Fonte:
Libero edizione di Milano
Autore:
Marco Gregoretti
Noi ebrei costretti a togliere i nostri nomi
Davide Romano: «Aggressioni per strada e insulti. Gli anziani hanno paura. Via le targhe da citofoni e studi medici»
Paura in Sinagoga sembra il titolo di un thriller d’azione. Speriamo che non lo diventi. Però è una realtà sempre più stringente. Non giriamoci intorno e non caschiamo nel tranello della “guerra all’orientale”, della manipolazione distorta delle notizie, della mistificazione dei fatti, della furbizia assassina. Si chiama in un modo solo: antisemitismo. Un seme d’odio che nella storia si è sempre presentato strisciante e mascherato, illuminando il momento della consapevolezza quando oramai era troppo tardi. Si insinua ovunque: nei partiti, nelle istituzioni, nelle grandi organizzazioni, trovando sempre sull’attenti i cattivi maestri pronti a prendersi gioco dell’ingenuità e della buona fede, condizionando le giovani generazioni. Il loro compito va a segno quando insultare un ebreo, minacciarlo e bullizzarlo diventa un atto possibile, giustificato e… normale. Quando l’antisemitismo crea il proprio linguaggio quotidiano nelle case, nelle famiglie, nei posti di lavoro. Ecco, è quello che sta succedendo anche in Italia, soprattutto nelle grandi città. Milano, Roma, Genova, vivono di piccole e meno piccole aggressioni quotidiane a chi indossa la kippah, ai portatori di nomi e di cognomi di origine ebraica, a chi entra ed esce da una Sinagoga. Per la strada, nei negozi, durante le iniziative culturali. A scuola e nelle Università, oramai in mano alla follia contro gli ebrei mascherata da militanza filopalestinese o “antisionismo”. Così, mentre a Roma un ragazzino circondato da alcuni bulletti tomando a casa da scuola, è stato costretto a togliersi dal collo il ciondolo con la stella di David e a una commerciante hanno cercato di staccare fuori dal negozio la Menorah, sputandole sopra, a Milano siamo arrivati ormai al punto che, per timore di rappresaglie, si tolgono i cognomi dai citofoni e dagli studi professionali. Racconta a Libero Davide Romano, direttore del Museo della Brigata ebraica: «Mia moglie ha un cognome ebraico, notoriamente ebraico. E un medico. Ha “deciso” di togliere la targhetta sia a casa che in ufficio». I racconti di un piccolo viaggio che faccio per Libero, questa è la prima tappa, sono drammaticamente simili, riempiono rapidamente il mio taccuino e pongono una terribile domanda: il mostro ci sta sfuggendo di mano? C’è la donna impaurita dalle continue battute allusive che dal sette ottobre le rivolge il panettiere, arabo: gira alla larga da quel negozio. A una signora, che vive insieme al marito e ai tre figli al terzo piano di un appartamento, a Milano, hanno messo in bella vista un coltello sullo zerbino. Minaccia esplicita il cui autore è quasi sicuramente una persona che abita nel palazzo. A poche centinaia di metri l’inquilina di uno stabile ha trovato nell’androne una stella di David su cui era stato scritto il numero dell’interno del suo alloggio. E poi le aggressioni per la strada, come è capitato al settantenne spaventato da due uomini egiziani o a quello affrontato da tre magrebini o, ancora, a chi è dovuto scappare a gambe levate. Era stato aggredito da un arabo all’urlo di `Ebreo assassino”. Una specie di richiamo: altri arabi che non si conoscevano tra loro si sono aggregati, facendo passare davvero attimi di terrore al malcapitato. Non posso non uscire dal taccuino per entrare nei libri di storia: il sostantivo assassino deriva dalla parola Hashashin, fumatori di hashish, nonché una spietata setta islamica sciita che, intorno all’anno mille, terrorizzava e uccideva senza pietà con violenza inaudita, sperando di morire nel corpo a corpo per finire nel celebrato paradiso delle Uri. L’insulto `Ebreo assassino!”, è un paradosso o un ribadire gli intenti verso la Stella di David? Purtroppo sembra che si sottovalutino colpevolmente i richiami fondamentalisti. «Siamo costretti a renderci invisibili» dice affidando a Libero le ansie e le paure Davide Romano. Che aggiunge «Sappiamo in tempo reale che cosa succede in Francia, in Belgio, in Inghilterra. E viviamo aspettandocelo anche qui. Con la frustrazione di ascoltare la falsificazione dei fatti». In sostanza, sostiene Romano, oramai è passato il sillogismo che la violenza quotidiana subita dagli Ebrei, anche in Italia, dipenda da ciò che sta succedendo in Medioriente, a Gaza. E, quindi, ragazzi di 17 anni si gettano violentemente contro la Brigata ebraica e i loro “leader culturali” se la prendono perfino con Liliana Segre. «No!» protesta Romano «I nuovi attacchi contro di noi sono iniziati il giorno dopo il 7 ottobre. Non c’entrano nulla con la guerra. E la bolla mediatica islamista estremista che tira le fila: gli ebrei si possono attaccare. D’altronde il fiume di miliardi di dollari che il Qatar, amico dell’Iran, elargisce alle Università americane, o i fondi arabi che comprano i giornali inglesi, servono a condizionare la cultura occidentale. Dai media importanti vengono cacciati editorialisti storici per posizioni vagamente filo israeliane. Per essere sostituiti da chi? Si infiltrano, occupano il potere, per distruggerci dall’interno. Ed ecco che le rettrici degli atenei degli Stati Uniti non riescono a condannare l’antisemitismo. Portano avanti un finto antirazzismo divisivo che non c’entra nulla con Martin Luther King che ha pagato con la vita l’idea di combattere per l’unità». Un’isteria anti semita che sta contagiando la società italiana, milanese, che arriva al punto di rinviare un concerto di musica ebraica in una famoso teatro a causa delle minacce ricevute da parte di una sessantina di cosiddetti attivisti “freepalestine”. «Già» interviene ancora Romano «intanto le donne iraniane vengono lapidate e gli iraniani vengono di corsa in Italia per scappare da Hamas, mentre la guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, scrivendo loro una lettera, ringrazia gli studenti di sinistra». Apparati e forze dell’ordine confermano che siamo al limite del pericolo. La gestione della sicurezza a Milano è scrupolosa ed efficace in tutti i punti sensibili, spesso raddoppiando anche la presenza di personale armato. «Verissimo» conclude Romano «E a loro va il nostro grazie. Ma cosa aspetta la politica a varare un provvedimento legislativo che impedisca il martellamento quotidiano dei predicatori d’odio? E dal sette ottobre che noi ebrei italiani balliamo. Non è forse giunto il momento di fronteggiare l’estremismo islamico? Oppure…». Forse Davide Romano non osa porre la domanda inascoltabile. Allora la scrivo io: «Dobbiamo aspettare un Bataclan anche in Italia?».