31 Gennaio 2025

Ricercatore del CDEC risponde su temi dell’antisemitismo contemporaneo

«Dopo il 7 ottobre gli attacchi antisemiti sono più che triplicati»
Parla Stefano Gatti, esperto di antisemitismo «Spesso mascherato da antisionismo, ci sono sempre più casi, fisicamente e sui social. E i simboli ebraici vengono ribaltati e strumentalizzati»

Era il 2005 quando l’ONU proclamò la Giornata della Memoria. È stata istituita il 27 gennaio, perché il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. La Giornata della Memoria ha dunque uno scopo e un obiettivo precisi: ricordare le vittime della ferocia nazista – per la maggioranza di origine ebraica ma non solo – e non di altri crimini commessi in periodi diversi della storia umana. Esattamente come numerose atrocità e genocidi hanno una loro data dedicata: dal 24 aprile per ricordare il massacro degli armeni da parte dell’Impero Ottomano al 24 marzo in memoria dei desaperecidos e delle vittime della dittatura militare argentina; dal 10 febbraio, Giorno di Ricordo delle Foibe all’11 luglio per commemorare il massacro di Srebrenica del 1995, eccetera.

L’antisemitismo e l’odio contro gli ebrei, tuttavia, non sono spariti dopo la Shoah. Anzi: continuano a esistere e sopravvivere in forme diverse. Sono cresciuti soprattutto dopo il 7 ottobre 2023, quando l’attacco di Hamas ai kibbutz nel sud di Israele ha scatenato una nuova guerra in Medio Oriente, portandosi dietro un’ondata di attriti, polemiche e ostilità, come sottolinea anche Stefano Gatti, ricercatore della Fondazione Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea) e uno dei massimi esperti di antisemitismo e questioni ebraiche del nostro Paese.

«In Italia e in Europa» dice Gatti «stiamo vivendo la situazione più difficile da dopo il 1945. Anche quando ci fu l’Intifada avevamo registrato numerosi episodi o incidenti legati all’antisemitismo, ma non come adesso. È un escalation di violenze che sta interessando tutto il mondo. Le nazioni e le zone maggiormente colpite sono naturalmente quelle con un’alta concentrazione e presenza di soggetti di religione e origine ebraica. Come per esempio la Francia, la nazione europea con la comunità ebraica più numerosa, composta da circa 500mila persone. In Italia la maggioranza degli episodi si sono registrati a Roma, dove vivono 16mila dei 30mila ebrei presenti nel nostro Paese». I numeri non lasciano spazio a dubbi: nel 2024, i casi di antisemitismo accertati, stando ai dati forniti dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, sono stati superiori a 400, con circa 900 denunce, quando prima dell’attacco di Hamas non arrivavano a cento casi in tutta Italia. Ma l’aspetto ancora più preoccupante, secondo Gatti è che l’antisemitismo molte volte assume connotazioni subdole e più difficili da capire ed estirpare rispetto al passato: «Viene sempre più accettato socialmente e si nasconde molte volte sotto la coltre dell’antisionismo. Quando si sente dire “io non sono antisemita, ma antisionista”, è una frase potenzialmente pericolosa, perché molte volte chi la pronuncia cela dietro all’opposizione per Israele un astio nei confronti degli ebrei. È un atteggiamento trasversale a livello politico che coinvolge parte dell’elettorato di destra e di sinistra e funziona come un momento di aggregazione. Ci sono altri aspetti preoccupanti. Il primo è che in tanti casi gli attacchi più feroci al mondo e alla cultura ebraica non arrivano da gente comune, ma da personaggi pubblici come politici e docenti universitari. Il secondo è che non di rado vengono utilizzati simboli ebraici ribaltandone il significato: ad esempio quando Anna Frank viene presentata con la kefiah in testa».

Gatti spiega l’importanza di un istituto come il Cdec, che si occupa dei temi della cultura ebraica da metà anni ‘50: «Abbiamo un archivio sull’ebraismo che nessun altro possiede in Italia. I nostri studi e lavori servono per attivare le politiche di contrasto all’antisemitismo e il Governo stesso parte dalle linee guida che noi produciamo per combattere questo fenomeno, che un tempo si limitava alla negazione dell’Olocausto, ma oggi è diventato – come abbiamo già visto poco fa – molto più complesso ed esplicito». In sinergia con l’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, il Cdec ha anche sviluppato una sorta di decalogo dell’antisemitismo, con dieci categorie di attacchi antisemiti a seconda della gravità dell’azione: si passa dall’insulto all’aggressione fisica, sino al tentativo di omicidio. E anche Stefano Gatti conferma che «dopo il 7 ottobre 2023 gli episodi di antisemitismo sono cresciuti a dismisura, non solo nel mondo reale ma anche online, sui social. Sempre più studenti di origine ebraica vengono insultati e minacciati, qui a Milano ad esempio a un rabbino hanno strappato la Menorah (lampada ad olio a sette braccia, uno dei simboli dell’ebraismo) e gli hanno puntato un coltello addosso. Prima dell’attacco di Hamas registravamo 20-30 casi di antisemitismo al mese, da allora sono triplicati, siamo stabilmente sopra quota 90. E parliamo solo degli episodi denunciati…».

Riuscire a debellare o limitare l’antisemitismo, vincendo il pregiudizio, è impresa ardua, soprattutto perché affonda le radici nella storia, esiste dai tempi del Cristianesimo, se non prima. «Gli ebrei furono identificati come i responsabili della morte di Cristo» prosegue Stefano Gatti. «Le persecuzioni iniziarono allora e hanno interessato praticamente tutti i secoli della storia europea, cambiando di volta in volta forme e apparenze, ma rimanendo sempre simili nella sostanza. Parlando solo degli ultimi cento anni si è passati dai pogrom in Unione Sovietica ai lager nazisti, senza dimenticare l’antisemitismo di matrice islamica che esisteva già prima della nascita dello Stato di Israele, se pensiamo che molti Stati arabi durante la guerra erano alleati di Hitler, a partire dal gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini, fortemente antisemita, che perseguitò gli ebrei e venne raggiunto da un mandato di cattura dagli inglesi sul finire degli anni ’30. Oggi, in molti casi, l’antisemitismo viene visto come una sorta di anti-imperialismo e anti-americanismo, dato che storicamente Israele ha un forte alleato negli Stati Uniti, e dunque si arriva persino a concedergli una parvenza di democraticità e lotta per la difesa dei più deboli. Come si può fare per invertire questa tendenza, per vincere i tanti pregiudizi che riguardano gli ebrei? Domanda complicata, risposta ancora di più. A mio avviso il modo più efficace rimane sempre quello di puntare sulla conoscenza e sulla cultura: nelle scuole si potrebbero iniziare a fornire maggiori nozioni sull’ebraismo, far capire che gli ebrei non sono solo quelli che crocifissero Cristo, che non sono stati unicamente perseguitati, ma che tante illustre figure di origine e religione ebraica hanno contribuito a elevare la scienza, la cultura, l’arte, la politica e l’economia occidentale ed europea e che continuano a farlo, in Europa e altrove».