Fonte:
la Ragione
Autore:
Francesco Gottardi
Assurde polemiche sul nuovo thriller biblico di Netflix
Mary e i pro-Pal
È bastato il trailer per scatenare il putiferio. “Mary”, il nuovo thriller biblico targato Netflix, uscirà il prossimo 6 dicembre ma conta già innumerevoli tentativi di boicottaggio. Il motivo? Follia dei tempi che corrono: l’indignazione online per la scelta del cast, in particolare per l’attrice che interpreta Maria. Cioè Noa Cohen, una giovane donna ebrea israeliana. Niente trucco né inganno, soltanto un paradosso grottesco: proprio quando la piattaforma americana decide di accantonare il revisionismo storico a trazione woke (che già aveva sfornato una Cleopatra di origini giamaicane e un Annibale subsahariano, sigh), per una volta insomma che l’azzecca, ecco che si ritrova a fronteggiare un rigurgito culturale feroce.
Ora, che trattare un simile tema religioso durante la crisi umanitaria a Gaza sfidasse le sensibilità attuali era un rischio prevedibile (Netflix l’ha relegato a trend topic: auguri). Ma la dinamica della protesta va oltre ogni immaginazione. Perché il problema del variegato universo pro-Pal è che «non compaiono attori palestinesi o mediorientali nella pellicola». Ancora «Hanno deciso di far interpretare la Madonna da chi bombardala terra di Gesù)». Di più: «Maria era musulmana. E citata più spesso nel Corano che nella Bibbia».
L’ultimo commento (via X) arriva da un osservatore per i diritti umani. Ce ne sono centinaia del genere, che vanno dalla teoria alternativa agli insulti antisemiti. Senza dare ulteriore spazio ai secondi, l’eco del boicottaggio «giustificato dalle sacre scritture» merita qualche razionale precisazione (lapalissiana, ma numeri alla mano evidentemente no). Sull’esistenza storica di Maria di Nazareth, intrinsecamente legata a quella di Gesù), c’è ampio consenso tra le fonti coeve e gli accademici moderni per indicare la madre del predicatore ebreo che sconvolse la Galilea e la Giudea romana (come all’epoca era nota la Palestina).
Si chiamava Miryam— in ebraico — e così viene menzionata anche nel Nuovo Testamento. Inoltre la sua data di nascita è di 600 anni precedente alla prima stesura del Corano: fin qui non è una questione religiosa, ma aritmetica e documentabile. Eppure non più così pacifica. Nemmeno il rudimentale fact checking dell’ex Twitter, coretto e agile all’uso, è bastato a placare gli animi. Stando alla singolare controargo-mentazione, Maria sarebbe musulmana nella misura in cui «l’Islam non è stato fondato da Maometto, ma è sempre esistito. E chi pregava prima della rivelazione del Profeta è un nostro spirituale antenato». In altre parole, la fede diventa retroattiva. Un’appropriazione che non solo diverge dagli altri culti — si pensi all’antitetico approccio del Pantheon, dedicato a tutti gli dei passati, presenti e futuri — ma va pure contro il Corano stesso, secondo cui i grandi monoteismi precedenti all’Islam sono la sua versione incompleta (delle due, l’una).
È la riprova che le fake news non hanno colore. Alimentano credenze, autoconvincimenti. E sono pretesti per veicolare odio (nella fattispecie l’Intifada sul web, verso gli ebrei e il loro Stato). «La nostra priorità era che Maria, come gli altri moli principali, fosse selezionata in Israele per assicurare autenticità storica» ha spiegato il regista di “Mary” DJ. Caruso in un’intervista a “Entertainment Weekly”. All’interno di un cast di prim’oniine troviamo infatti anche Ido Talco—nato aTelAviv—neipanni di Giuseppe e l’86enne Anthony Hopkins in quelli del re Erode. Sulla riuscita artistica dell’operazione si scioglieranno le riserve più avanti. Ma intanto, che l’etnicità di Miryam sia stata preservata anche da Netflix, nel 2024, è già di per sé un mezzo miracolo. Altro che scandalo.