1 Dicembre 2024

Riflessioni sull’impiego del termine “pogrom”

ANTISEMITISMO – I pericoli reali e quelli del linguaggio

La sindaca di Amsterdam, Femke Halsema, si è detta pentita di aver usato la parola pogrom parlando degli attacchi contro i tifosi israeliani avvenuti il 7 novembre nella sua città, e ritiene si tratti di una parola che – riporta il New York Times – è stata politicizzata fino a diventare propaganda. Il ministro degli esteri israeliano, Gideon Saar, ha ribattuto che si tratta di una posizione inaccettabile, facendo seguito alle dichiarazioni del presidente Isaac Herzog, e di Deborah Lipstadt, Inviata speciale degli Stati Uniti per il Monitoraggio e la lotta all’Antisemitismo. Geert Wilders, il politico olandese che ha parlato di pogrom, è a capo di un partito di estrema destra che chiede di porre fine all’immigrazione dai Paesi musulmani, e di vietare il Corano. Hassnae Bouazza, giornalista e regista olandese-marocchina, ha sostenuto che l’utilizzo della parola pogrom porta alla legittimazione di qualsiasi azione contro gli immigrati musulmani, facendo aumentare la paura e le divisioni nel paese. Posizione peraltro che è stata sostenuta anche da Keren Hirsch, consigliera comunale di Amsterdam, ebrea, secondo cui il vero problema è l’odio per gli ebrei, aggiungendo che non lo si combatte con l’odio per i musulmani. Jelle Zijlstra, regista teatrale olandese che lavora con il gruppo ebraico Oy Vey, ritiene la sensazione diffusa di pericolo abbia in qualche modo attivato una memoria ancestrale, ma che le reazioni alla parola pogrom sono esattamente il motivo per cui dovrebbe essere usata con cautela. Il risultato è un’atmosfera sempre più cupa in cui si diffonde la paura, e le altre minoranze diventano il nemico. Nel 2024 chiamare qualcosa pogrom – una parola che non cambia in olandese, ebraico o inglese rispetto all’originale russo – significa dire che un periodo storico che si credeva finito non lo è. E quando gli israeliani sono stati aggrediti per le strade della città di Anna Frank, alla vigilia dell’anniversario della Notte dei cristalli (che in Germania oggi è chiamata “Reichspogromnacht”), è stato naturale collegare il presente al passato. Jonathan Rynhold, professore di Scienze Politiche all’Università Bar-Ilan, ha dichiarato: «I pogrom sono la radice moderna del sionismo politico, senza uno Stato non ci sono garanzie, non si può fare affidamento sulla buona volontà di altri Paesi. Dire che arriva lo Stato di Israele con gli aerei per riportare a casa i tifosi in pericolo è una rivendicazione dell’ideale sionista. Quando gli studiosi discutono di termini polarizzanti come “apartheid” o “genocidio”, ricorrono a definizioni legali internazionali. Pogrom, invece, è solo una parola». Nella notte del 6 novembre alcuni tifosi del Maccabi Tel Aviv avevano intonato slogan razzisti, tirato giù una bandiera palestinese e attaccato un taxi. La stessa notte, i tassisti di Amsterdam – molti dei quali di origine marocchina o turca – hanno risposto a un appello diffuso su Telegram per riunirsi fuori da un casinò che aveva ospitato centinaia di tifosi israeliani, dove una guardia ha promesso di avvisare se si fossero ripresentati. E la sera successiva i tifosi sono stati aggrediti perché israeliani, o ebrei. In cinque sono stati ricoverati in ospedale e poi dimessi, e ci sono state alcune decine di feriti, mentre il ministro olandese della Giustizia e della Sicurezza ha sottolineato la distinzione rispetto al comportamento tipico degli hooligan, parlando di caccia all’uomo. Elissa Bemporad, docente del Queens College specializzata in storia ebraica dell’Europa orientale, ha dichiarato che non vede perché questo non sia un pogrom, un’azione che – ha spiegato – comporta l’aggressione di vittime scelte, da parte di diversi autori, in quanto appartenenti a un gruppo subordinato, spesso un gruppo etnico. E il comportamento dei tifosi del Maccabi non significa che quello che è successo dopo non possa essere considerato un pogrom, esattamente come i pogrom russi, che sono spesso scoppiati durante i momenti di crisi politica, in seguito a voci secondo cui gli ebrei avrebbero commesso provocazioni. Negli ultimi anni sono stati descritti come pogrom gli attacchi alle minoranze etniche in Kosovo (contro i serbi), in Myanmar (contro i musulmani Rohingya), a Chemnitz, in Germania (contro i migranti musulmani) e in Ucraina (contro i rom). È stato definito pogrom l’attacco alla città di Huwara, in Cisgiordania, da parte di israeliani, e nel 1983 una commissione ufficiale israeliana affermò che gli attacchi commessi dalle milizie cristiane l’anno precedente in due campi profughi palestinesi in Libano erano “massacri e pogrom ”. Jonathan Dekel-Chen, professore di storia all’Università Ebraica di Gerusalemme, un’autorità in materia di ebraismo dell’Europa orientale, è anche membro di un kibbutz attaccato da Hamas un anno fa e padre di un ostaggio che si ritiene sia ancora vivo a Gaza. Ha sostenuto che paragonare il 7 ottobre alla Shoah e ad altri attacchi antisemiti va a offuscare l’esistenza di uno Stato sovrano che dovrebbe garantire che gli ebrei non siano più indifesi, sviando la responsabilità di quello stesso governo per non essere riuscito a prevenire gli attacchi e a recuperare gli ostaggi. E qualcosa di simile succede per la parola pogrom: «L’uso di questi termini permette agli ebrei in generale e agli israeliani in particolare di non ragionare su ciò che è successo. Esiste un filone moderno del pensiero ebraico conservatore che individua un’unica causa scatenante degli incidenti antiebraici: l’antisemitismo, inarrestabile. L’esponente più in vista di questa prospettiva è Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano di più lunga data, che nella sua dichiarazione di guerra del 7 ottobre 2023 ha citato la poesia di Bialik su Kishinev (ora Chisinau, capitale della Moldavia, dove nel 1903 ha avuto luogo uno dei peggiori pogrom della storia)». Per i critici israeliani dell’attuale governo l’uso del termine pogrom impedisce di considerare altri fattori che potrebbero aver contribuito a rafforzare i nemici di Israele. E per gli ebrei della diaspora, che dipendono dagli impegni delle loro rispettive società nei confronti del pluralismo, la vigilanza contro l’antisemitismo deve essere accompagnata da una preoccupazione per i gruppi di minoranza, anche quando il gruppo di minoranza non è quello ebraico, scrive ancora il NYT. Gli ebrei olandesi si sentono presi nel mezzo, spiega Jonathan Eaton, coordinatore di un gruppo finanziato dall’UE che cerca di combattere l’antisemitismo europeo promuovendo il dialogo tra ebrei e musulmani, (e appartiene alla sinagoga di Amsterdam che Otto Frank, il padre di Anna, ha contribuito a fondare dopo la Seconda Guerra Mondiale): «A sinistra, la gente fa la vittima. A destra, invece, incolpano i marocchini. Quando una parte della società dà intenzionalmente la caccia a un’altra parte, si tratta di un pogrom. Quando una parte della società si sente così forte da poterla fare franca, è un pogrom. È pericoloso per gli ebrei, per i musulmani, per tutti».