini, che viene screditata attraverso vari meccanismi, fra i cui più noti ricordiamo le demonizzazioni e gli stereotipi negativi.
Gli ebrei sono da sempre stati gli “Altri”, i “Diversi” per eccellenza per tutti, poiché hanno sempre vissuto in contesti diasporici, venendo ad essere una minoranza quasi ovunque e perciò aggiudicandosi infiniti trattamenti denigratori e xenofobi; che hanno reso il repertorio dei fenomeni antisemitici così vario ed esteso.
Per di più l’ebreo esercita una particolare diffidenza nel mondo occidentale e cristiano poiché non è facilmente distinguibile, essendo spesso simile sia fisicamente che culturalmente ai cittadini comuni e dunque difficile da individuare ed eventualmente isolare.