Fonte:
La Repubblica edizione di Milano
Autore:
Zita Dazzi
Segre e il rabbino Arbib l’allarme al Binario 21 “Torna l’antisemitismo”
La visita esattamente ottanta anni dopo la deportazione in treno per Auschwitz
«Non penso di dover rispondere, di dovermi discolpare in quanto ebrea di quel che fa lo Stato di Israele, trovo sbagliato mescolare cose completamente diverse, come hanno fatto tanti che hanno pensato di mettere in discussione il 27 gennaio per quel che sta succedendo a Gaza. Evidentemente, hanno un bisogno spasmodico di far pari e patta con la Shoah, di togliere agli ebrei il ruolo di vittime per antonomasia, forse per liberarsi da un inconscio complesso di colpa». Ha parlato a braccio, ma a un certo punto ha anche letto un testo scritto, Liliana Segre, ieri sera, per la prima volta nei 20 anni nei quali ha celebrato l’anniversario della sua deportazione — era il 30 gennaio 1944 — scendendo nel gelido Binario 21, sotto alla stazione Centrale. È di nuovo qui, con la Comunità di Sant’Egidio, la Comunità ebraica e centinaia di milanesi. Prima di lei parlano le istituzioni, in primis la vicesindaca Anna Scavezzo, che promette di continuare a portare avanti la Memoria anche nei prossimi mesi: «Milano è una città di pace». Quest’anno la guerra incombe e ne sono tutti consapevoli, le parole più preoccupate sono quelle del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib: «Cresce l’antisemitismo in maniera esponenziale, l’immagine dell’ebreo oggi è devastante, siamo tornati ad essere considerati vendicativi, crudeli, assetati di sangue. Non è una novità, è già successo: ha fatto parte della propaganda nazifascista, ma anche nel medioevo. Ora però siamo ancora a quel punto e questo è terribilmente preoccupante. Spero non porti a conseguenze fisiche sulle persone». Anche Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, ripete a Liliana Segre che non deve temere che della sorte degli ebrei durante il nazismo «resti solo una riga sui libri di storia e poi più nemmeno quello», come lei tante volte ha ripetuto. «Siamo qui noi, non come memoria statica, ma con una azione quotidianamente dedicata alla memoria formativa e costruttiva. I 145 mila visitatori al Memoriale dell’anno scorso sono la testimonianza che il messaggio verrà trasmesso, i giovani non vengono in gita ma sono preparati, hanno un percorso formativo. Mi chiedo solo perché dei 59 focolai di guerra, l’unico di cui si parla ossessivamente è solo quello di Israele. Manca la convinzione che sono stati costretti a fare la guerra da un atto che nessuno poteva aspettarsi nella sua gravità e violenza». La serata è organizzata da sempre dai volontari di Sant’Egidio che questo luogo scoprirono alla fine degli Anni ’90 mentre venivano a portare conforto ai senzatetto. Per questo a introdurre la cerimonia che cade a 80 anni esatti dalla deportazione di Liliana Segre — che allora era una 14enne ignara di tutto — è Elisa Giunipero: «Il rischio oggi è quello di svilire e svuotare la memoria della Shoah, anche avvicinandolo a quanto sta avvenendo in Medio Oriente. Occorre dire che la Shoah è stata altro, ed è importante riconoscerlo perché questa data possa tenere la sua carica morale, per aiutarci a sradicare l’odio verso l’altro. Dopo la Shoah si è creata in Europa una cultura dei diritti, la memoria ci ha aiutato a vivere una società basata su questa consapevolezza. Vogliamo ribadire a Liliana che questa sua testimonianza durata una vita intera non è stata inutile: anzi, ha dato molti frutti. E diciamo convinti, che la lacerazione di fronte alle vittime della guerra, ci spinge a una celebrazione della Shoah come monito vivo contro il male della violenza e dell’odio».
Photo Credits: La Repubblica