29 Maggio 2024

Boicottaggio culturale di Israele

Fonte:

Il Foglio

Autore:

Giulio Meotti

“Satana sionista”

Letteratura, arte, musica, film. Divampa il boicottaggio della cultura israeliana

Roma. Mentre ieri tre paesi europei (Spagna, Irlanda e Norvegia) hanno formalmente riconosciuto lo stato palestinese, Israele, per usare le parole di Haaretz, diventava “la stella gialla della cultura globale”. Il festival cinematografico israeliano Shalom Europa è stato cancellato a Strasburgo dal consiglio comunale. Un festival svedese ha cancellato l’invito alla regista israeliana Aleeza Chanowitz. Un festival cinematografico israeliano a Barcellona è stato costretto a cambiare sede all’ultimo minuto dopo minacce di attivisti antisraeliani. Un festival ebraico in Canada è stato cancellato in seguito a minacce simili. Un cinema di Filadelfia si è rifiutato di proiettare un film israeliano, per non dare l’impressione che fosse “dalla parte di Israele”. La probabilità che un festival accetti film israeliani è oggi praticamente nulla. “Ho sentito i partecipanti ai festival chiedermi: ‘Da dove viene quella regista? E’ israeliana o no? Perché adesso non prendiamo film da Israele”, confessa il documentarista Tal Barda. Anche Netflix non ha fretta di lanciare serie israeliane. “Un brivido è sceso sugli ebrei nell’editoria” scrive invece James Kirchick sul New York Times, a proposito delle liste nere degli autori ebrei (compresa Emily St. John Mandel, in Italia pubblicata da La nave di Teseo). L’annuale Festival degli Scrittori di Gerusalemme, che si tiene presso la storica sede di Mishkenot Shaananim, di fronte alle mura della Città vecchia, quest’anno ha visto la maggior parte degli inviti semplicemente senza risposta. “Sono appena tornato dalla Fiera del libro di Londra, che è uno degli eventi annuali più importanti del nostro settore”, afferma Ziv Lewis della casa editrice Kinneret Zmora-Bitan Dvir. “Arrivo a ogni fiera con uno o due dei nostri libri e cerco di vendere i diritti di traduzione a livello internazionale. Stavolta non c’è nessuna porta aperta”. La poetessa ed editrice Orit Gidali si è ritirata dall’International Writers Program all’Università dell’Iowa, citando il boicottaggio contro di lei. La scrittrice russo-israeliana Dina Rubina ha annullato un incontro pubblico che avrebbe dovuto svolgersi alla Pushkin House di Londra, dopo che gli organizzatori l’avevano informata di aver ricevuto “messaggi critici” in relazione alla sua partecipazione e le avevano chiesto di “dichiarare la sua posizione” sul conflitto israelopalestinese. Un articolo della traduttrice israeliana Joanna Chen, pubblicato sulla prestigiosa rivista letteraria Guernica, ha suscitato una tempesta. Chen ha scritto del suo tentativo di tendere la mano in segno di pace ai palestinesi di Gaza e in risposta dieci membri dello staff del trimestrale si sono dimessi e il suo editore ha chiesto un boicottaggio culturale di Israele. L’articolo è stato rimosso dal sito e sostituito da una dichiarazione della redazione: “Guernica si rammarica di aver pubblicato questo pezzo e lo ha ritirato”. La direttrice colpevole si è dimessa La Fiera del Libro di Londra è un banco di prova. “E’ la prima volta che decido di non andare”, confessa Deborah Harris, la cui agenzia letteraria opera da tempo in campo internazionale e ha tra i propri autori anche David Grossman. “Abbiamo un cliente che ci ha lasciato perché non vuole che nessuno dei suoi libri venga pubblicato in ebraico. Ci sono molti giovani scrittori negli Stati Uniti – di cui rappresentiamo gli editori – che rifiutano di accettare le nostre offerte. In passato si trattava di una manciata di casi, ma oggi rappresentano il quindici per cento degli accordi su cui stiamo lavorando. Sono scrittori di commedie romantiche per lo più, generalmente neri o ispanici, moltissimi gay. Avevamo un’autrice che scrive libri erotico-lesbic lesbici e non era disposta a essere pubblicata in Israele”. Quando Eden Golan, rappresentante israeliana all’Eurovision Song Contest, è arrivata a Malmö, il famoso tappeto turchese della competizione non era là ad aspettarla, ma una folla che voleva farle la pelle. La lista di esibizioni di Liraz Charhi, una delle più famose cantanti israeliane, è più corta dell’ottanta per cento rispetto all’anno scorso, ed è stata informata da Glitterbeat, la casa discografica con cui ha lavorato negli ultimi anni, che non avrebbero pubblicato il suo nuovo album. Tre spettacoli del cantante ebreo americano Matisyahu sono stati cancellati quando i locali hanno saputo che erano previste manifestazioni all’esterno e hanno rifiutato di garantire la sicurezza. La curatrice Milana Gitzin-Adiram dice che “veniamo trattati – istituzioni, artisti, curatori, privati – allo stesso modo in cui viene vista la Russia, solo che nel nostro caso è peggio. In molti posti siamo personae non gratae, quasi Satana”. E mentre il padiglione israeliano alla Biennale di Venezia resta chiuso a chiave, le porte della prestigiosa Pace Gallery, a Manhattan, che ospitava il noto artista israeliano Michal Rovner, sono state ricoperte di vernice rossa e sulla facciata è stata spruzzata la parola “Intifada”. La Batsheva Dance Company non si esibisce fuori da Israele da ottobre. Il Concertgebouw di Amsterdam, una delle sale da concerto più prestigiose del mondo, ha prima messo al bando e poi consentito di suonare al famoso Quartetto di Gerusalemme (noto per le esecuzioni di Haydn, Dvorak e Schubert). Ha cancellato l’ensemble “a causa delle preoccupazioni perla sicurezza”. Un gruppo di musicisti di spicco, tra cui il direttore d’orchestra Simon Rattle, la pianista Martha Argerich e la violinista Anne-Sophie Mutter, aveva accusato i musicisti olandesi di arrendersi ai manifestanti. Intanto una proiezione del video di quaranta minuti del 7 ottobre è stata annullata anche a Cannes a margine del festival. E siccome a Cannes (come in ogni altro festival) niente è lasciato al caso e tutto è calcolato per adattarsi allo spirito dei tempi, sulla Croisette Cate Blanchett arrivava avvolta in una bandiera palestinese, il giurato Pierfrancesco Favino parlava di Gaza (“se cerchiamo la bellezza cerchiamo la pace”) e Léa Seydoux voleva sapere cosa può fare l’arte data la situazione mondiale. Sul Titanic, i musicisti continuarono a suonare anche quando affondò.