Fonte:
Il Foglio
Autore:
Luca Roberto
Dopo il corteo di oggi, l’intifada negli atenei (il 7/10). E la Crui? Zitta
Roma. “Quella di domani, se dovesse verificarsi, sarà una manifestazione illegale. Sono certo che sarà gestita con equilibrio dalle forze di polizia e senza turbative per l’ordine pubblico. In ogni caso le decisioni operative vanno prese sul campo”. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ieri ha spiegato in questi termini quale sarà la linea del Viminale quest’oggi, quando qualche migliaia di persone provenienti da tutta Italia sfileranno per le strade di Roma festeggiando il 7 ottobre come l’inizio di una “rivoluzione” del popolo palestinese contro “l’entità sionista”. Per le specifiche tecniche ieri pomeriggio si è tenuto un tavolo operativo, presieduto dal neo questore di Roma Roberto Massucci. In cui si sono decisi controlli a tappeto ai caselli autostradali e nelle stazioni ferroviarie. E la disposizione di 1000-1500 agenti sul campo. Dopo l’adesione alla piazza di movimenti anarchici e diversi centri sociali provenienti da tutta Italia, però, l’imperativo è diventato cercare di prevenire e sventare qualsiasi forma di violenza. Una strategia di contenimento, per evitare scontri diffusi. Ma la giornata sarà tutt’altro che una passeggiata. Anche perché gli organizzatori, l’Unione democratica arabo-palestinese e i Giovani palestinesi, come ha già spiegato lo stesso Piantedosi, saranno i primi a doversi prendere la responsabilità per aver infranto il divieto, emanato dalla Questura e confermato dal Tar. Fatto sta che, non saranno passate nemmeno 48 ore, e i “Giovani palestinesi” si saranno già resi protagonisti di un altro affronto alla memoria del 7 ottobre. Lunedì, infatti, a un anno esatto dal pogrom di Hamas, prenderà il via in gran parte degli atenei italiani un’altra “Intifada studentesca”. Nel lancio della mobilitazione si descrive il 7 ottobre come un “eroico attacco della resistenza palestinese contro l’entità sionista”. E si chiede ai diversi atenei tre cose: il boicottaggio accademico di Israele. La rottura degli accordi con aziende ed enti “complici del sionismo e del genocidio”. E l’interruzione di tutti gli accordi con l’industria bellica, per scongiurare la “militarizzazione delle università”. Insomma, il solito armamentario che oscilla tra l’antisionismo e l’antisemitismo che ha paralizzato gli atenei durante la scorsa primavera. E che ha costretto molti rettori a dover fare i conti con i costi delle occupazioni (in alcuni casi, come alla Sapienza di Roma, con oltre 300 mila euro di danni). Sono mobilitazioni che si prenderanno la loro ribalta anche perché nel frattempo la Conferenza dei rettori, dopo aver licenziato lo scorso aprile un documento pacifista molto ecumenico in cui ci si tiene alla larga dal prendere una posizione ferma sul clima di odio montante nelle università, è come se avesse completamente rimosso il problema. Come? Per esempio, evitando di organizzare una commemorazione in ricordo dei fatti dell’anno scorso. E anche dal punto di vista della comunicazione, non è previsto alcun tipo di intervento da parte della Conferenza dei rettori. Il Foglio ha provato in più occasioni a parlare con la presidente della Crui Giovanna Iannantuoni. La quale a questo giornale ha risposto che per impegni di agenda avrebbe preferito rimandare. Peccato che questo continuo silenzio, a eccezione delle scelte di alcuni rettori come quello di Siena Roberto Di Pietra (che ha vietato un dibattito filo palestinese in programma proprio il 7 ottobre), finisca per dare ancor più spazio e rilevanza alle rivendicazioni di chi chiede la cancellazione dello stato di Israele. Quel che più o meno è stato detto anche questa settimana in un convegno organizzato dall’associazione “Cambiare rotta” alla Sapienza di Roma. Dov’è intervenuta l’ex terrorista palestinese Leila Khaled. Senza che la rettrice pensasse bene di dissociarsi.