Fonte:
Il Tempo
Autore:
Edoardo Sirignano
«Noi ebrei qui in Italia siamo più soli e in pericolo E non è colpa del governo»
Parla Noemi Di Segni, presidente dell’Unione comunità ebraiche «È bello manifestare ma non diffondendo odio, è scioccante»
«Quando sento certe distorsioni rivedo le piazze di Mussolini. Gli ebrei in Italia sono sempre più soli e la colpa non è di chi e al governo o di una sola parte politica». È quanto sostiene Noemi Di Segni, presidente dell’Ucei (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane).
Perché, adesso più che mai, è importante ricordare i giusti, ovvero gli italiani che durante il fascismo hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei?
«Stiamo parlando, purtroppo, di singoli, di pochissimi o meglio di una manciata di uomini e donne rispetto a una popolazione fonnata da milioni di persone. Solo se capiremo questo concetto potremo comprendere le responsabilità del fascismo e quali sono i rischi odierni. La storia ci insegna che in Italia c’è stato un intero sistema che ha inneggiato alla follia. Non dobbiamo dimenticarlo».
Il 16 maggio, dunque, assume un senso diverso rispetto a qualche anno fa?
«In Israele, ieri, si è celebrata la Yom HaShoah, la giornata dell’Olocausto, che non ha nulla a che vedere con quella ricorrenza internazionale del 27 gennaio. Ricordiamo, infatti, la conclusione della rivolta del ghetto di Varsavia. Detto ciò, non bisogna viverla come una data storica utile a ricordare una pagina buia dei libri, ma dovremmo piuttosto rapportarla a quanto viviamo e sentiamo in questo particolare momento. Il pericolo c’è. Inutile nasconderlo».
È possibile pensare a una nuova Shoah?
«Questo clima non possiamo definirlo Shoah o Olocausto per tutti i distinguo che vanno fatti, ma certamente l’orrore di quanto abbiamo visto il 7 ottobre e soprattutto la distorsione, che c’è stata in seguito, dovrebbero farci riflettere. L’antisemitismo di queste ultime ore è qualcosa di scioccante».
Perché?
«Non solo lo è il momento attuale, ma soprattutto l’isolamento che stiamo vivendo. Ci sentiamo sempre più soli, pure in Italia. Un ebreo non può girare liberamente con segni identificativi. Non si può andare a pregare più come una volta, né accompagnare i propri figli a scuola, senza correre il rischio di essere insultati. Questa è l’ordinarietà».
Possiamo, dunque, dire che una lezione non è stata compresa?
«Il pericolo che riguarda Israele o gli ebrei nelle loro comunità tocca l’intero continente. Ogni cittadino europeo dovrebbe sentirsi coinvolto. Occorre aprire gli occhi. Gli italiani devono comprendere che è in atto una distorsione che ribadisce cose che non hanno senso, proprio come accadde nelle piazze di Mussolini. Anche allora l’odio nei nostri confronti cominciò nelle manifestazioni, nelle università».
Tale clima è alimentato da una parte politica che sfrutta le tensioni mediorientali per avere visibilità?
«Non mi sento di dire che c’è una parte del governo o della politica che incita le persone contro gli ebrei, ma c’è piuttosto una sottovalutazione di alcune esplicitazioni o esternazioni. Si accettano determinate forme di protesta come se fossero libertà assolute e invece non lo sono affatto. Si sta abusando del diritto. Un confine, alquanto delicato, è stato varcato».
Bisognerebbe, dunque, limitare alcune esternazioni?
«È bello manifestare, ma non diffondendo odio. Vedo, al contrario, una distorsione totale, che non riguarda solo le nostre comunità. La regola è una sola: non c’è libertà laddove non si dà voce a chi la pensa diversamente»