Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Paolo Mieli
Quegli atti di violenza antisemita
Non fosse stato per lo scontro tra Israele e Hezbollah ai confini del Libano e per l’affiliato siriano all’Isis che a Solingen ha ucciso tre persone, forse i media avrebbero dato maggior risalto al tentato incendio della sinagoga della Grande-Motte in Camargue per il quale è sospettato un trentatreenne algerino. O forse no. Ormai ci si è quasi abituati a considerare questi atti di violenza contro ebrei e istituzioni giudaiche come una ritorsione, per così dire, fisiologica dei torti fatti ai palestinesi. Soprattutto a sinistra è sempre più raro che gli atti di antisemitismo vengano stigmatizzati con il tono che tale stigmatizzazione meriterebbe. Come se l’orrore che coloro i quali (come chi scrive) provano per le vittime di Gaza avesse partorito per vie naturali indifferenza o, peggio, una diffusa insensibilità nei confronti degli atti ostili agli israeliti da ogni parte del mondo. Incredibile. Eppure, è così. L’ebreo che va a pregare in una sinagoga della Camargue per qualcuno è «colpevole» di quel che accade a Gaza. E merita di morire nel fuoco. Tutto ciò è iniziato ben prima del 7 ottobre 2023. Poi le cose sono peggiorate. Un censimento per necessità incompleto di sinagoghe date alle fiamme all’indomani del pogrom d’inizio ottobre prende le mosse dalle bombe incendiarie scagliate, dieci giorni dopo la strage, contro Kahal Adass Jisroel (Berlino). Poi è stata la volta delle sinagoghe di Varsavia, Madrid, Malmö (Svezia), Tilburg (Olanda), Trappes (Francia), Duchère (Lione), Rue de Bons enfants (a Rouen, ma qui l’attentatore fu «neutralizzato» per tempo), Makhachkaia e Derbent (in Daghestan, dove è stata incendiata anche una chiesa ortodossa), Pomona alla periferia di New York. Altrettanto incompleto è l’elenco di città e Paesi in cui cimiteri israelitici sono stati vandalizzati: New York, Salonicco, Francia, Germania, Belgio, Danimarca, Ungheria, Ucraina, Moldavia, Bulgaria, Finlandia, Romania, Polonia. Il record spetta al Sudafrica (tre in una settimana). Purtroppo, ce n’è stato anche per l’Italia (Mantova, Musicco). Massiccio è poi il numero dei monumenti dedicati alla Shoah che hanno subito analoga sorte. Incalcolabile la quantità di bambini e ragazzi ebrei bullizzati solo perché non nascondevano la loro appartenenza religiosa. «Le Parisiene» ha pubblicato un sondaggio Ifop secondo il quale «il 91% degli studenti ebrei in Francia è stato vittima di un atto antisemita durante il percorso scolastico di quest’anno». «Le Figaro» ha documentato come, conseguentemente, i bambini francesi di religione israelitica stiano «abbandonando massicciamente l’istruzione pubblica». Per «motivi di sicurezza». L’Osservatorio italiano sull’antisemitismo ha calcolato che in tutta Europa gli atti ostili agli ebrei — già in costante aumento, come si è detto, prima del 7 ottobre — sono cresciuti del 400 per cento. Fortunatamente non tutta la sinistra europea si è mostrata insensibile al tema. In Italia una consistente parte del Pd ha dato prova di attenzione a questo genere di violenza che, ad ogni evidenza, non può trovare giustificazione nella volontà di contrastare questo o quell’atto del governo israeliano. Il 14 gennaio 2024 Keir Starmer, non ancora premier ma già leader del Labour, partecipando alla giornata del Movimento laburista ebraico, è stato assai preciso: «Non vogliamo incoraggiare l’idea che l’antisemitismo britannico sia nato il giorno dopo il 7 ottobre… In questo partito sappiamo amaramente che non e vero». Dopodiché ha così rassicurato l’uditorio: «Non permetteremo mai che l’antisemitismo torni a insinuarsi nel Partito laburista». Laddove agli astanti è stato chiaro che l’uso di quei verbi («non permetteremo che torni ad insinuarsi») intendeva rendere esplicito che, a giudizio di Starmer, fino a poco tempo fa quel morbo aveva infettato il partito. Almeno in parte. Perfino il leader di «France Insoumise» Jean-Luc Mélenchon, che certo non può essere definito un simpatizzante della causa di Netanyahu, alla vigilia delle elezioni del giugno scorso, ha costretto al ritiro il candidato di Loir-etCher, Reda Belkadi, nel momento stesso in cui sono venuti alla luce alcuni suoi tweet esplicitamente antisemiti. E lo ha espulso dal partito. Qui da noi, un riconoscimento particolare va a Tomaso Montanari — per le cui posizioni su Israele vale lo stesso discorso fatto a proposito di Mélenchon — il quale, sul « Venerdìì» di «Repubblica», ha stigmatizzato un atto di vandalismo con cui è stato oltraggiato il monumento di Amsterdam dedicato ad Anna Frank. Con quell’atto, ha messo in guardia il rettore dell’Università per stranieri di Siena, «si varca il confine tra l’antisionismo (che Montanari apprezza, ndr.) e l’antisemitismo». Questi monumenti, ha scritto Montanari, «abitano il nostro spazio come un vaccino, come un monito … ridurli al silenzio significherebbe ridare voce ai carnefici, alle loro criminali ideologie che oggi tornano al potere in Europa». Fossimo stati in lui, avremmo evitato questa postilla. Il fuoco ad una sinagoga, la deturpazione di un cimitero israelitico, il danno a un monumento che ricordi lo sterminio degli ebrei, le molestie (o peggio) a ragazzi con la kippah, andrebbero considerati come una mostruosità in sé. Punto. Indipendentemente da chi è al potere o potrebbe andare al potere in questo o quel Paese europeo.
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