Fonte:
Il Giornale
Autore:
Alberto Giannoni
«Io, mia madre Liliana e l’odio antisemita che cresce La sinistra? Preoccupano l’Anpi e i Giovani Pd»
Parla il figlio della Segre: «Livelli impressionanti di demonizzazione»
«Il clima è pesantissimo. Israele viene demonizzato, non criticato, e mia madre additata come un nemico». Luciano Belli Paci è uno dei figli della senatrice a vita Liliana Segre, testimone della Shoah.
Avvocato come il padre Alfredo, ha fatto politica ed è dirigente di Sinistra per Israele. Avvocato, che significato ha questa militanza?
«Sinistra per Israele ha un andamento carsico, è nata dopo la Guerra dei sei giorni e io sono stato tra i rifondatori negli anni Ottanta. Nei periodi di crisi, come oggi, crescono le adesioni. Si sente a sinistra e in Anpi la necessità di una posizione che non è acritica (siamo molto critici verso Netanyahu) ma si oppone alla demonizzazione di Israele. Il sionismo storicamente è di sinistra».
Il clima negli anni Ottanta?
«Simile a ora: livelli impressionanti di demonizzazione e una fiammata di ostilità. Io venivo dal Psdi, ero entrato da poco nel Psi ma Craxi era affascinato da Arafat. C’era chi rivendicò l’amicizia per Israele, come Aniasi, ma anche nel Pci Napolitano e un giovane Fassino».
Il Pci con l’Urss aveva voltato le spalle a Israele.
«L’Urss fu determinante per farlo nascere ma durò poco, Stalin ebbe una feroce involuzione antisemita, il clima divenne spaventoso. Il Pci si uniformò alla linea anti-Israele».
È carsica anche l’ostilità.
«E si avverte un’emergenza, l’esigenza di reagire. Io sono in Anpi e ho manifestato questo disagio per la posizione del presidente Pagliarulo».
L’ostilità da dove viene?
«E passata un simbolo: la Palestina come il Vietnam. Ne deriva un deragliamento del pensiero. Israele è come un mostro, un’entità da abbattere “dal fiume al mare”. Io non ho remore a parlare anche di crimini, da ambo le parti. Chi inneggia ad Hamas e dipinge Israele come il male nega ogni convivenza. Se uno Stato è per natura genocida, non puoi farci la pace, no?».
Bergoglio ha fatto cenno a questo «genocidio».
«Forse avrebbe fatto meglio a scrivere diversamente quel passaggio. Può anche essere che sia una frase maliziosa, ma rileggendola alla fonte a me pare neutra».
Torniamo al clima d’odio.
«Il grosso è sui social. Lo sfogatoio. L’impressione, affiancando mia madre, è che sia un antisemitismo latente, trasversale, che si è scoperchiato. Chiunque si sente legittimato a dire qualunque cosa, anche “peccato che Hitler non abbia finito il lavoro”».
Come lo vive la senatrice?
«Il suo stato d’animo non è particolarmente allegro. La guerra l’ha intristita, ma gli attacchi contro di lei ci sono da anni. Una convergenza d’odio da ambienti disparati. Ogni volta che parla, qualunque sia l’argomento, si scatenano. E la ripresa di questa guerra terribile ha intensificato gli attacchi, che prescindono dalla realtà. Ha sempre rifiutato la logica della vendetta e l’unico appello che ha firmato è per il cessate il fuoco. Ma viene bollata a prescindere come nemica insensibile. Gratta gratta è il substrato antisemita».
Non le pare che l’odio divampi nella sinistra estrema? Quella ufficiale lo condanna? I Giovani Pd hanno discusso sul tema: «Liliana Segre deve condannare Israele?». Impressionante.
«E vero, mi ha colpito. Ho ricevuto una telefonata di scuse dal segretario milanese dei Giovani. Io credo che siano minoranze chiassose, non so quanto rappresentative. Hanno scritto che per lei “ogni añone di Israele è giusta”. Figuriamoci, non ha alcuna simpatia per Netanyahu. E un pregiudizio e vederlo nel Pd è preoccupante. Come lo è che dentro l’Anpi non capiscano che sposare la linea dell’accusa di genocidio rende accettabile la banalizzazione della Shoah. E un precedente gravissimo».
Schlein sta facendo quel che deve per arginare?.
«Non sono un iscritto. Credo che si sforzi di essere ecumenica tenendo fuori cose laceranti. Nel suo libro e c’è un ricordo affettuoso delle sue due radici, socialista ed ebraica, con la famiglia, originaria di Leopoli, sterminata eccetto suo nonno. Elly mostra cura per queste radici. La sua linea mi pare: due popoli due Stati. Poi noto asperità e atteggiamenti a volte ostili. Lei, e più di lei il responsabile Esteri Provenzano, hanno avuto a volte toni sbagliati. Il Pd è un partito anomalo, ma salvo le frange e la deriva dei Giovani la linea è equilibrata, non molto diversa da quella del governo».
Lei ha assistito al discorso di La Russa in sinagoga.
«È il presidente del Senato, è venuto a manifestare solidarietà il 7 ottobre, c’erano anche Sala e Guerini del Pd. Peraltro c’è una antica amicizia col presidente Meghnagi, eviterei certe polemiche. Poi, per me non è il migliore rappresentante di una destra che ha fatto tutti i conti col passato. Vedo segnali di continuità che Fini invece aveva reciso».
Ma è stato applaudito. Sala l’anno scorso fischiato.
«Nella comunità c’è una grande presenza di elettori di destra. E storie diverse. I presidenti di Roma e Milano vengono da Tripoli, nella loro memoria hanno i pogrom arabi, non le leggi razziali».
Suo padre in lista col Msi.
«Fu traumatico. Ci fu una crisi familiare. Pensi che ero segretario locale dei giovani Psdi, considerato di destra dai gruppettari, per mio padre ero un sovversivo (sorride, ndr). Non si iscrisse mai al Msi. Era sicuramente un uomo d’ordine, quegli anni lo avevano spinto verso posizioni di destra ma da antifascista. Si era fatto quasi 2 anni di prigionia per non aderire alla Rsi. Era nella Costituente di destra. Credevano alla buona fede di Almirante e la candidatura fu un’ingenuità, si accorsero cosa c’era nelle sezioni Msi e lasciarono perdere. Con mia madre restarono molto uniti. Ma anche con me. Abbiamo lavorato insieme, c’era stima. Aveva idee da destra liberale. Era mio padre».