Fonte:
Il Foglio
Autore:
Giulio Meotti
L’ateneo di Palermo boicotta Israele. Ma sul suo sito lo nasconde
Roma. Sono arrivati a fare qualcosa che nessun altro ateneo si è spinto a fare. Ma nella loro comunicazione ufficiale hanno preferito sottacerlo. Stiamo parlando dell’Università di Palermo e dell’interruzione dei rapporti con gli atenei israeliani, deliberata dal Senato accademico palermitano con una mozione approvata lunedì scorso. La curiosità è questa: nella serata del 3 giugno sul sito dell’Università di Palermo è stata data notizia della “sospensione” degli accordi con gli atenei israeliani. In particolare il Senato accademico, su pressante richiesta dei collettivi che compongono la cosiddetta “Intifada delle università”, ha deciso di sospendere le intese “nell’ambito del programma Ka171 e Ka220-Hde”. Riguardano non solo l’Erasmus, come sbandierato dall’ateneo. Ma anche la condivisione di alcuni dati nel campo del marketing. Solo che lo stesso comunicato, dando conto della mozione, aggiungeva un dettaglio non da poco. “Non verranno altresì stipulati nuovi accordi con università israeliane fino al superamento dell’attuale crisi. Ogni eventuale successiva futura proposta di accordo verrà valutata con particolare attenzione dall’istituendo tavolo tecnico sul dual use con la partecipazione di una componente studentesca”. Un modo per bloccare tout court la collaborazione con le istituzioni israeliane. Rimandando il ripristino dei rapporti a un non meglio precisato “superamento dell’attuale crisi”. E’ una parte del documento licenziato lunedì, che non a caso è stato subito condiviso dai collettivi che si sono detti vittoriosi. Eppure l’Università di Palermo, rimaneggiando il contenuto apparso sul suo sito, questa parte il giorno dopo l’ha cancellata. Si fa unicamente riferimento alla proposta di istituire “procedure improntate alla massima trasparenza di due diligence avviando un lavoro istruttorio per l’elaborazione di un regolamento ad hoc sul dual use, che si dovrebbe concludere entro la pausa estiva”. Questa specifica, assolutamente inedita nel novero delle decisioni assunte in questi mesi dai diversi atenei italiani, non è l’unica parte rimasta fuori dal rimaneggiamento operato dall’Università di Palermo sul suo sito. “Intendo anzitutto esprimere l’apprezzamento mio e del Senato Accademico per il vostro percorso di mobilitazione e per il lavoro di informazione e sensibilizzazione rivolto alla comunità studentesca del nostro Ateneo nelle ultime settimane” era il messaggio che il rettore Massimo Miridi rivolgeva agli studenti che si battevano per la sospensione delle partnership con Israele. “L’interlocuzione aperta con il Senato Accademico ci conferma una prassi di confronto e dialogo che, pur nella distinzione dei ruoli, ribadiamo come nostro impegno con tutte le componenti della nostra comunità universitaria”, continuava Miridi. Che evidentemente deve essersi accorto di come certe dichiarazioni potessero suonare oltremodo accomodanti nei confronti delle frange filopalestinesi. A ogni modo, a prescindere dalla ragione addotta, questa parte è stata espunta. Fatto sta che questa specie di autocensura non è servita a evitare che la ministra dell’Università Anna Maria Bernini bollasse la scelta di Palermo come “sbagliata”, perché “le università non entrano in guerra, sono costruttori di ponti, creatori di pace, sono delle grandi fabbriche di diplomazia scientifica”. In una dichiarazione all’Adnkronos Miridi ha cercato di correggere il tiro, parlando di accordi, come quello sull’Erasmus, che da tempo erano sospesi di fatto. Ma nulla ha detto sulla durata di questa sospensione preventiva di ogni progetto di ricerca. Il Foglio ha cercato di ottenere dal rettore risposte in merito. Ma Miridi per adesso preferisce non parlare.