Fonte:
Repubblica
Autore:
Alessia Candito
«Se tornassi indietro forse scriverei quel commento in maniera differente, ma da studente di giurisprudenza mi spaventa l’idea che possa arrivare l’antiterrorismo in casa per un post. O forse perché il mio nome è arabo». Catania, 5,30 del mattino, un appartamento di studenti come tanti. Il citofono suona insistentemente. «Ad un certo punto ho sentito la porta della mia stanza spalancarsi, ho visto la luce che si accendeva e qualcuno che mi chiedeva tutti i dispositivi elettronici». Ayman, che chiede un nome di fantasia perché adesso ha paura per la sua incolumità, è studente di Giurisprudenza nato e cresciuto in Sicilia da genitori marocchini. Per lui, l’accusa è pesante: istigazione all’odio razziale.
È stato formalmente iscritto sul registro degli indagati dalla procura di Caltanissetta, la polizia nello stesso giorno ha bussato alla sua porta e a quella dei suoi genitori a Enna. Alla base, il commento sotto un articolo pubblicato su instagram che dava conto dell’ennesima giornata di bombe, fame e distruzione a Gaza.
«Sicuramente ho usato toni duri e forse mi sono espresso male. Ho augurato a chi approva i bombardamenti sui bambini di vivere la stessa cosa perché sta succedendo esattamente lo stesso che è successo agli ebrei sotto il nazismo», spiega. «Ma non sono né un razzista, né un antisemita, solo credo nella pace e provo orrore per quello che sta succedendo in Palestina, dove abbiamo superato i 32mila morti». O meglio, per quello che si sta permettendo che succeda.
«Ho preso 30 e lode in Diritto internazionale, ma adesso ho quasi l’impressione che sia tutta fuffa, che non serva a niente. Adesso che bisogna far valere quei precetti, che c’è la più alta Corte internazionale che ha dato indicazioni sembra che nessuno sia in grado di farli rispettare».
Il riferimento è alla sentenza con cui la Corte internazionale di giustizia, su ricorso presentato dal Sudafrica, ha ordinato a Israele di fare tutto il possibile per “prevenire possibili atti genocidari” nella Striscia di Gaza e di consentire l’accesso agli aiuti umanitari. «Anche l’Onu – si accalora – ha approvato una risoluzione per il cessate il fuoco ma continuano a morire bambini di bombe e di fame».
Eppure lui nel diritto, nella magistratura ci crede. «Io sono convinto che questo sia stato solo un abbaglio dei pm e che si chiarirà tutto in poco tempo – dice convinto – Non sono un terrorista, sono solo un ragazzo che crede nella causa e nei diritti del popolo palestinese». Già dalla prossima settimana, con il suo legale, l’avvocato Vincenzo Franzone, cercheranno di capire quale sia la strada migliore per dimostrare come sia stato tutto un fraintendimento.
Adesso però – si lascia scappare – è preoccupato, come lo era suo padre quando qualche settimana fa gli aveva raccomandato di smettere di scrivere sui social dopo aver visto il video dell’arresto di un professore algerino molto attivo on line. «L’ho considerata un’esagerazione. Adesso però…».
Il clima, soprattutto dopo gli attentati a Mosca, è cambiato. Anche in un piccolo paesino dell’ennese, negli stessi giorni in cui gli agenti si sono presentati a casa di Ayman pare ci siano state notifiche e perquisizioni sempre per istigazione all’odio razziale. «Adesso – mormora – ho paura anche per la mia incolumità. Catania è una città storicamente di destra, ci sono dei gruppi di estremisti molto attivi. Temo di essere diventato un bersaglio. E non lo avrei mai creduto possibile».
Fonte dell’immagine: ANSA