22 Gennaio 2011

Antisemitismo di Maffeo Pantaleoni

Ebrei, viaggio alle radici dell’odio
In Italia l’antisemitismo “di Stato” iniziò nel 1917, non con le leggi razziali del ’38

Si chiama Maffeo Pantaleoni «il più spregiudicato antisemita su cui poterono contare il fascismo e il nazionalismo». Pantaleoni, che nei corsi di studio della scuola dell’obbligo non viene mai menzionato, viene ora “scoperto” nella sua decisa ostilità verso gli ebrei dalle ricerche del comasco Luca Michelini, docente di Storia del pensiero economico all’università Lum di Bari e all’Insubria di Varese. In un saggio ricco di documenti, Michelini svela una figura ignota ai più, ma soprattutto apre gli occhi su un’Italia che allevava, tra gli economisti più importanti della prima metà del Novecento, uno che odiava gli ebrei e propugnava l’antisemitismo.
Il lavoro “Alle origini dell’antisemitismo nazional-fascista” di Michelini dimostra la finalità di Pantaleoni, che operò in Italia dai primi anni Ottanta dell’Ottocento all’ottobre del 1924, non partendo da una teoria legata alla razza, quanto piuttosto da considerazioni di carattere economico. Nel desiderio di cancellazione degli ebrei di Maffeo Pantaleoni non c’è alcuna ragione di tipo religioso o antropologico, piuttosto quell’anelito è figlio di un preciso e documentato piano politico, ma soprattutto economico, e la sua polemica antisemita nasce dalla sua lotta al socialismo. Pantaleoni fu anche maestro del cattolico Giovanni Preziosi «il più assiduo antisemita italiano degli anni trenta e quaranta – scrive Michelini – solerte collaboratore, durante l’esperienza della Repubblica di Salò, di Mussolini e Hitler nella realizzazione della “soluzione finale” nel corso della seconda guerra mondiale», ma lo stesso Pantaleoni fu prima «scienziato, cattedratico, saggista – si legge nel saggio – (…) giornalista, opinionista e politico, prima deputato radicale e poi senatore, a suggello della sistematica attività pubblicistica e di consulenza svolta a favore di Benito Mussolini». Sarà Pantaleoni a suggerire a Preziosi di stilare nel 1920 l’elenco degli ebrei che ricoprivano posti importanti in Italia. Non è semplice capire da subito come Pantaleoni possa aver elaborato un’avversità così profonda nei confronti degli ebrei, ma lo si comprende consultanto i documenti, molti, che Michelini mette a disposizione nel suo saggio. L’economista, condirettore della rivista “Vita italiana”, usò quella stessa pubblicazione per convincere il lettore di quanto potesse allora essere in qualche modo “logico” odiare gli ebrei. Pantaleoni nel 1917 spiegò infatti dalle colonne di “Vita” il nesso esistente tra gli ebrei e il malaffare. Gli ebrei secondo Pantaleoni avrebbero controllato «il brigantaggio finanziario internazionale», ma anche «le organizzazioni socialiste, la stampa quaotidiana, da quella socialista a quella liberal-radicale». Il socialista è al centro del bersaglio dell’economista che non esita a definirlo nel 1916 un «asino», se è un economista, «un uomo che vuole un salario migliore di quello che percepisce» se è un operaio, e «che crede di poterlo ottenere – scrive Michelini riportanto Pantaleoni – “mediante discussioni all’osteria (…) riposi domenicali, se principiati alla metà del sabato e protratti alla metà del lunedì”. Se poi il socialista è un professionista si è di fronte a uno “sfruttatore, a benefizio proprio, della dabbenaggine altrui”». La preoccupazione di Pantaleoni è sempre quella di dimostrarsi “neutrale” per far parlare dati, numeri e fatti, tutti a deporre, secondo le sue convinzioni, contro gli ebrei. Il discorso si fa ancora più complicato quando lo studioso spiega la sua concezione del fascismo, inteso come movimento antisocialista, capace di tutelare non gli interessi di classe, ma quelli generali e come sia per lui fondamentale distinguere tra la «polemica antiprotezionista e la polemica antisocialista, e quindi tra “affarismo” borghese e “affarismo” socialista», scrive Michelini. Pantaleoni vuole dimostrare «per quali motivi l’ordinamento borghese è migliore di quello socialista». Per Pantaleoni bisognava combattere «la socialdemocrazia» ed evitare che l’economia potesse collettivizzarsi, visto che essa era a suo dire indispensabile per condurre la guerra. Tutte queste valutazioni per Pantaleoni potevano essere veicolate attraverso la stampa che, di conseguenza, sarebbe stato opportuno controllare. Nel saggio di Michelini merita inoltre una lettura molto attenta il capitolo dedicato alla «Banca Commerciale e “questione ebraica”», uno dei punti nodali dell’analisi dello studioso comasco, che arriverà poi a puntualizzare alla fine del testo la svolta antisemita di Pantaleoni. Una svolta che Michelini definisce «politica». Gli elenchi degli ebrei “pericolosi” sono degli anni Venti e, proprio poco prima di allora, Pantaleoni vira verso l’antisemitismo concepito da lui come «campagna contro il “bolscevismo ebraico”». Nel 1921 Pantaleoni sarà addirittura più fascista di Mussolini che definirà «troppo poco fascista».