1 Ottobre 2024

Venezia, progressivo aumento delle pressioni antisemite

Fonte:

Corriere della Sera di Venezia e Mestre

Autore:

Alice D'Este

Più uomini a presidio del ghetto di Venezia

«C’è un brutto clima siamo un obiettivo»

VENEZIA Centro storico, primo pomeriggio. In ghetto arrivano al presidio fisso nuove forze dell’ordine. Le misure di sicurezza sono state intensificate in tutti i luoghi potenzialmente a rischio attentato già da domenica e rimarranno per tutta la settimana in cui ricorre l’anniversario dell’attentato del sette ottobre. «Il clima sta peggiorando da tempo, speravo che ad un certo punto le cose rientrassero ma non è andata così. Sta diventando difficile parlarne, perfino con gli amici». Lo dice profondamente amareggiato, Dario Calimani, presidente della Comunità ebraica di Venezia. «II dibattito sul conflitto Israelo-Palestinese è troppo polarizzato, dobbiamo rendercene conto — continua — c’è però un problema fondamentale ci ostiniamo a trattare Israele come un monolite. Israele non è solo Netanyahu, anche lì ci sono le opposizioni, c’è una parte della società che non è con lui, come nelle nostre Comunità, il confronto è molto vivo. Il primo errore che si fa è di linguaggio, si usano parole sbagliate per descrivere i fenomeni di cui stiamo parlando e cosa sta succedendo. Quello che più mi spaventa per il mestiere che ho fatto, è l’ignoranza. Nell’ignoranza si annida il pericolo. E diventa un pericolo per tutti, non solo per noi. Così diventiamo tutti un obiettivo e chi vorrebbe colpire Netanyahu, un giorno potrebbe accoltellare me in quanto rappresentante di una comunità che odia». Calimani non racconta di una comunità che ha paura. Ma di un clima polarizzato e senza chiaro scuri. Che impedisce un vero dibattito. «A Venezia non ci sono state minacce dice —ma di sicuro il clima generale è cambiato. Sta tornando l’antisemitismo? A volte me lo chiedo. La polarizzazione non permette un dibattito vero, nemmeno nel mondo universitario che dovrebbe essere in grado di astrarsi». II riferimento, tra le righe, è diretto anche ai docenti che a Ca’ Foscari hanno fondato un collettivo, «Guerra e pace», quando era scoppiata la guerra in Ucraina e lo hanno poi tenuto vivo anche per parlare di Palestina con gli studenti. E proprio gli studenti intanto a Padova ieri mattina, poco dopo le io hanno alzato al cielo mani dipinte di rosso a simboleggiare, «il sangue *** versato in Palestina e Libano» e le voci hanno ripetuto all’unisono: «Vergogna!». Nella prima settimana di avvio delle lezioni universitarie il nuovo collettivo CAU (Collettivi Autorganizzati Universitari) si è fatto conoscere così, con flashmob contro Governo e rettorato di fronte al Bo, al Liviano, al Polo Beato Pellegrino e alla mensa Piovego di Padova. «Chiediamo il boicottaggio accademico delle università israeliane dopo i bombardamenti a Beirut» chiariscono. «Noi vorremmo scendere a Roma per la manifestazione dei Giovani Palestinesi, stiamo già preparando gli autobus» spiega intanto Alice del Collettivo Lisc di Ca’ Foscari, noi saremo almeno in 50. La manifestazione però è stata vietata dalla Questura su indicazione del Viminale anche (e non solo) per la definizione irrispettosa dei 1200 morti che gli organizzatori ne hanno dato nei social in cui hanno scritto: «Dopo un anno il valore dell’operazione della resistenza palestinese e della battaglia “del diluvio di Al Aqsa” è chiaro a tutto il mondo. Scendiamo in piazza per sostenere il popolo palestinese e onorare i 4omila martiri di Gaza». Niente da fare. A poche ore dal post è arrivato lo stop con il «no» del ministro Piantedosi. E quasi subito dopo la contro risposa con lo slogan: «Scendiamo comunque in piazza, non un passo indietro» . «Un nuovo anno accademico è alle porte— dice Anna Capretta di CAU – in quello appena concluso abbiamo visto e riconosciuto giovani come noi nelle piazze e nelle occupazioni per la Palestina. Le università si sono accese, l’insopportabile enormità del genocidio ancora in corso ha attivato energie che sembravano scomparse. Non è solo una risposta etica all’ingiustizia, non è solo una questione umanitaria ma è una questione politica. Che ricominciamo a fare anche noi giovani». Manca il punto di incontro, nei dibattiti. All’università come nella società. «Il punto di partenza è culturale, comincia conoscendo veramente la storia — continua Calimani — e in fondo è sempre lo stesso: i Paesi e l’opinione pubblica mondiale vogliono riconoscere che Israele esiste, o no? E che ha il diritto difendersi dal terrorismo o no? Ne parliamo come di un problema sorto ora ma la responsabilità è di chi in questi 8o anni non ha fatto nulla, non ha mai accettato i trattati di pace. Quanto ai governi, tutte le parti politiche hanno interessi, convenienze a collocarsi pro o contro una delle parti in conflitto. Ma proprio dai giudizi semplicistici e preconcetti che tuttora emergono si annida il problema principale. Si sbaglia anche chi crede che, dopo il raid del 7 ottobre, se non ci fosse stato Netanyahu la risposta sarebbe stata differente: sarebbe arrivata in ogni caso, che ci piaccia o no stiamo parlando di una guerra». (ha collaborato Gabriele Fusar Poli).

Photo Credits: Corriere della Sera di Venezia e Mestre